Ascoltate Josè Saramago intervistato da Serena Dandini

venerdì 26 giugno 2009

Ventiduesima giornata mondiale contro la droga

Un secolo di repressione non è bastato: a cent'anni dalle prime misure contro l'uso di stupefacenti è arrivato il momento di ragionare sulle possibili alternative. Lo chiede in modo aperto l'Ufficio dell'Onu su droga e crimine, ponendo l'accento, per la prima volta da quando è stato fondato, sulla necessità di modificare l'approccio al problema.

Serve "meno impegno della polizia con gli utenti, più sforzo con i trafficanti", si legge nella prefazione firmata dal direttore Antonio Maria Costa.

Secondo Costa, la soluzione è elementare: "Più controllo sul crimine, ma senza diminuire i controlli sulla droga".

Poche righe più avanti si ribadisce l'esigenza della "tutela della salute dei tossicodipendenti", insistendo sulla necessità di combattere il traffico, invece che reprimere il consumo.
Fonte : la Repubblica.it


Statistiche raccolte da Libera (rete nazionale anti-mafia) informano che con un “fatturato” di 130 miliardi di euro l’anno Mafia S.p.a. è l’unica “azienda italiana” che non paga la crisi e che il 50% dei suoi utili provengono esclusivamente dal traffico di cocaina e altre droghe. Un mercato in continua espansione oggi maggiormente redditizio rispetto alle voci più tradizionali: tangenti, appalti, usura, racket, mercato di armi, rifiuti tossici, ecc...





Il network Torino Sistema Solare, in collaborazione con Libera, ha realizzato il videoclip “Mafia S.p.a.” che avete appena visto. Il video descrive il macromeccanismo innescato dall’acquisto di un grammo di Cocaina.

Visita il sito: www.torinosistemasolare.it

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giovedì 25 giugno 2009

Appello al Presidente della Rai Paolo Garimberti



Egregio Presidente, lo scandalo di un Presidente del Consiglio “utilizzatore finale” è già mondiale. A questo si aggiunge lo scandalo del telegiornale di RAI Uno e del suo direttore Minzolini, che è riuscito a oscurare completamente, per giorni e giorni, ogni notizia al riguardo.
Siamo di fronte a palese incompetenza professionale, a palese violazione del codice deontologico del giornalismo, a palese disprezzo dell'impegno preso all'assunzione dell'incarico di una informazione completa e imparziale. Ce n'è quanto basta per un licenziamento in tronco per giuste e concomitanti cause. Lo mandi a casa, Presidente. Non resterà comunque disoccupato.

Firmo accogliendo l'appello di Giulietto Chiesa e tu?


Minzolini a casa!


"L'informazione che abbiamo non è quella che desideriamo.
L'informazione che desideriamo non è quella di cui abbiamo bisogno.
L'informazione di cui abbiamo bisogno non è disponibile. "
(John Peers)

Fonte: Pandoratv

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mercoledì 24 giugno 2009

Niki Aprile Gatti, chiede giustizia e verità

"...Il giorno 24 giugno 2008 alle ore 13,15 mi arriva una telefonata sul cellulare, e ripeto CELLULARE con tono freddo mi dice: lei è la mamma di Aprile Gatti Niki?
ed io : Si - e la voce metallica: è il carcere di Sollicciano, una brutta notizia, suo figlio si e' SUICIDATO..."
(Ornella Gemini, madre di Niki)


365 giorni fa, Niki Aprile Gatti veniva "probabilmente" ucciso nel carcere di Sollicciano.

Se il Presidente della Repubblia Giogio Napolitano intervenisse, come gli è stato chiesto, con una lettera, da tantissime persone, potremmo sapere quale mano ha "aiutato" Niki a lasciare prematuramente questa terra




Caldo com'ero nel tuo alvo

Mi attacco alle tue reni

Madre mia. Io sono

Il tuo frutto e a te ritorno

Ogni notte e nell'ora della morte.

Dormiremo come una volta,

Le mie piante premute

Contro il tuo cuore.

(Leonardo Sinisgalli)



sabato 20 giugno 2009

Doniamo libri agli amici aquilani

L'ARCI di L'Aquila, grazie alla gentile concessione dell'ASM trasporti urbani che ha messo a disposizione un autobus grande ed una navetta, ha dato vita ad una piccola biblioteca stanziale in una tendopoli, ed una viaggiante per i vari campi. Si distribuiscono i libri donati da tutti noi.



