Ascoltate Josè Saramago intervistato da Serena Dandini

venerdì 28 novembre 2008

Rompi anche tu le scatole ai trafficanti. Vieni nelle piazze italiane il 29 e 30 novembre 2008

Arrivano a migliaia ogni anno.
Dai Paesi dell'Est.
Sottratti alle madri appena nati.
Per finire nei negozi di animali.

Viaggiano in condizioni ai limiti della sopravvivenza.
Chi arriva vivo viene dotato di pedigree, certificato sanitario e microchip.
Tutti falsi, naturalmente.
Ma i soldi che girano sono veri.
Li spendono migliaia di persone ignare, comprando cuccioli di cane o gatto.

Questione di business. Un business, che arricchisce trafficanti senza scrupoli.

Questa è la storia che accomuna migliaia di cuccioli di cane e gatto.


E' la storia di Nana, Gino Heidi
. Tre cuccioli di neanche quattro mesi, strappati alle loro madri ancora piccolissimi.
Partiti dall'Ungheria, hanno viaggiato per arrivare in Italia
Illegalmente.
Destinazione? La vetrina di un negozio vicino Roma. Pronti per essere venduti con una documentazione falsa.




La LAV, insieme al Corpo Forestale dello Stato, li ha salvati. Ora si sta prendendo cura di loro.


Aiutali anche tu!


Vuoi accoglierli nella tua famiglia?


Compila il form di
richiesta adozione.
Verrai ricontattato al più presto dal responsabile adozioni.


OPPURE : Adottali a distanza


Il 29 e 30 novembre

la LAV sarà in centinaia di
piazze in tutta Italia con la Campagna contro il traffico di cuccioli di cane e gatto.

Vieni a firmare la petizione: insieme chiederemo alle Istituzioni leggi e misure di controllo e contrasto del traffico!


Se non puoi venire in piazza, firma la petizione on line cliccando
qui

Per scoprire quello che non sai sul traffico e per dirlo ai tuoi amici!

Visita
nonlosapevo.com:

Fonte : LAV

giovedì 27 novembre 2008

Basta soldi ai circhi che usano animali

Cresce nel Paese l'avversione all'utilizzo degli animali all'interno di circhi e spettacoli viaggianti.


E mentre alcuni sindaci hanno già provveduto ad emanare in proprio normative specifiche che vietano l'insediamento dei tendoni dei circensi nei propri territori qualora sia previsto l'utilizzo di animali in scena, è ora il Parlamento che sceglie di mettere mano alla materia con l'obiettivo di arrivare ad una progressiva, ma anche piuttosto rapida, scomparsa dei circhi equestri. Mai più imprese di domatori o parate di elefanti ballerini, dunque: il futuro del circo dovrà essere tutto nelle mani di clown, acrobati e trapezzisti.

E' la deputata del Pdl Gabriella Giammanco la capofila di questa mobilitazione di parlamentari che, provenienti da tutti gli schieramenti, stanno lavorando ad un progetto di legge che metta la parola fine alla presenza di bestie più o meno feroci nelle piste e nelle gabbie dei circhi italiani.
A sostegno dell'iniziativa ci sono anche la Lega Antivivisezione ( LAV) e l'Ente nazionale per la protezione animali ( ENPA), che da tempo si battono per una evoluzione dell'arte circense che come già avviene in molti casi, l'esempio più eclatante è quello del Cirque du Soleil, riesce a ottenere un grande successo anche facendo a meno degli animali.
In base alla nuova normativa, il cui iter è al momento alle fasi iniziali, le risorse del Fondo unico per lo spettacolo andranno solo ai circhi e agli spettacoli viaggianti che non utilizzano animali. Non solo: si prevede di vietare l'ingresso in Italia ai circhi stranieri che contemplano l'utilizzo di animali e si annuncia l'istituzione di una commissione presso il ministero dell'Ambiente, che si occupi di gestire la dismissione graduale degli animali già attualmente «in servizio» nei circhi, occupandosi di individuare le migliori sistemazioni alternative.

Nel video una clip del venticinquesimo anniversario del Cirque du Soleil: un mix drammatico tra arte circense e intrattenimento di strada.


VOTA: Siete d'accordo con la nuova legge?

Fonte: CORRIERE DELLA SERA .it

mercoledì 26 novembre 2008

Al via a Rio de Janeiro il III Congresso mondiale contro lo sfruttamento sessuale dei bambini

25 novembre 2008, Rio de Janeiro (Brasile) - Circa 3.000 partecipanti da oltre 125 paesi sono arrivati a Rio de Janeiro in Brasile per scambiare lezioni ed esperienze nella lotta allo sfruttamento sessuale dei bambini, per analizzare i progressi e per rinforzare gli impegni.

«Lo sfruttamento sessuale lascia ai bambini cicatrici psicologiche e, a volte, anche fisiche e riduce le loro speranze di condurre una vita dignitosa» afferma il Direttore generale dell'UNICEF Ann Veneman. «Nessun paese o regione è immune e non ci sono spettatori innocenti».


Lo sfruttamento sessuale è una violazione del diritto dei bambini alla cura e alla protezione.

Il Congresso analizzerà differenti forme di sfruttamento sessuale dei bambini, incluso lo sfruttamento sessuale in famiglia, i matrimoni precoci, lo sfruttamento sessuale dei bambini che svolgono lavori domestici, l'industria commerciale del sesso, così come il fenomeno della pornografia infantile e lo sfruttamento sessuale via Internet.

Gli sfruttatori utilizzano sempre nuovi mezzi per arrivare ai bambini, incluso Internet e le tecnologie di telefonia mobile di nuova generazione, e gli adulti possono adescare i bambini nelle chat room e usare internet per pubblicare o scaricare materiale pornografico.

Banner del III Congresso mondiale contro lo sfruttamento sessuale dei bambini

Sette anni dopo l'ultimo Congresso mondiale, tenutosi a Yokohama (Giappone) nel 2001, che si era concentrato esclusivamente sullo sfruttamento sessuale dei bambini a fini commerciali, in Brasile si discuterà di nuove strategie per combattere anche forme di sfruttamento sessuale a fini non commerciali, come lo sfruttamento sessuale in famiglia, o da parte di leader religiosi, di insegnanti, di operatori impegnati in missioni di peacekeeping e di gruppi armati nelle zone di conflitto.

«Lo sfruttamento sessuale è la peggior forma di abuso di potere» ha detto la Veneman.

«Un paio di anni fa ho incontrato in Ruanda una ragazza di 16 anni che mi ha domandato in maniera diretta 'Che hai intenzione di fare per porre fine agli stupri?' È una domanda a cui dobbiamo rispondere collettivamente e con un rinnovato senso di urgenza».


Vai alla photogallery "Il silenzio è complice"

"Il silenzio è complice" - Una galleria fotografica


Alcuni dati su cui riflettere

Lo Studio del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulla violenza sui bambini del 2006, usando anche fonti OMS, stima che 150 milioni di bambine e 73 milioni di bambini sotto i 18 anni abbiano avuto rapporti sessuali forzati o subito altre forme di violenza sessuale e sfruttamento.

Secondo dati dell'ILO, nel 2000 1,8 milioni di bambini venivano sfruttati sessualmente o attraverso la prostituzione o la pornografia.