Con soli Euro 9,10 si possono spedire ben Kg 30 di libri.

N.B. Non dimenticate di apporre una dedica sui libri che donerete e di accludere una nota dove si dice che l'indicazione è arrivata da Miss Kappa (Anna Colasacco)

I libri devono essere indirizzati al seguente indirizzo:

CIRCOLO ARCI
campo Centi Colella
Fermo deposito SDA
67100 L'Aquila

Mi raccomando coinvolgete più persone!

dal blog di Miss Kappa

mercoledì 17 giugno 2009

Abruzzo: tradite le aspettative

"Lo aveva promesso davanti alle bare dei nostri morti",


urlano più di duemila persone contro Berlusconi dalla piazza appena arriva la notizia che la Camera ha bocciato l'emendamento che estendeva il finanziamento totale da parte dello stato anche per la ricostruzione delle seconde case.


Un
sogno infranto, una delusione totale, un vero e proprio tradimento



"Che tradimento. Il governo e la maggioranza parlamentare hanno davvero tradito tutte le aspettative del nostro territorio. Mentre una delegazione era ricevuta dal Presidente della Camera Gianfranco Fini, che ci forniva assicurazioni sullo svolgimento di una discussione trasparente in Aula, senza il ricorso al voto di fiducia sul decreto, abbiamo appreso in diretta della pesante bocciatura degli emendamenti che avrebbero consentito di tradurre in legge quanto ci era stato promesso dal presidente del Consiglio Berlusconi”.

A dirlo è Stefania Pezzopane, la presidente della Provincia dell’Aquila

“Gli emendamenti bocciati per una piccola manciata di voti avrebbero consentito la ricostruzione delle case per i non residenti. È la prima volta che in un decreto per la ricostruzione post terremoto si assume come principio la distinzione tra diritti dei residenti e non. Un vero schiaffo al territorio, un’offesa insanabile per tutti gli aquilani. Una doccia fredda per chi oggi ha manifestato con coraggio, passione e perseveranza per difendere le prerogative del nostro territorio”.

Stefania Pezzopane lancia un messaggio chiaro all’informazione:Non voglio generalizzare – sottolinea – non tutta l’informazione va criticata ma nel complesso, tg e quotidiani, i grandi contenitori d’informazione non raccontano niente della realtà cruda del terremoto. Si assestano sulle dichiarazioni del governo. Che se corrispondessero al vero sarebbe bene parlarne ma non è così…” "non si assesti su quanto si cerca di far credere, tv e giornali vengano qui per raccontare la verità. La verità è che c’è tanta, troppa gente ancora nelle tende. Che viene sballottata da una parte all’altra. Dobbiamo affrettarci per riaprire le scuole? E con quali soldi? Il cambiamento di rotta promesso ed auspicato dopo questa tragedia non c’è stato…” ( trato da un articolo di Stefano Corradino)





Berluscò, non te fare revedè a l’Aquila, si leggeva su uno dei tanti cartelli.



Miss Kappa(Anna Colasacco) scrive: Eccomi di ritorno. Tante le cose da dire. I post lunghi non sono il mio forte. Cercherò di sintetizzare al massimo. A Roma c'eravamo, e non eravamo pochi. Più di duemila. E solo terremotati, ché la partecipazione esterna è stata del tutto irrilevante. Abbiamo capito che il problema, quando si tratta di esserci, è solo nostro. SEGUE


martedì 16 giugno 2009

Milano, niente colonia estiva per i figli degli irregolari

Milano amica dei bambini

L’iniziativa offre l’opportunità a bambini e ragazzi dai 3 ai 14 anni di trascorrere soggiorni in Case Vacanza del Comune di Milano, situate in alcune delle più pittoresche località di villeggiatura del nord Italia. La proposta educativa dei soggiorni nelle Case Vacanza ha come obiettivi principali:
  • favorire il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei bambini nella gestione quotidiana della vita comunitaria per potenziare l’autonomia personale e l’autostima;
  • promuovere la solidarietà tra i componenti del gruppo;
  • sviluppare la responsabilità verso gli altri che deriva da azioni e atteggiamenti personali;
  • migliorare il piacere di relazione interpersonale;
  • vivere lo spirito di avventura unito alla socializzazione e al divertimento;
  • ampliare le capacità creative.
Se non fosse che...