Secondo dati UNICEF, nel mondo circa 82 milioni di bambine - alcune giovanissime (anche di 10 anni) - si sposeranno prima di raggiungere il diciottesimo anno di età e sono a rischio di violenza fisica e sessuale da parte dei loro mariti adulti.

Nel maggio 2006, il database dell'Interpol sulle immagini di bambini sfruttati conteneva foto di più di 20.000 bambini sfruttati sessualmente per produrre pornografia infantile; la maggioranza di queste erano nuove foto, a dimostrazione di recenti casi di sfruttamento.

Fonte : http://www.unicef.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1

lunedì 24 novembre 2008

25 Novembre 2008: Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne

La violenza contro le donne e le ragazze continua con la stessa intensità in ogni continente, Paese e cultura. Questa impone un devastante dazio sulla vita delle donne, sulle loro famiglie e sull’intera società. La maggior parte delle società proibiscono questo genere di violenza – in realtà questa è ancora troppo spesso coperta o tacitamente condonata.”
(Ban Ki-Moon, Segretario Generale delle Nazioni Unite, 8 marzo 2007).



Solo nel 2006, secondo i dati Istat, le donne italiane vittime di violenza sono state 1 milione e 150 mila pari al 5,4% del totale. Il 3,5% ha subito violenza sessuale, il 2,7% violenza fisica; 74 mila (0,3%) invece le donne che hanno subito stupri o tentativi di stupri. Nella maggior parte dei casi la violenza sessuale e' stata opera del partner (69,7%) o di un conoscente (17,4%), mentre nel 6,2% dei casi di uno sconosciuto. Sono 1 milione e 400 mila le ragazze che hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni.



Perché il 25 Novembre è il Giorno contro la Violenza verso la Donna?

Quarantacinque anni fa Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, eroine della lotta di liberazione della Repubblica Dominicana dal dittatore Trujillo, che mantenne il paese dominicano nell’arretratezza per 30 anni, nell'ignoranza e nel caos. (1930-1961), andarono a visitare i loro mariti alla prigione, in compagnia della sorella Patria. Furono intercettate in un posto solitario della strada da agenti del Servizio Militare di Intelligenza. Condotte ad un canneto vicino, furono oggetto delle più crudeli torture, prima di essere vittime di quello che si è considerato il crimine più orripilante della storia dominicana. Coperte di sangue, massacrate a colpi, strangolate, furono messe nuovamente nel veicolo nel quale viaggiavano e gettate in un precipizio, con la finalità di simulare un incidente. L'assassinio delle sorelle Mirabal produsse un gran sentimento di dolore in tutto il paese, ma servì per fortificare lo spirito patriottico di un paese desideroso di stabilire un governo democratico che garantisse il rispetto alla dignità umana.
La memoria di queste coraggiose sorelle, martiri che rischiarono le loro vite e le diedero, effettivamente per la causa della donna ci riempie di speranza e ci dà forza per continuare a lottare per una società ugualitaria nella quale donne ed uomini possano vivere in fraternità umana.
Oggi sono il simbolo internazionale della battaglia contro la violenza alle donne. L’Onu ha reso indelebile il loro ricor
do nel 1998, proclamando il 25 novembre, anniversario della loro morte, la giornata internazionale contro la violenza alle donne. La bellezza e la vivacità delle quattro sorelle Mirabal, soprannominate ‘las mariposas’, le farfalle, sono ancora oggi ricordate in tutta l'America Latina e nel mondo.

365 giorni - dal 25.11.2008 al 25.11.2009 - da Niscemi a Brescia

La Staffetta di donne contro la violenza sulle donne percorrerà l’Italia per un anno intero, a partire dalla giornata internazionale del 25 novembre; partirà da Niscemi, dove è stata assassinata Lorena e si concluderà a Brescia, dove è stata sgozzata Hiina.




Sarà un modo di dire a tutti forte e chiaro che tu, io, noi siamo unite e diciamo basta alla violenza.










NO


al donnicidio,
alla violenza familiare,
agli stupri,
ai maltrattamenti,

ai sequestri,
agli abusi,
alla molestia sessuale,
al machismo,
al sessismo,
ed a tutte le altre aggressioni che violano i diritti umani basilari, i diritti sessuali ed i diritti riproduttivi.

Perché continueremo a lottare fino a che riusciremo a vivere in tolleranza, in uguaglianza in realtà, in uguaglianza di diritto, in uguaglianza di opportunità ed in uguaglianza di genere.

Simbolo e testimone della Staffetta, che attraverserà l’Italia passando di mano in mano, è un’anfora con due manici, così che la possano portare due donne. Questo gesto di “portare insieme” vuol proprio significare l’importanza della relazione, della solidarietà, della vicinanza tra noi su tutti i temi che ci toccano profondamente.

In ogni luogo in cui la Staffetta passerà, le due donne che l’hanno avuta in consegna la consegneranno ad altre due, pubblicamente.

Le donne che aderiscono alla Staffetta, organizzeranno iniziative pubbliche, come dibattiti, mostre, seminari, proiezioni video.

L’anfora, al suo passaggio, diventerà una testimone “viva”, perché le donne potranno infilarvi un biglietto con i propri pensieri, immagini, denunce, parole.

la staffetta potrà essere seguita tappa dopo tappa, sul sito dell’Udi www.udinazionale.org

Fonti : http://www.udinazionale.org/

http://www.onuitalia.it/events/vio_donne08.php

domenica 23 novembre 2008

Sudafrica: le donne affette da HIV che vivono nelle aree rurali subiscono violazioni dei diritti umani

Il Sudafrica continua ad essere al centro di una grave epidemia di HIV, con cinque milioni e mezzo di persone contagiate dal virus, il più alto numero al mondo. Il 55% dei contagi riguarda le donne.
Allo stesso tempo, il Sudafrica presenta elevati livelli di violenze sessuali e altre forme di violenze legate al genere.
Qui le donne al di sotto dei 25 anni sono da tre a quattro volte più a rischio di essere infettate dall'HIV rispetto agli uomini nella stessa fascia d'età.



L'impatto discriminatorio dei ruoli di genere e degli stereotipi ostacola a sua volta la capacità delle donne a proteggere se stesse e a prendere le decisioni migliori per la propria salute.

Ad esempio, le donne spesso non sono in grado di insistere sull'uso del preservativo per proteggersi dal rischio di trasmissione dell'HIV da un partner maschile, poiché sono economicamente e socialmente dipendenti da questo partner o dalla sua famiglia e/o perché rischiano di essere sottoposte a violenza o abbandonate solo per il fatto di aver suggerito di usare il preservativo. Questi modelli discriminatori, inoltre, mettono le donne a rischio di violenze, abbandoni o altri abusi quando fanno il test per l'HIV e rivelano il loro stato.

La percentuale di donne tra i poveri e i disoccupati in Sudafrica è altissima. La povertà funziona da barriera all'accesso ai servizi sanitari per le donne che, nelle aree rurali del paese, vivono con HIV e AIDS, a causa delle distanze e dei costi di trasporto.

Nel rispondere all'epidemia di HIV, alla discriminazione e alla violenza sulle donne, il governo sudafricano deve rispettare gli obblighi previsti sia dalla legge nazionale, sia dal diritto internazionale dei diritti umani e relativi all'eliminazione di tutte le forme di discriminazione, incluse quelle basate su genere, sessualità o condizione economica, che ostacolano l'affermazione del diritto alla salute. Il governo ha anche l'obbligo di promuovere, proteggere e realizzare il diritto delle donne all'eguaglianza, i loro diritti sessuali e riproduttivi e il diritto alla libertà da qualsiasi forma di violenza e abuso.