Il comune di milano ha chiuso ai figli degli irregolari il programma Estate Vacanza 2009

L'iniziativa avrebbe consentito ai bambini e ai ragazzi dai 3 ai 14 anni di trascorrere, pagando una piccola somma, una decina di giorni in alcune delle più pittoresche località di villeggiatura del nord Italia

Per partecipare al programma “Estate vacanza” servono: il permesso di soggiorno in regola con la normativa vigente, la fotocopia del documento di identità e del codice fiscale dei genitori.

A differenza delle lezioni durante l’anno, che sono considerate scuola dell’obbligo e sono organizzate dallo Stato, le attività educative e ricreative offerte a luglio, agosto e settembre, nelle scuole e nelle altre strutture comunali, sono servizi facoltativi, integrativi, gestiti dal Comune. Quindi, paradossalmente, ci sono bimbi immigrati che vanno a scuola durante l’anno, ma che a luglio devono restare a casa.

Sul caso interviene Pietro Zocconali, presidente dell'Associazione Nazionale Sociologi, che parla di una decisione''socialmente devastante”, “emarginante e lesiva dei diritti fondamentali dei bambini di ogni razza a godere di cittadinanza piena nel mondo, a prescindere dalla condizione dei genitori. È paradossale – sottolinea il sociologo - che la città ospitante di un evento internazionale come Expo 2015 precluda ai bambini una possibilità come poche di integrazione''.



L’anno scorso, il Comune aveva escluso, con una circolare, i bimbi figli di clandestini o irregolari dall'iscrizioni alle scuole materne.
In quel caso la magistratura aveva bocciato questa scelta come discriminatoria.

Per i centri estivi negati ai figli degli irregolari arriva la prima protesta ufficiale da parte di alcuni insegnanti, i quali esprimono la loro profonda indignazione per la mancata tutela del diritto per i minori a godere di uguale trattamento e pari opportunità; denunciano la violazione del diritto di uguaglianza sancito dalla Costituzione e chiedono che tale normativa venga immediatamente modificata al fine di ristabilire le condizioni affinché a tutti gli alunni siano garantite pari possibilità di accesso.

Nessun commento da parte dell’assessore Moioli (assessore all’Educazione).

FONTE: www.stranieriinitalia.it/

www.lastampa.it/forum/

sabato 13 giugno 2009

Agrigento: Agenti in borghese aggrediscono extracomunitari, poco prima che iniziasse la manifestazione contro i respingimenti

Vi riporto quanto è accaduto ad Agrigento durante la manifestazione di adesione alla campagna nazionale, indetta da Fortress Europe, contro i respingimenti dei clandestini attuata dal governo italiano.
L' articolo è di Vincenzo Campo ,le fotografie sono state scattate da Tano Siracusa.

“Tutto pare assolutamente normale; è un pomeriggio di giugno, già estate, con le sue consuete lentezze e sonnolenze.

Armeggiamo intorno a una pedana e guardiamo il tecnico che combatte con cavi, fili, spine, prese, amplificatori… quello che servirà, fra poco, alla nostra manifestazione contro la cosiddetta linea dura del governo nei confronti degli immigrati, contro i respingimenti in mare, contro la consegna degli sventurati che tentano di venire qui al colonnello Gheddafi e ai suoi torturatori.

Poco più avanti i “vucumprà” con la loro mercanzia fatta delle solite cianfrusaglie: cinture , borsette, occhiali da sole, braccialetti, occhiali per presbiti… loro sono là, come sempre, davanti alle loro cose, pronti a mercanteggiare per spuntare il prezzo migliore intanto che chiacchierano e ridono.

Tutto secondo la norma
Poi d’un tratto la normalità finisce e la flemma delle inconsapevoli comparse d’uno spettacolo assolutamente inatteso e decisamente fuori luogo s’interrompe e si fa attenzione stupita a quello che accade; tutto s’arresta e gli sguardi si rivolgono verso i neri rivenditori di cianfrusaglie, mentre il normale brusio delle chiacchiere di ognuno vie sopraffatto dal rumore d’un’azione repentina e inattesa.
Lo spettacolo comincia d’improvviso e ci mostra un’aggressione in piena regola su quegli sventurati colpevoli di vendere cianfrusaglie, ma senza la licenza e forse pure senza il permesso di soggiorno… delinquenti neri, extracomunitari, da respingere subito, senza por tempo in mezzo, proprio in quel momento,giusto mezz'ora prima che cominciasse la manifestazione contro i respingimenti.



Lo spettacolo è magnifico e d’un realismo incredibile: è la forza dell’autorità che si scatena sugli ultimi: una decina di uomini all’apparenza normali, bianchi, vestiti come noi, con gli abiti informali d’un ordinario pomeriggio d’estate, si avventano sui neri… non si capisce che accade…. La gente è preoccupata e sbigottita… i neri scappano, tentano di scappare, lasciando sul marciapiede la loro impresa abusiva, la loro piccola-grande ricchezza fatta di quelle quattro cose.
Ne acchiappano uno, forse altri due o tre più avanti ma non si vede, lo tengono in due e se lo portano…. a terra un paio di sandali lasciati da qualcuno in fuga, e
padre Gaspare, il missionario comboniano principale organizzatore della manifestazione che da lì a poco si svolgerà, che protesta a voce alta, grida il suo sdegno a quelli che sapremo dopo essere carabinieri, giustamente indignato e forse anche forte dell’abito che porta:
“Se arrestate lui dovete arrestare anche me
", urla.



Ci spostiamo dall’altra parte dei giardini, al comando dei carabinieri, e padre Gaspare entra e parla coi militari; Tano Siracusa viene identificato e invitato a rimanere lì, ma s’allontana spiegando che se non è sottoposto a un fermo può andare dove vuole.

Arrivano notizie contraddittorie: dicono, i militari, di non aver saputo della manifestazione, pur comunicata al questore e perciò consentita, dicono di avere eseguito non meglio precisati ordini superiori, di aver coordinato l’operazione con la polizia di stato, che la loro azione è necessitata dalle continue denunce dei commercianti regolari contro gli abusivi neri e forse clandestini…

Ce ne andiamo e torniamo alla nostra manifestazione; naturalmente, a parte quella decina di extracomunitari che è venuta lì con noi, non se ne vede uno di quelli che abitualmente stanno lì a Porta di ponte, a discorrere o a vendere braccialetti di perline infilate; naturalmente la paura ha avuto la meglio sul diritto e la ragione; ancora una volta, naturalmente, al presunto pericolo nero, all’incalcolabile danno che l’abusivismo del commercio di cianfrusaglie fa a quello regolare dei bei negozi della via Atenea, abbiamo saputo contrapporre la forza dell’autorità, i muscoli della legalità formale.

Quella stessa che non sappiamo o non vogliamo esercitare nei confronti degli autori palesi delle grandi frodi, dei brogli, degli scandali nazionali.

Giustizia è stata fatta: quel disgraziato è rimasto in caserma e ha lasciato sulla strada la ricchezza del suo piccolo commercio; sarà rilasciato e se non è regolare rimpatriato e il segnale è stato dato a chi ha la pretesa di solidarizzare coi neri, cogli arabi, coi berberi, coi magrebini irregolari e abusivi”.

(Vincenzo Campo)





Vi ricordo che dal 10 al 20 giugno : si svolgeranno 93 eventi in 57 città italiane, per dire no ai respingimenti.


LA LISTA COMPLETA DEGLI EVENTI IN PROGRAMMA




venerdì 12 giugno 2009

L’accoppiata Berlusconi-Gheddafi.

La visita di Gheddafi in Italia sta offrendo l’occasione di vedere in faccia gli autori diretti o indiretti delle violenze e degli abusi che i migranti subiscono in Libia. Le agghiaccianti immagini televisive, che vanno ben oltre il ridicolo dei protocolli ufficiali, mandano in onda gli incontri del dittatore libico accolto con abbracci e sorrisi dal governo




Con le seguenti parole il disumano Gheddafi, non ha tradito le aspettative ed ha palesemente ricordato quale sia la sua posizione in materia di asilo politico:"l’asilo politico? Una menzogna diffusa. Chiedono asilo politico? GLi africani non ne hanno bisogno, è gente che vive nella foresta o nel deserto. E poi ancora: Se dovessimo ascoltare Amnesty International tutti potrebbero muoversi e vi trovereste tutta l’Africa in Europa.