Amnesty International chiede ai ministri provinciali competenti in materia di salute e sicurezza di:

  • assicurare che ogni sotto-distretto sanitario nelle aree rurali abbia almeno un centro sanitario in grado di somministrare un trattamento di profilassi post-esposizione (PEP) alle donne vittime di stupro, assieme a cure e trattamenti comprensivi;
  • assicurare che almeno due ufficiali di polizia in ogni stazione abbiano le necessarie competenze professionali e conoscano i loro obblighi in materia di diritti umani nei confronti di coloro che denunciano violenze sessuali e altre forme di violenza di genere.

Data di pubblicazione dell'appello: 20.11.2008

LEGGI E FIRMA I DUE APPELLI
proposti da Amnesty International
, QUI'

venerdì 21 novembre 2008

L'Italia vola in guerra

I quattro cacciabombardieri italiani Tornado del 6° stormo 'Diavoli Rossi' di Ghedi partiranno per l'Afghanistan "nei prossimi giorni". Lo ha confermato ieri il generale Vincenzo Camporini, Capo di stato maggiore della Difesa.


Missione di guerra. Secondo i 'caveat' imposti dal governo italiano, la missione di questi aerei da guerra - che ci costerà oltre quattro milioni di euro al mese - non sarà quella di sganciare missili e bombe. Ma ciò non vuol dire che non parteciperanno alla guerra.I quattro Tornado - che non saranno sotto comando italiano, bensì a disposizione del comandante statunitense David D. McKiernan - verranno impiegati su tutto lo spazio aereo afgano in operazioni di sorveglianza del territorio ma anche in operazioni di intelligence e ricognizione, ovvero di 'acquisizione obiettivi'. Vale a dire che individueranno gli obiettivi che poi verranno bombardati da altri caccia alleati o attaccati dalle truppe di terra della Nato.
Affermare che i Tornado non parteciperanno alla guerra è come dire che non lo fa l'ufficiale di puntamento addetto a un pezzo d'artiglieria che dà le coordinate di tiro all'artigliere, o che non lo facevano i soldati che venivano spediti in perlustrazione fuori dalle trincee prima di un attacco.

Lo dicono anche i militari. "Le missioni aeree di ricognizione non hanno finalità ricreative e umanitarie", ha ironizzato il generale Fabio Mini, ex comandante della missione Kfor in Kosovo. "Sono missioni da combattimento vero e proprio in quanto preludono all'attacco con bombe a grappolo, incendiari ed esplosivi ad alto potenziale".
La stessa ovvietà fu evidenziata nel marzo 2007 dall'associazione pacifista di ufficiali tedeschi 'Darmstaedter-Signal' alla vigilia dell'invio dei sei Tornado della Luftwaffe che ora i nostri quattro vanno a sostituire con gli stessi compiti. "Non si può dire che il loro impiego sarà 'non-combat' perché i risultati dei loro voli di ricognizione guideranno gli attacchi condotti da altri aerei o da truppe di terra".

E magari anche bombe. Al di là di questo, rimane il dubbio che i Tornado alla fine possano venire segretamente usati anche per bombardare. "Gli aerei sotto controllo americano non hanno limiti operativi e i nostri cacciabombardieri saranno chiamati a 'cacciabombardare'", ha dichiarato il generale Mini.D'altronde, osservano molti, per fare perlustrazione e osservazione delle postazioni nemiche non bastano gli aerei spia telecomandati come i 'Predator', che sono fatti apposta?
Anche durante la guerra del Kosovo del 1999 i Tornado italiani, ufficialmente, svolgevano solo missioni di ricognizione e supporto aereo. Poi si scoprì che sganciarono tonnellate di bombe su Belgrado. (di : Enrico Piovesana)


I nostri Tornado vanno a combattere in Afghanistan!



Il reporter inglese Tim Hetherington ha vinto il Rory Peck Award – il prestigioso premio per i giornalisti freelance – con un documentario sulla guerra in Afghanistan.
L’aspetto significativo di questa notizia è il taglio molto particolare del filmato, che mostra i soldati nella loro più cruda realtà quotidiana fatta di paura, di sudore, e a volte anche di lacrime.



Il fatto di voler premiare un lavoro che punta decisamente il dito sull’assurdità della guerra, indica una chiara volontà di invertire la rotta rispetto al periodo di Bush e Blair, in cui i media ci propinavano il presidente americano vestito da aviatore, che atterrava sulle portaerei come un eroe dei fumetti.
I media servono a propagandare le guerre di conquista, quando la popolazione senta la necessità impellente di difendersi – da un nemico che ovviamente non esiste, ma che essa percepisce come reale - ma fortunatamente sanno anche mostrarne l’aspetto più brutale e repellente, quando cominci a prevalere, nella popolazione stessa, il desiderio di porvi fine.
Era accaduto così per il Vietnam, e ci si augura che questo premio sia il segnale di una inversione di rotta che ormai la maggior parte del mondo sente come necessaria, se non addirittura urgente e improrogabile.

Fonte : http://www.megachip.info/index.php

giovedì 20 novembre 2008

"Crisi Dimenticate"

Diete, chirurgia estetica e il solito gossip sono più importanti di milioni di persone uccise dall’HIV/AIDS e dalla tubercolosi?

Le dieci crisi umanitarie identificate da Medici Senza Frontiere (MSF) come le più ignorate dai media sono: Somalia, Zimbabwe, tubercolosi, malnutrizione infantile
, Sri Lanka, Repubblica Democratica del Congo, Colombia, Myanmar, Repubblica Centrafricana e Cecenia.



La tubercolosi colpisce ogni anno 9 milioni di persone, e ne uccide due milioni
.

Nonostante il continuo aumento delle vittime, dagli anni sessanta non ci sono stati progressi nella ricerca per la cura della tubercolosi, e il test diagnostico più comunemente usato, lo striscio dell’espettorato, sviluppato nel 1882, è in grado di scoprire la malattia solo nel 50% dei casi. Sarebbero necessari 900 milioni di dollari di investimenti annui per la ricerca e lo sviluppo per combattere la tubercolosi, ma a livello mondiale ne vengono investiti solo 206. MSF sta curando circa 29mila pazienti affetti da TBC in 40 paesi.

L’HIV/AIDS ha ucciso due milioni di persone nel 2007.

Nei paesi del sud del mondo, oggi due milioni di persone colpite dall’HIV/AIDS ricevono i farmaci antiretrovirali necessari alla loro sopravvivenza, ma ci sono altri 5 milioni di malati che non hanno accesso a questi farmaci. MSF fornisce gratuitamente farmaci antiretrovirali a 112mila persone in più di 30 paesi in via di sviluppo.

È degno di nota tutto ciò?

La risposta dei telegiornali italiani è NO!

Molto più interessanti paiono essere le notizie che riguardano i consigli per dimagrire e la chirurgia estetica. O, meglio ancora, il solito gossip.

Uno studio realizzato da Medici Senza Frontiere in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia rileva, infatti, come le principali edizioni (mezzogiorno e sera) dei telegiornali RAI e Mediaset abbiano dedicato, nei mesi di giugno, luglio e agosto, 12 servizi all’HIV/ADIS e solamente 1 alla TBC.