Detto, fatto!

Il 6 Maggio per la prima volta tre navi italiane hanno riportato in Libia dei migranti soccorsi in mare.

Ecco il racconto, dei due giornalisti di Paris Match che erano a bordo del guardiacoste Bovienzo:

La scaletta! Per lasciare il gommone in panne bisogna afferrare questo pezzo di ferraglia attaccato alla fiancata della nave. Intanto il gommone continua a sgonfiarsi e a ondeggiare, sbattendo contro l’imbarcazione della guardia di finanza. Questa scaletta è la strada più breve tra l’Africa e l’Europa, tra la miseria e la speranza. In fondo al gommone alla deriva c’è una ragazza stremata e immobile, di cui si vedono solo gli occhi spalancati per il terrore. Gli spintoni per salire sulla scala, la lotta per uscire dal relitto: quest’abbordaggio della disperazione ha qualcosa di dantesco. È terribile anche per i marinai del Bovienzo, che non sono certo al primo salvataggio in mare. “Aspettate, uno alla volta!”, grida uno di loro. Gli ordini del comandante Christian Acero non ottengono nulla di più. Ma che disciplina ci si può aspettare dai sopravvissuti? La sua voce roca è coperta dal rumore di un elicottero che sorvola la zona. Acero è esasperato: “Ma quando se ne va?”. Un membro dell’equipaggio picchia con il manganello sulle sbarre della scaletta per far capire ai naufraghi che non devono attaccarsi tutti insieme. Ma loro se ne fregano: è il mare che fa paura, non gli uomini e i manganelli. Cercano di salire come meglio possono, gli uni sugli altri, rischiando di cadere in mare e affogare. L’angoscia si impadronisce dell’equipaggio del Bovenzio. I primi naufraghi che arrivano a bordo si mettono a sedere contro il telo del pozzetto cercando di stendere le gambe. Hanno il fiato corto e le braccia che tremano. Saud Adill rimane un momento immobile, poi crolla. Si avvicina piangendo ad Amal, un suo amico, anche lui scampato al naufragio. Amal lo abbraccia e lo stringe a sé. Adill ci guarda, le sue labbra tremano. “Acqua”, chiede Amal. Gli diamo una bottiglia. Con delicatezza bagna Adill, poi la bottiglia passa di mano in mano. In pochi secondi è vuota. Intanto i naufraghi continuano a invadere il ponte. Quanti sono? Dieci, venti, trenta. E continuano a salire. I marinai ordinano agli altri di stringersi per fare posto. Alla fine sono 68. A poppa ci sono altre dodici donne.