In tutto, 13 servizi per due malattie che uccidono 3,6 milioni di persone ogni anno, contro 21 notizie sui consigli per dimagrire e sulla chirurgia estetica. Ma, ancora più spazio hanno ottenuto le nozze tra Flavio Briatore ed Elisabetta Gregoracci: 33 notizie (con alcuni telegiornali che ne parlano più di altri)!

“Medici Senza Frontiere è nata con l’obiettivo di portare soccorso alle popolazioni in pericolo e di testimoniare della loro situazione. L’azione di testimonianza, che significa raccontare la vita e le sofferenze delle popolazioni vittime della guerra, delle malattie e delle catastrofi naturali, è essenziale per sollevare problemi che altrimenti resterebbero sconosciuti e richiamare alle proprie responsabilità nei confronti delle popolazioni in pericolo i governi e le istituzioni”, afferma Kostas Moschochoritis, direttore di MSF Italia.

“Per questo Medici Senza Frontiere è impegnata in un’azione di stimolo costante nei confronti dei mass media - conclude Moschochoritis - affinché non tralascino di informare sulle realtà dei tanti contesti di crisi nel mondo, nell’erronea convinzione che questi non interessino. A marzo, MSF Italia ha pubblicato per il quarto anno consecutivo il Rapporto sulle Crisi Dimenticate, che presenta la triste top ten delle crisi umanitarie più ignorate nel corso del 2007 a livello internazionale, e un’analisi realizzata dall’Osservatorio di Pavia sullo spazio dedicato alle crisi umanitarie dalle principali edizioni dei telegiornali Rai e Mediaset.

Scarica il Rapporto sulle Crisi Dimenticate 2007 (PDF)

La nostra speranza è che i media italiani accettino la sfida di raccontare le crisi umanitarie, nella consapevolezza che raccontarle sia il primo passo verso affrontarle e risolverle.


Guarda la galleria fotografica

Fonte: http://www.medicisenzafrontiere.it/default.asp

mercoledì 19 novembre 2008

Ho un amico che per ammazzarsi ha dovuto farsi assumere in fabbrica…

Turista tu balli e tu canti, io conto i defunti di questo Paese, dove quei furbi che fanno le imprese, no, non badano a spese... Ho un amico che per ammazzarsi ha dovuto farsi assumere in fabbrica. Tra un palo che cade ed un tubo che scoppia, in quella bolgia si accoppa chi sgobba; e chi non sgobba si compra la roba e si sfonda, finché non ingombra la tomba…”

Sono i versi di “Vieni a ballare in Puglia”, il brano del noto cantante pugliese Caparezza, al secolo Michele Salvemini. Una forte denuncia contro il dramma delle morti bianche e lo sfruttamento del lavoro.

Ieri l’ennesima tragedia: in Emilia, esplode un'azienda di gomma: perdono la vita due persone, sei feriti lievi. Poteva essere una strage di proporzioni ben più elevate.

In serata una storica sentenza: accusati i sei manager della Thyssen Krupp, imputati per l'incidente nello stabilimento di Torino in cui morirono 7 operai.

Se - afferma Caparezza ad Articolo21 - io fossi il proprietario di uno stabilimento in cui muoiono i miei operai o le persone che abitano vicino alla mia fabbrica non dormirei certo sonni tranquilli”.



“Ho un amico che per ammazzarsi ha dovuto farsi assumere in fabbrica” recita un verso della tua canzone. Molto esplicito…
Sì, ma c’è anche chi ha frainteso quei versi e non so se lo ha fatto con un secondo fine. In ogni caso è un argomento che mi sta molto a cuore.

Tuo padre è stato un operaio
Sì ma non penso dipenda solo da questo. E’ un tema che mi tocca. Credo che fare l’operaio non sia un’ambizione ma qualcosa da fare per campare. E allora, quando ciò che già di per se è un sacrificio, viene reso un inferno, diventa ancora più paradossale ricordarsi che in Italia c’è un articolo della Costituzione, il primo...

Quando si è cominciato a parlare più nel dettaglio di sicurezza sul lavoro tu avevi già scritto questa canzone
Sì, ma non si tratta di doti di chiaroveggenza... L’ho scritta come la maggior parte di quelle che compongo, documentandomi. Alcune cose sono nell’aria. E le morti bianche hanno radici storiche. Negli anni settanta è stata fatta carne da macello in molte fabbriche italiane e in quasi tutte chi aveva responsabilità è rimasto impunito. In Puglia ci sono due grossi stabilimenti tristemente noti per queste vicende, il petrolchimico e siderurgico di Taranto e di Brindisi. Quello che è successo lì lo so anche grazie alle parole ancora piene di angoscia dei familiari delle vittime. Ma il problema non è solo loro.

E di chi?
Dei tanti che direttamente o indirettamente sono coinvolti. E delle ripercussioni. Sulla salute, ma anche dal punto di vista sociale ed economico. Penso alla provincia di Taranto e alle emissioni di diossina che, tra l ‘altro, hanno distrutto centinanti di capi di bestiame mettendo in ginocchio numerose famiglie di lavoratori. Le persone scuotono la testa, e si chiedono che cosa possono fare. Non si può far finta di niente ma questa sembra l’abitudine e l’indifferenza è forse la cosa che più mi innervosisce.

C’è una sua canzone dal titolo “Fuori dal tunnel” che condanna proprio l’imperturbabilità della gente, dei giovani soprattutto, di fronte a quello che accade loro intorno. Sono passati quattro anni da quando l’hai scritta. E’ cambiato qualcosa?
Ho la fortuna oggi di incontrare molti ragazzi attivi ed impegnati, ad esempio sul piano dell’ambiente. Ma non è, ahimè, lo specchio dell’Italia. La verità è che noi confondiamo il concetto di “ben-essere” con quello di “ben-apparire”. Sono due cose piuttosto diverse… In ogni caso sono ancora ottimista e mi rincuora vedere molti giovani non hanno perso la speranza e la volontà di mostrare la loro indignazione sulle tragedie del lavoro e su altre forme di ingiustizia. Certo l’informazione non li aiuta.

Per quale motivo?
Forse non fa audience. Certo è che per farsi un’idea di quello che succede intorno a noi bisogna andare al cinema. Se ad esempio vuoi saperne di più delle speculazioni sulle discariche devi vederti il documentario “Biutiful country”. Difficilmente riesci a farti un’idea di quello che succede nel mondo attraverso le emittenti televisive principali. E invece è di queste informazioni che i canali dovrebbero bombardarci piuttosto che con i pareri sui tradimenti tra uomo e donna.

E allora hai scelto di utilizzare la musica come denuncia sociale. L’arte supplisce ai limiti dell’informazione?
Non ho mai pensato di fare musica per divulgare certi temi. Sono temi che io sento vicini. E allora capita spesso che la mia indignazione si trasforma in una canzone. Penso che una canzone, forse più di una notizia, sia “infettante” e possa servire. Entri in un bar o la ascolti in radio. La canzone ti resta in testa ed è contagiosa… E può diventare un veicolo di informazione.

Nel tuo ultimo disco c'è un pezzo che si intitola "Bonobo Power". Descrivi il Bonobo come una scimmia che vive in comunità estremamente pacifiche in cui tutti hanno pari diritti e dignità, che non sa cosa sia la competizione e condivide le risorse con tutti in maniera equa. Se Provassimo ad affidare ai Bonobo il controllo dell’informazione?
Potrebbe essere un’idea… Ma in fondo no, forse basterebbe essere solo un po’ più critici. Non prendere tutto per oro colato ma andarsi a cercare l’informazione. Scavando nelle notizie. Come ai tempi del fascismo quando l’informazione non circolava. Più si conosce e più cresce la possibilità di restare vigili e svegli.

(di Stefano Corradino)



La vignetta è di :

martedì 18 novembre 2008

Domenica 23 novembre, appuntamento al Caffè Letterario " Rino Giuffrida" Pozzallo

Domenica 23 novembre ore 21,00, appuntamento al
Caffè Lettera
rio " Rino Giuffrida" Piazza Cesare Battisti, Pozzallo (RG).

La serata sarà allietata da SaxSerg
io in concerto.

Ingresso Libero


Con solo 1 euro
spaghettata con i prodotti di Libera Terra a conclusione della serata




Il sole, l’acqua, l’aria, la terra ricca e generosa sono gli ingredienti che, nella mirabile combinazione voluta dalla natura, contribuiscono alla crescita e alla maturazione delle migliori qualità del grano duro di Sicilia.


La Pasta Biologica Libera Terra è prodotta da una storica cooperativa del biologico italiano, che lavora la semola nel rispetto della tradizione dei maestri pastai, essiccandola a temperatura moderata per mantenere intatte le caratteristiche organolettiche e le proprietà nutrizionali. Una pasta di qualità, seducente per gusto e bontà

Il grano usato per produrre questa pasta è frutto del lavoro dei giovani delle Cooperative sociali che gestiscono le terre confiscate alla mafia e degli agricoltori siciliani che ne sostengono il progetto. Grazie alle cooperative sociali impegnate nel progetto Libera Terra, questi terreni, assegnati al Consorzio Sviluppo e Legalità, sono tornati fertili e produttivi dopo anni di abbandono, costituendo ora un’importante risorsa economica all’insegna della legalità. Prodotti straordinari, frutto del lavoro di giovani che, riunitisi in cooperative sociali, coltivano ettari di terra confiscati ai boss della mafia, grazie alla legge di iniziativa popolare 109/96 nata da una grande mobilitazione promossa da Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie. Queste terre, restituite alla collettività, sono tornate produttive e divenute volano di un circuito economico sano e virtuoso, anche grazie alla partecipazione degli agricoltori biologici del territorio che condividono lo stesso progetto di riscatto. Prodotti coltivati nel rispetto delle tipicità e delle tradizioni del territorio, applicando i principi dell’agricoltura biologica, per portare sulla tavola delle famiglie italiane un prodotto genuino, buono e… giusto.
Per un consumo consapevole: perché anche in questo modo è possibile sconfiggere la mafia.

Le terre confiscate alla mafia sono di proprietà dei comuni in cui ricadono e sono assegnate, mediante contratto di comodato d’uso gratuito, alle cooperative sociali che le coltivano e le rendono produttive. Le cooperative Libera Terra sono di tipo b, ovvero utilizzano le proprie attività produttive per effettuare inserimenti lavorativi di ragazze e ragazzi con vario tipo di svantaggio. Tutte le cooperative aderiscono a “Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie”, l’associazione fondata da Don Luigi Ciotti.


Fonte : http://www.liberaterra.it/

lunedì 17 novembre 2008

Petizione "Cibo contro mangime"

"Cibo contro mangime" è una petizione internazionale diretta alle Nazioni Unite e alla FAO: chiede semplicemente che, anziché ignorare la possibilità di diffondere l'alimentazione a base vegetale sia nei paesi industrializzati che nelle fasce più abbienti dei paesi in via di sviluppo, venga affrontato seriamente questo aspetto, perché questa è una delle cose che aiuterebbero molto i popoli che soffrono la fame.



Perchè partecipare

Gli sprechi dovuti alla trasformazione vegetale-animale non hanno solo il già noto impatto sull'ambiente, ma anche un grave impatto sociale, sul problema della fame nel mondo.

Per ottenere un kg di carne si devono mediamente dare 15 kg di mangimi vegetali agli animali d'allevamento, vegetali coltivati appositamente, che necessitano quindi di una quantità di terreni, acqua, sostanze chimiche, energia molto molto maggiori quelle che servirebbero se si coltivasse la terra per produrre cibi per il diretto consumo umano.

Diventa quindi sempre più pressante il problema chiamato "food versus feed", cioè "cibo per umani contro mangimi per animali".

Più passa il tempo, maggiore è la percentuale di terreni fertili che anziché essere coltivati per produrre cibo per gli esseri umani sono coltivati per produrre mangimi per animali

Il grafico qui sotto fa vedere come sia aumentata la percentuale del consumo di cereali per mangimi dal 1960 (barra violetta) al 2003 (barra rosso bordeaux):

L'economista Frances Moore Lappé, ha calcolato che in un anno, nei soli Stati Uniti, sono state prodotte 145 milioni di tonnellate di cereali e soia.

Per contro, sono stati ricavati 21 miloni di tonnellate di carne, latte, uova. Facendo la differenza, si ottengono 124 milioni di tonnellate di cibo sprecato: questo cibo, avrebbe assicurato un pasto completo al giorno a tutti gli abitanti della Terra! Con il solo spreco degli USA.

Non è accettabile che un'enorme percentuale dei raccolti disponibili sia ancora utilizzata per nutrire gli animali d'allevamento, anche nella triste situazione in cui la fame e la malnutrizione uccidono quasi sei milioni di bambini ogni anno.

Se non facciamo pressione noi singoli cittadini, la lobby dell'industria zootecnica l'avrà sempre vinta, contro le persone, l'ambiente, gli animali.

Per approfondimenti: http://www.vegfacile.info/mostra_ambiente/ambiente_1.html

Cosa puoi fare tu

  • Invita i tuoi conoscenti a firmarla

AgireOra Network sostiene e diffonde questa petizione in Italia.

sabato 15 novembre 2008

Una petizione on line e cartacea indirizzata a Parlamento Italiano, Parlamento e Commissione Europea e Unhcr, per fare chiarezza sulle condizioni dei migranti africani in Libia e sulle responsabilità italiane. La petizione è promossa dai produttori del documentario Come un uomo sulla terra - Asinitas e Zalab - e sostenuta da Nigrizia e Fortress Europe, con il patrocinio della sezione italiana di Amnesty International



Per la prima volta in un film, la voce diretta dei migranti africani sulle brutali modalità con cui la Libia controlla i flussi migratori, su richiesta e grazie ai finanziamenti di Italia ed Europa.




Per saperne di più sulla Libia scarica il rapporto: Fuga da Tripoli 2007

( Fonte :Fortress Europe)

giovedì 13 novembre 2008

G8 la sentenza sul massacro della Diaz, assolti i vertici della polizia: 13 le condanne

Il collegio del tribunale di Genova ha deciso di condannare solo gli esecutori materiali delle violenze alle scuola Diaz



Dopo undici ore di camera di Consiglio, il collegio del tribunale di Genova presieduto da Gabrio Barone ha deciso di condannare esclusivamente i responsabili delle violenze all'interno della scuola Diaz, perquisita la notte del 21 luglio 2001.

In tutto sono state comminate tredici condanne e sedici assoluzioni per un totale di 35 anni e 7 mesi di condanna complessiva rispetto ai 110 anni di condanna chiesti dai pm per i 29 imputati nel processo per l'irruzione alla scuola Diaz. Tutti condannati gli agenti e i dirigenti appartenenti al Settimo nucleo.