Solo stracci senza valore
Per giorni queste ottanta persone sono andate alla deriva su un gommone che i marinai del Bovenzio lasciano affondare senza cercare di recuperare gli oggetti che sono a bordo. Del resto, non c’è niente di valore: qualche straccio, delle magliette sporche, una bottiglia vuota. Non è rimasto nulla: né acqua né cibo né benzina. Per arrivare in Sicilia mancano più di cento miglia marine: non ce l’avrebbero mai fatta. “Gli abbiamo salvato la vita”, mormora un membro dell’equipaggio. Il comandante rimane in silenzio, si accende una sigaretta e torna al timone.
Sul ponte, Amal aiuta Adill a riprendersi. Adill è nato nel 1983. “Il 1 Aprile” racconta. “So disegnare. Voglio lavorare, andare a scuola in un paese europeo. Farò tutto quello che volete”. Gesticola, Amal lo calma. Amal è ghanese e ha 26 anni. Ha vissuto e lavorato in Libia per quattro anni, cercando di guadagnare i 1.500 dollari necessari per la traversata. Vuole raggiungere il fratello in Spagna. Non gli va di parlare del viaggio e bisogna strappargli le parole di bocca. È stato uno sconosciuto incontrato al mercato di Tripoli a offrirgli la possibilità di imbarcarsi. Così, una notte è salito su un pickup con altri africani. Lo hanno bendato, portato in una casa e gli hanno preso i soldi. Poi la spiaggia, la partenza e il gommone. Quanto tempo avete passato in mare? Amal non lo sa. “Tre notti, poi la benzina è finita” dice uno dei suoi compagni. Si chiama Franck, ha gli occhi arrossati, le labbra gonfie e screpolate. Come gli altri, è confuso. Qualcuno afferma che il viaggio è durato cinque giorni. Impossibile, risponde un marinaio: “Dopo cinque giorni in queste condizioni non avrebbero la forza di parlare.” Nessuno sembra in grado si stabilire con esattezza il tempo passato in mare. Hanno tutti una storia già pronta – imparata per bene durante la traversata – da raccontare alla polizia e ai giudici: è la storia incredibile di un lungo viaggio e della loro guida che è caduta in mare. Me la racconta Gift, una giovane nigeriana che indossa un paio di jeans scoloriti e ha i capelli arruffati. Mi chiede cosa le succederà. Le racconto quello che ho già visto in passato, quello che sono convinto le succederà. Stiamo navigando verso il molo di Porto Nuovo, a Lampedusa, dove la Croce Rossa, la Caritas e l’Acnur si occuperanno di loro: gli daranno tè e biscotti, coperte e vestiti. E poi assistenza legale, cure e anche una carta telefonica. Gli africani sanno che chi arriva a Lampedusa è trattato come un naufrago, non come un clandestino. Anche se sull’isola non tutti sono d’accordo: gli abitanti non amano vedersi sfilare davanti la miseria del mondo e non vogliono che le loro coste si trasformino in un cimitero a cielo aperto. Nessuno, però, rifiuta un minimo di umanità, di solidarietà, di carità.
Così dico ai naufraghi: “Non vi preoccupate”.
Poi, però, comincio io a preoccuparmi: quando torno in cabina, scopro che la destinazione è cambiata. Lampedusa è a un’ora di navigazione in direzione ovest. Il guardiacoste della guardia di finanza invece sta andando a sud. Cala la notte. I profughi stremati hanno freddo, fame e sonno. “Ieri ha piovuto”, racconta Amal, “siamo ancora tutti bagnati”. Aspira il fumo dalla sigaretta che qualcuno gli ha dato e la passa ai compagni. Un uomo esile chiede da mangiare, ma non avrà nulla. Un altro, che indossa la maglia di Francesco Totti della Roma, chiede dei vestiti asciutti, ma non ce ne sono. Non ci sono neanche le coperte. Sul ponte si vedono le sagome di uomini e donne seduti o sdraiati, avvolti in lembi di stroffa sporca. S’intravedono dei piedi. L’odore è forte, nauseante. Meglio non pensare alle condizioni igieniche in cui queste persone hanno trascorso gli ultimi giorni. Qualcuno si alza per andare a vomitare, accompagnato da un membro dell’equipaggio. Intanto un marinaio napoletano distribuisce alle donne bottiglie d’acqua, biscotti al cioccolato e ovatta per le orecchie. Il gruppo delle donne è seduto sopra i motori: fa meno freddo che a prua ma c’è un rumore insopportabile.
Gift è accucciata, ha lo sguardo perso nel vuoto. Sulla testa porta uno scialle e tiene le mani nelle tasche della giacca. Ha mal di denti e non riesce a mangiare. Per un momento si rianima, guarda il cielo, la luna a babordo e la stella polare che brilla a prua. “Where are we going?”chiede. Nessuno le risponde. È mezzanotte. Incrociamo due barche della guardia costiera. Anche loro trasportano dei clandestini. Per radio il comandante del Bovienzo chiede delle coperte isotermiche e l’aiuto di un medico. Qualche minuto dopo un dottore sale a bordo, senza coperte però. Basso e corrucciato, il dottor Arturo indossa l’uniforme rossa del Corpo italiano di soccorso dell’ordine di Malta. Ha con sé una valigetta piena di medicine e parla solo italiano. Io ed Enrico, il fotografo, facciamo da interpreti.
Due malati si sono rifugiati in un gommone di salvataggio del Bovienzo. “Fuel burn”, dice uno di loro indicandosi i genitali. “Ho i guanti sporchi”, risponde il medico. Mi chiede di tirare fuori dalla borsa uno spray e lo spruzza sui genitali del paziente, che fa una smorfia prima di riabbottonarsi i jeans. Gli altri immigrati capiscono che il medicinale allevia il dolore. Sul fondo del gommone si era sparsa della benzina e loro sono rimasti per ore a mollo nel carburante. Tutti hanno delle bruciature sul sedere. Si alzano uno dopo l’altro, abbassano i pantaloni. Quelli che ne hanno ancora la forza, ridono. Un senegalese che indossa un giubbotto con la chiusura lampo spiega in francese che ha la nausea e vomita in continuazione. “Vediamo un po’” risponde il medico. Qualcuno ha mal di testa. “Da quanto tempo?” “Due mesi” “Non posso farci nulla. Sono qui solo per le urgenze.” Un altro apre un vecchio sacco di plastica e mostra due fialette vuote. “Le mie medicine” dice. “Sono asmatico e nel mio paese questa medicina non si trova più. Mio padre mi ha detto di andare…” “Di cosa soffre esattamente?”, lo interrompe il medico prima di girarsi. “Andiamo a vedere le donne”. Una sta male: si tocca i fianchi e il petto facendo dello smorfie. Non parla inglese e Gift non ha più la forza per tradurre. Il dottore l’ausculta, sospira e passa alla vicina, che abbassa i pantaloni. “Fuel burn”. Gift parla del suo mal di denti. “Vediamo dopo”, dice il medico. Dopo cosa? Non risponde. Gift piange. Il medico finisce il suo giro: “Non posso occuparmi di tutti!”. Si volta verso di me e aggiunge: “È sempre così, si lamentano delle irritazioni dovute all’acqua di mare. Ma questi sembrano in buona salute.” Gli restituisco la valigetta, siringhe e medicinali che non sono serviti a nulla. Almeno il dottore ha portato dei secchi della spazzatura. I marinai li distribuiscono e gli immigati li indossano come giubotti. A poppa le donne, rannicchiate le une contro le altre, li usano come coperte.