Assolti invece, come accennato, i funzionari di polizia che firmarono il verbale di perquisizione. Si tratta di Francesco Gratteri, ex capo dello Sco ora direttore dell'Anticrimine; Giovanni Luperi, ex vicedirettotre Ucigos, ora all'intelligence; Gilberto Caldarozzi, ex vicedirettore Sco e ora a capo del Servizio centrale operativo della Polizia; Spartaco Mortola, ex dirigente della Digos genovese.

La sentenza. Ecco le condanne: 4 anni a Vincenzo Canterini, ex capo Reparto Mobile di Roma; 2 anni a Michelangelo Fournier, ex vice di Canterini; 3 anni a Fabrizio Basili, Ciro Tucci, Carlo Lucaroni, Emilio Zaccaria, Angelo Cenni, Fabrizio Ledoti, Pietro Stranieri e Vincenzo Compagnone. Tre anni anche a Pietro Troiani; due anni e sei mesi a Michele Burgio; un mese a Luigi Fazio.

Assolti, invece, oltre a Gratteri, Luperi, Caldarozzi e Mortola, Filippo Ferri, Massimiliano Di Bernardini, Fabio Ciccimarra, Nando Dominici, Carlo Di Sarro, Massimo Mazzoni, Renzo Cerchi, Davide Di Novi, Massimo Nucera, Maurizio Panzieri, Salvatore Gava. Per Alfredo Fabbrocini i pm avevano chiesto l'assoluzione.

Reazioni. Il segretario dei Comunisti Italiani Oliviero Diliberto: "Come noto mi astengo sempre dal
commentare le sentenze della magistratura. Ma ancora una volta l'Italia si conferma il Paese nel quale pagano solo i sottoposti e gli esecutori, mai i capi. Sui fatti di Genova eccezionalmente gravi, giustizia non è stata fatta".

Haidi Giuliani, madre di Carlo, ucciso durante gli scontri del G8: "'In quest'aula ho visto persone coraggiose che hanno testimoniato e pm coraggiosi, ma non ho visto altri atti di coraggio e neppure rispetto per la nostra Costituzione".

Luca Casarini, uno dei leader del movimento che sfilò nelle strade di Genova al G8 del 2001: "È triste constatare che si è verificato tutto quello che era previsto: in questo paese, si è fatta un'amnistia a senso unico su Genova, nei confronti di dirigenti della polizia e del potere politico".

Pier Ferdinando Casini: "Siamo lieti che la giustizia ordinaria riconosca una verità nota a tutti gli italiani e cioè che al vertice della Polizia di Stato in Italia ci sono stati e ci sono autentici galantuomini e servitori delle istituzioni. Il tentativo di criminalizzare, per i fatti del G8 di Genova, i vertici delle forze dell'ordine si è rivelato per quello che era: un'autentica persecuzione".

VERGOGNA!

Così si condannano solo gli agenti, ai quali evidentemente non è stato ordinato da nessuno di massacrare la gente nella scuola.


LA SENTENZA Audio | Foto
TUTTO SUL G8 Guarda la mappa | La cronologia dei fatti | Il fotoracconto
LEGGI Un'agente portò le molotov nella Diaz
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Ecco le immagini incriminate
Fonte : http://www.dirittiglobali.it/

martedì 11 novembre 2008

Per la pace nel Kivu - Interventi politici urgenti oltre l’emergenza umanitaria


L’offensiva lanciata nel Nord Kivu dal CNDP (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo), un esercito irregolare sotto il comando del generale Laurent Nkunda, attestatosi alle porte della città di Goma, costringe ancora una volta la popolazione inerme a prendere la strada della fuga. Non si sa con certezza quanti siano questa volta i profughi che hanno dovuto abbandonare le loro case. Certamente si tratta di centinaia di migliaia che vanno ad aggiungersi al milione di persone già censite come sfollati dalle agenzie umanitarie. La Comunità internazionale sta riconoscendo che si tratta di una nuova catastrofe umanitaria e si sta mettendo in moto per l’invio di aiuti di emergenza.

Resta tuttavia il problema politico delle cause di questa nuova guerra e dei problemi lasciati irrisolti, nonostante le elezioni nella Repubblica Democratica del Congo e i tanti accordi non rispettati firmati dalle parti in causa.

Sono tanti gli attori di questa nuova crisi. Da una parte il Governo congolese, che nel Kivu ha ottenuto con le elezioni del 2006 un grandissimo consenso, perché la popolazione sperava che sarebbe stato capace di portare la pace e il diritto dopo tanti anni di guerra.

Dall’altra il generale Nkunda, che ha rifiutato di integrarsi con il suo gruppo armato nell’esercito regolare congolese, come prevedevano gli accordi firmati. Di più, durante questi anni, l’armata di Nkunda è andata sempre più rafforzandosi, anche con l’aiuto di forze esterne al paese, primo fra tutti il governo rwandese. Nkunda in questo momento ha anche il controllo amministrativo delle zone conquistate.

E’ in campo anche l’Onu, con una presenza massiccia di militari (17.000, di cui 8.000 nel Kivu) che avrebbero il compito di assicurare il rispetto degli accordi presi, ma che sempre più, nonostante il mandato ricevuto in base al capitolo VII dello Statuto delle Nazioni Unite, non riesce a garantire l’osservanza di questi accordi, suscitando così la reazione della stessa popolazione, che si sente non protetta e abbandonata.

Sullo sfondo di tutto la ricchezza di questo territorio, definito “scandalo geologico”, che ha fatto dire ai vescovi congolesi che questa guerra è un “paravento” che nasconde lo sfruttamento indiscriminato delle risorse.

A subire questa tragedia resta la popolazione inerme, stremata da una lunghissima guerra che ha fatto oltre quattro milioni di vittime e delusa nelle proprie speranze più profonde dopo aver partecipato in massa e con entusiasmo al processo elettorale.

I problemi e le sfide sul campo sono tanti: la costruzione di uno stato di diritto nella Repubblica Democratica del Congo, dopo una lunghissima guerra e la dittatura di trent’anni circa di Mobutu; la qualificazione dell’esercito della Repubblica Democratica del Congo, impreparato e corrotto, con i militari malpagati o non pagati, i quali trovano il loro mantenimento vessando la popolazione; la difficoltà di mettere insieme in un unico esercito gruppi armati che per anni si sono combattuti tra loro; la presenza nel territorio congolese di profughi hutu rwandesi e dei loro figli che si sono rifugiati in questo territorio dopo il 1994 e che non possono essere semplicemente definiti tutti come Interahamwe e responsabili del genocidio rwandese; l’entrata in campo di nuovi soggetti che vogliono partecipare allo sfruttamento delle ricchezze del territorio, primo fra tutti la Cina, con la quale il Governo congolese ha stipulato un accordo; la probabile ingerenza di paesi confinanti, primo fra tutto il Rwanda, che alcuni affermano aspiri ad impadronirsi di questo territorio anche tenendo conto della sovrappopolazione che l’affligge.

Noi sappiamo che, nonostante questi problemi irrisolti e la grande delusione dopo le elezioni, la gran parte della popolazione ha ancora la volontà di costruire una convivenza pacifica, uscendo definitivamente dalla guerra. Donne e uomini che si organizzano per resistere, per tentare di trovare non solo i mezzi per la sopravvivenza, ma anche e soprattutto strade di riconciliazione e di pace. E’ su queste persone, crediamo, che si deve contare per iniziare un’inversione di marcia che ponga le basi di una pace stabile.

Nel frattempo occorre dare voce alla politica, cominciando da alcuni punti fermi:

* Organizzare con urgenza l’azione umanitaria per rispondere all’emergenza;

* Partire dagli accordi firmati tra le parti. Occorre che la Comunità internazionale si mobiliti perchè siano attuati. Ci riferiamo in particolare agli accordi di Nairobi del novembre 2007 (disarmo dei gruppi armati dei profughi hutu rwandesi) e l’accordo firmato a Goma nello scorso mese di gennaio che dava vita al “Progetto Amani” per il disarmo di tutti i gruppi armati;

* Ribadire il mandato, unificando le regole di ingaggio dei contingenti delle Nazioni Unite presenti nel Kivu, perché possano svolgere il compito che è loro assegnato, cioè quello di far rispettare gli accordi e proteggere la popolazione. Anche fermando le truppe irregolari di Nkunda che stanno occupando il territorio;

* Creare un osservatorio internazionale sulle concessioni minerarie e di legname affinché si arrivi ad accordi legali e trasparenti e anche la popolazione possa godere del frutto di queste immense ricchezze;

* Arrivare ad accordi stabili per evitare sconfinamenti da parte dei paesi confinanti;

* Risolvere definitivamente il problema della presenza nel Kivu dei profughi hutu rwandesi, distinguendo le responsabilità e non colpevolizzando l’intera comunità. Uno degli elementi dello stato di diritto è il riconoscimento della soggettività della colpa e della pena;

* Partendo dalla sofferenza delle persone colpite, instaurare un dialogo ad oltranza che ridoni fiato alla politica e blocchi ogni scorciatoia di violenza armata;

* Proprio per questo, ripristinare l’embargo delle armi per i paesi della Regione, primi fra tutti la Repubblica Democratica del Congo, il Rwanda e l’Uganda;

* Sostenere gli sforzi della società civile organizzata affinché possa svilupparsi sempre più il processo di riconciliazione e di perdono reciproco.

Facciamo appello all’Italia, che è membro del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, perché svolga un ruolo attivo in quella sede e in Europa affinché vengano rispettati i diritti delle persone, sviluppata la democrazia, fermata ogni aggressione armata e finalmente perseguita la pace.

Beati i Costruttori di Pace, Chiama l’Africa, Rete Pace per il Congo, CIPSI Tavola per la Pace, Commissione Justitia et Pax degli istituti missionari italiani, Unimondo, Associazione Botteghe nel Mondo Italia, Pangea, Circolo Culturale "Primo Maggio", Gruppo Amici di Mweso (Nord Kivu), Luigi Merci, Paolo Ceravolo, P. Giovanni Magnaguagno, Matilde Ceravolo, Umberto Figliuzzi, Silvano Orlandi, Centro Sviluppo Umano onlus (Viareggio), Antonio Ortoleva, Padre Querzani, Ass. Fonte di Speranza onlus, Arci, Maria Grazia Dicati

( FONTE : U' Cuntu)

Manda la tua adesione a questo appello a info@chiamafrica.it

News, aggiornamenti su U' Cuntu.

La vignetta è di : Mauro Biani

sabato 8 novembre 2008

AFRICA: LE TERRIBILI TESTIMONIANZE DEI BAMBINI SOLDATO...E L'OCCIDENTE GUARDA

Minacce, aggressioni, torture. Gli ex bambini soldato si raccontano. Testimonanze schock di una guerra contro tutti, combattuta spesso sotto l’effetto di alcol e droghe pesanti

Storie di bambini e bambine che fino a qualche tempo fa giocavano con fucili mitragliatori.
Di bambini che hanno odiato, ucciso, torturato, devastato, se stessi e gli altri.


Racconti frutto di un lungo lavoro di recupero che Paola Giroldini di Coopi ha raccolto in un toccante capitolo della pubblicazione ‘Disegni di Guerra’, edita da Emi.


Ne proponiamo alcuni testi.



Il gioco della guerra

“Attento, attento che arriva Capitan 2 Mani”, era l'avvertimento che davamo quando catturavamo qualcuno per amputarlo. Di solito riunivamo i nostri nemici in piccoli gruppetti e iniziavamo a intimorirli raccontando quello che sarebbe accaduto. La gente gridava, ci supplicavano di lasciarli in pace, ma il gioco era farli impazzire di paura. Poi arrivava Capitan 2 Mani avevamo fatto una maglietta apposta con le sue iniziali. Si presentava con un machete e la condanna era evidente. Un colpo secco e via. Abbiamo tagliato mani, gambe, piedi, nasi, orecchie, dita. C'era uno del gruppo che si aggirava con un sacco per il riso e raccoglieva gli arti tagliati. Avevano paura di noi. Molti sono morti dissanguati, a volte danzavamo intorno alle nostre vittime schernendole. Eravamo sempre sotto l'effetto della droga, eravamo imbattibili. Mi ricordo un attacco a un villaggio vicino a Kalabatown. Il giorno prima avevamo assalito un convoglio dell'ECOMOG e ci eravamo impossessati delle loro divise. Il piano sembrava molto divertente, il nostro capitano ci aveva ordinato di indossare le divise e fingere di essere soldati dell'ECOMOG che entravano per liberare il villaggio dai cattivi ribelli del Ruf. Alcuni fingevano anche di essere abitanti di altri villaggi liberati. Siamo arrivati nel villaggio, cantando, esultando, festeggiando la liberazione dai ribelli del Ruf. Invitavamo la gente a uscire dalle case e a unirsi ai festeggiamenti. Eravamo così bravi che ci hanno creduto. Quando gran parte del villaggio si era avvicinato abbiamo iniziato a sparare con una ferocia mai vista. Il nostro capitano gridava: “Eccoli qua i vostri cattivi ribelli, ora vi faremo vedere cosa vuol dire essere nemici del Ruf”. Quel giorno fu una strage. Li uccidevamo come fossero mosche, il mio capitano rideva. In quei momenti c'è la più totale confusione, pensi solo ad ammazzare e salvare la tua pelle. Il resto è un gioco. Più ammazzi, più sei degno di rispetto e sali di grado, questa è l'unica legge del bush. Una volta mi arrampicai su un mango e uccisi almeno 10 dell'Ecomog senza che capissero dove fossi. Da allora mi trattavano diversamente, facevo parte dei fidati. Uccidevo per essere accettato e per paura di essere la prossima vittima. Ho vissuto due anni nel bush, ormai il Ruf era diventato la mia famiglia. Per me era normale quello che facevo, ero in guerra, stavo difendendo i miei amici e il mio paese. Ero un ribelle ed ero fiero di esserlo, la gente ci rispettava, avevano paura di noi. Eravamo armati, eravamo imbattibili. Ora, dopo che ho consegnato le armi e che sembra che la guerra sia finita, mi chiamano ancora ribelle. Mi guardano con disprezzo e odio, per tutto quello che ho fatto. Io non li sopporto, divento pericoloso e non riesco più a controllarmi. Ho smesso di prendere droghe, sto cercando di ricostruirmi un futuro, ma non è facile. I miei familiari non mi vogliono, dicono che sono un ragazzo difficile, che il bush mi ha trasformato. Forse perché non riesco a controllarmi, forse si vergognano di me. Spesso ho paura di incontrare gente a cui ho ammazzato qualcuno, non mi sento mai tranquillo, è come se la guerra non fosse mai finita. Non voglio rimanere per sempre un ex ribelle. Non è facile convivere con questo passato, ancora meno facile è accettare che gli altri ogni giorno me lo sbattano in faccia. Vivo da alcuni mesi nel centro di St. Michael, dove ho trovato gente che cerca di aiutarmi. Sto imparando un lavoro come falegname, spero di riuscire a mantenermi.
Augustine, 16 anni