Inutili preghiere
Alle sette del mattino il sole è ormai alto. La nave continua a fare rotta verso sud. I naufraghi tremano dal freddo. Alcuni sono immobili, rigidi come manichini. Poi un uomo si alza e grida: “Guardate che bella giornata! Pregate il Signore, è un giorno felice, il Signore è buono”. In mano ha una Bibbia. Tre suoi amici si mettono a cantare. Voci basse e una melodia lenta. Un coro di schiavi. L’uomo con la Bibbia grida: “Noi amiamo Gesù e io sono un vincente!”. Dove trovi l’energia, dopo tre giorni in nave, è un mistero. La maggior parte dei passeggeri è cristiana e porta una croce al collo. “Pray the Lord! Alleluia! Voglio vedere delle persone felici” continua il prete, che ringrazia Dio per averli salvati. I passeggeri pregano: “Gesù è mio padre e non mi abbandonerà mai!”.
Ma molti di loro cominciano ad avere dei dubbi. “Dove stiamo andando?” chiedono. Sono passate dodici ore dal salvataggio e la terra all’orizzonte non è Lampedusa. Si scorgono gli edifici del lungomare di Tripoli. Non è la democrazia, la carità, l’umanità. È la Libia. A bordo cala il silenzio. La preoccupazione aumenta, ma nessuno dei clandestini riconosce Tripoli dal mare: quando sono partiti non l’hanno vista. Anche i marinai sono preoccupati. Come reagiranno gli immigrati quando si accorgeranno di non essere in Italia? All’improvviso un passeggero indica il recinto del vecchio mercato, dove si riparano gli africani in partenza per l’Europa.
Il Bovienzo entra in porto, in un molo isolato, nascosto da alcune grandi navi mercantili. A terra c’è un funzionario libico con i baffetti e un vestito bianco a dirigere le operazioni. Amal si gira verso di noi: “Ma siamo a Tripoli! Perché ci trattano così?”. Qualcuno mi prende per la mano. “Mi servono dei soldi” dice un uomo con la giacca di jeans guardandomi negli occhi. Con pochi euro riuscirebbe a evitare la polizia libica. La passerella è stata calata. Un camion bianco si ferma sul molo. Ha due finestrini minuscoli con le grate e, all’interno, due panche di ferro. All’improvviso comincia la rivolta. Durerà un’ora: un’ora di urla, di pianti e di lotte. I clandestini che scendono a terra spontaneamente sono pochi. Bisogna andarli a prendere uno per uno. Tirarli, spingerli, minacciarli. Ci vogliono quattro o addirittura sei persone per sollevarli e portarli a terra. Un uomo prende una corda e mima la propria impiccagione. Un italiano lo minaccia col manganello. In un angolo c’è una persona svenuta. “Portate dell’acqua!” grida qualcuno. Il medico non ha tempo per visitarlo. Il malato è portato sul molo.
I marinai italiani non ne possono più. Uno di loro mormora: “Non è possibile”. Ma a poco a poco la barca si svuota. Adill e Amal se ne vanno senza protestare. Scrivono il loro nome su un foglio e salgono sul furgone. Ci rimarrano per ore, senza bere né mangiare. A salvarli forse è stato Dio, non certo gli europei. Alle nove e mezzo sulla barca della guardia di finanza rimangono solo quattro persone. Gli italiani non sanno come calmarli.
L’uomo che gridava “Alleluia”durante la messa, adesso ulra di rabbia. Si è tolto la camicia arancione, la maglia e le mutande. È nudo e mostra le ferite che gli hanno inflitto i poliziotti libici, i suoi aguzzini. “Libia is not our country, me go Nigeria”, grida un altro uomo. Loro due esguono una specie di danza macabra sul ponte, mentre gli altri mostrano il petto ai mitra libici. “Shoot us!” gridano. Poi crollano e si mettono a piangere. Il funzionario libico sorride: “Gheddafi ama gli africani”. L’uomo nudo si rende conto di aver perso. È solo e nudo, davanti a dieci italiani che non sanno cosa fare e a una trentina di militari e poliziotti libici impassibili. Si infila le mutande e scende dalla passerella. Anche lui scrive il suo nome su un foglio e sale sul camion.
Gli ottanta naufraghi sono sbarcati. Sono i primi “beneficiari” della nuova politica contro l’immigrazione illegale adottata dal governo Berlusconi in collaborazione con la Libia. Il Bovienzo riprende il mare verso Lampedusa. “Brutto lavoro” dice un membro dell’equipaggio che era rimasto in silenzio. Sì, sono proprio costretti a fare un brutto lavoro.