Nel bush ho perso la verginità

Era una mattina di fine gennaio. Mia madre mi aveva svegliata per andare a prendere l'acqua al fiume. Come al solito facevo finta di dormire, sperando che si stancasse di chiamarmi e mandasse qualcuna delle mie sorelle. Ma quella mattina toccava a me. “Fatmata, Fatmata, Fatmata”, sentivo la voce di mia madre alterarsi. Decisi, per evitare discussioni, di alzarmi. Presi un grosso secchio e mi recai al fiume. Faceva caldo, soffiava l'harmattan, era come se una leggera sabbia avesse ricoperto tutto. Camminavo per il sentiero, attraversando il mio piccolo villaggio, salutando come ogni mattina amiche, amici e parenti. Qui, da noi, le famiglie sono molto numerose. "Fatmata, Fatmata, dormito bene?". Sentii una voce alle spalle, era la mia migliore amica, Sowe, in un'impeccabile divisa bianca e blu, stava andando a scuola. La invidiavo, avrei voluto andare a scuola, ma in famiglia siamo in otto e i miei non guadagnano a sufficienza per mandarci tutti a scuola. Io sono la figlia maggiore, ho 14 anni, mi sono sempre occupata dei miei fratelli e ho sempre aiutato mia madre in casa e nell'orto, da sola sarebbe stato difficile per lei. Così Sowe, quando ritornava da scuola, mi veniva a trovare e mi raccontava quello che aveva fatto, a volte ripassavamo insieme la lezione. Quel giorno era particolarmente contenta, i suoi genitori le avevano appena regalato un libro di geografia, non avevo mai visto un libro così nuovo, era pieno di strane cartine, mi affascinava. Per andare a scuola dovevamo percorrere una grossa strada di terra rossa, c'era tanta gente che camminava. Ogni volta che passava qualche macchina o un grosso camion la gente si spostava ai lati della strada perché si alzava un grosso polverone e per un po' non si poteva vedere niente. Volevo prendere una strada alternativa, un sentiero per i villaggi, ma Sowe aveva fretta di andare a scuola. Non vedevo niente. Sentii delle grida e dei corpi venirmi incontro, era gente che scappava. Presi la mano di Sowe e iniziammo a correre, non capivo cosa stesse succedendo, non sapevo da cosa stessi scappando, ma scappavo. Ricordo la polvere, le auto che suonavano, la gente che gridava poi... gli spari, tanti. Stavamo correndo in direzione del nostro villaggio, volevo tornare a casa. Sowe piangeva, aveva perso i suoi bei libri, non potevamo tornare indietro. Lasciai la strada principale e presi un sentiero che portava al mio villaggio. Continuavo a sentire gli spari, ma almeno potevo vedere. Non sentivo più le mie gambe, correvo, correvo, senza lasciare un istante la mano di Sowe. In lontananza, in direzione del mio villaggio, vedevo alzarsi del fumo. Non capivo più niente, alle spalle gli spari e davanti il fuoco. Arrivai al villaggio e la mia casa stava bruciando, soldati bambini si divertivano a versare taniche di kerosene e a dargli fuoco, sparavano, rubavano, inseguivano la gente con il machete. Avrei voluto essere invisibile, non sapevo dove nascondermi. Sowe gridava. Non mi ricordo se sono svenuta o mi hanno colpita, so solo che, quando mi sono risvegliata, del mio villaggio era rimasto poco. Dovunque tanto fumo, fuoco, corpi senza arti, sangue... pozze di sangue. I ribelli ci hanno circondate. Erano tutti armati, non ci mettevano molto a sparare, sembrava che si divertissero. Si sentivano invincibili. Continuavano a gridare "Vi ammazzeremo tutti! Il Ruf sta combattendo per la sua gente, per il suo Paese, vi siete venduti agli stranieri, maledetti traditori". Io non capivo cosa volessero. Ci hanno catturate. Sowe non era più con me e non riuscivo a vederla.. Mi hanno costretta ad andare con loro. Abbiamo marciato per giorni, senza mangiare. Non so quante miglia abbiamo camminato, so solo che i miei piedi non ce la facevano più. Finalmente arrivammo in un villaggio in foresta. Qui, conobbi il comandante Rose, era una donna non oltre la ventina. Subito ordinò di separare i maschi dalle femmine, e scelse un gruppo di ragazze tra i 10 e 15 anni, tra cui c'ero anch'io. Ci mise in fila e ci ordinò di stare ferme mentre si piegava per infilare le sue dita dentro la nostra vagina per verificare se eravamo ancora vergini. Io cercavo di non piangere e di non muovermi, avevo tanta paura. Le mie compagne più piccole piangevano, i ribelli le schiaffeggiavano per farle smettere. Quando il comandante Rose finì di toccare ognuna di noi, separò le vergini da quelle non vergini. Nessuno mi aveva toccato prima di allora. Sapevo come si faceva, avevo visto mia madre e mio padre, le mie amiche mi avevano raccontato le loro prime esperienze. Ma non l'avevo mai fatto. Mi ricordo che il comandante Rose mi prese per un braccio e disse: "Questa è una dolce papaia. Proprio quello che il mio comandante cercava". Così ho perso la verginità. Avevo solo paura di morire.
Fatmata Bumbuya, 14 anni


Ripartire da Lakka non è facile

È difficile tornare. E poi dipende dove torni. Mio padre si è sposato tre volte, non so quanti fratelli ho, non tengo più il conto. Prima che mi prendessero i ribelli vivevo in un villaggio con mia nonna. La vita lì non era male, mio padre ci dava un po' di soldi, avevamo un orto e del pollame. Per noi era sufficiente. La mia casa è stata bruciata e mia nonna ora vive da una sua sorella in un quartiere di Freetown, dominato da baracche fatte di lamiera ricoperte di plastica e legno. Non so come potremo vivere, io mi devo occupare di lei. È difficile ricominciare da una casa di latta, non c'è spazio per respirare. La gente sopravvive di espedienti. Non voglio rispondere a nessuna domanda, non voglio che mi guardino con paura. So cosa pensa la gente di noi ex combattenti. Ci temono, pensano che siamo tutti drogati, ragazzi capaci di uccidere. Io non ho scelto questa vita, mi hanno costretto, mi hanno cambiato nome, identità, nel bush ogni giorno ho vissuto con la paura della morte in agguato. Sono stato fortunato: non mi hanno tagliato niente, altrimenti la mia povera nonna si sarebbe dovuta prendere cura di me! Nessuno si deve permettere di chiamarmi ribelle. Ho imparato a uccidere, è vero, ma mi drogavo per farlo. Ho rubato, bruciato case. Non voglio ricordare. Spero che mi lascino in pace. Voglio solo ricominciare.
Mohamed, 15 anni

Testimonianze tratte da:
Disegni di guerra
AA.VV. Emi - Editrice missionaria italiana

Dal Blog di Franca Rame