Visto che l’asilo è una menzogna allora le torture, la carcerazione, le violenze, i traffici organizzati dalla Polizia libica, gli spari sulle barche in partenza ed i respingimenti illegali dell’Italia, sarebbero legittimi, sempre secondo l’accoppiata Berlusconi-Gheddafi.
I "respingimenti", la cattiveria promossa a metodo di governo


FONTE: Meltingpot.org
La vignetta è di: bandanas

mercoledì 3 giugno 2009

Nelle terre confiscate alla mafia

Olio, vino, pasta, legumi, conserve alimentari e altri prodotti biologici, sono il frutto del lavoro di giovani che, riunitisi in cooperative sociali in Sicilia, Calabria, Campania, Puglia e Lazio, coltivano ettari di terra confiscati ai boss della mafia, grazie alla legge di iniziativa popolare 109/96 nata da una grande mobilitazione promossa da Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie.



In Sicilia,la Cooperativa Placido Rizzotto - Libera Terra produce lavoro, legalità e squisiti cibi biologici, testimoniando una sicilianità autentica fuori dai luoghi comuni, dove una vita normale e il sogno di un futuro nella propria terra è finalmente possibile.








Ogni anno su questi terreni si svolgono i campi di volontariato internazionale con giovani provenienti da ogni parte del mondo.



Segno concreto di una volontà, sempre più diffusa tra i giovani, di voler essere in prima linea e di voler tradurre questo loro impegno in un'azione concreta di solidarietà e di condivisione.
I campi vengono suddivisi in diversi momenti: di mattina le attività lavorative per il recupero dei beni confiscati e della loro produttività. Accanto al lavoro manuale vengono organizzati dei momenti di formazione e informazione sui temi della legalità, dell'uso sociale dei beni confiscati, delle mafie. La sera infine diventa momento di incontro e confronto tra i volontari e tra i volontari e le comunità locali attraverso iniziative di animazione territoriale e socialità.

Per l'estate 2009, Libera in collaborazione con i coordinamenti territoriali, con le cooperative Libera Terra e con Legambiente organizza diverse tipologie di campi di lavoro sui beni confiscati.
CLICCA QUI', per conoscere date e indirizzi

Acquista i prodotti di Libera Terra on line, QUI'....perché anche in questo modo è possibile sconfiggere la mafia.