Ascoltate Josè Saramago intervistato da Serena Dandini

sabato 28 febbraio 2009

Il Film "la Siciliana Ribelle" non è la storia di Rita Atria

Mi chiamo Vita Maria Atria e sono la nipote di Rita Atria, Testimone di giustizia che il 26 luglio 1992, in un estremo atto di resistenza, si è lanciata dal settimo piano del civico 23 di viale Amelia a Roma. Nel '92 ero veramente piccola ma nella mia mente i ricordi sono vividi: lo "zio Paolo" [Paolo Borsellino], la zia Rita, la mamma [la Testimone di giustizia Piera Aiello] che mi chiedeva di non dire il mio nome, per la paura e il timore di essere scoperte.
Da quando sono maggiorenne ho continuato a vivere nell'anonimato e non avevo ritenuto opportuno fare dichiarazioni pubbliche, affidando il mio impegno e la mia scelta ad un gesto: essere tra i soci fondatori di una associazione dedicata a mia zia e lavorare dietro le quinte, anche perché sono una ragazza dalle poche parole e ho preferito finora stare nell'anonimato per poter vivere una vita tranquilla e "normale", sempre fino a quando è po
ssibile. Oggi, mio malgrado, sono costretta ad affidare all'Associazione Antimafie "Rita Atria" (anche perché non lo posso fare direttamente vivendo in località segreta) un comunicato per esprimere in maniera netta e determinata la mia posizione sul film di Marco Amenta dal titolo "La siciliana ribelle", stanca di leggere sui giornali e sui siti web che "è rimasto toccato dalla vicenda", stanca di veder speculare sulla memoria di mia zia, una ragazzina-donna che ha avuto il coraggio di credere nei propri princìpi e di fare determinate scelte, a discapito di se stessa, perché credeva che ci potesse essere un mondo migliore al di fuori del "suo", un mondo onesto, ma a quanto pare si sbagliava. Al signor Amenta vorrei dire che se proprio ci tiene a mia zia allora perché da 12 anni non restituisce materiale privato che in buona fede gli era stato affidato per la produzione di quel film documentario ("Diario di una siciliana ribelle") che per noi alla fine ha rappresentato l'ennesima prova del fatto che nella vita interessano solo le vittime morte, persone che hanno servito lo stato e che ora finiscono nel dimenticatoio o, nelle migliori delle ipotesi, vengono ricordate solo per scopi che poco hanno a che fare con il fare memoria in modo disinteressato.
Nonostante il signor Amenta in presenza di testimoni avesse garantito che "Diario di una siciliana ribelle" sarebbe stato distribuito esclusivamente all'estero e nonostante avesse messo
per iscritto che nel materiale filmato contenente immagini private dei miei familiari avrebbe alterato i visi e, inoltre, avrebbe reso irriconoscibile la voce e l'immagine di mia madre nell'intervista girata per il film documentario, non ha messo in atto quanto dichiarato sulla distribuzione esclusivamente estera, e non ha sufficientemente alterato visi e voci come sottoscritto.
Così facendo ha invece messo in serio pericolo me e mia madre.

Non mi interessa sapere se la storia di mia zia abbia toccato il signor Amenta, ma l'amore per una storia, per un impe
gno civile e morale, si dimostra con i fatti e non con la ricerca del successo, della gloria, degli applausi o della fama.
Non credo che tutto questo serva a ricordare mia zia (e soprattutto una trama che è molto lontana dall'essere la sua storia), ma serva solo per scopi economici e io questo non lo ritengo opportuno.
Spero che il signor Marco Amenta compre
nda e accetti questa mia decisione, che viene dettata dal mio cuore e dal profondo amore e rispetto che nutro nei confronti della mia cara zia e della sua scelta.
Appunto, una scelta di resistenza.
Vita Maria Atria


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Marco Amenta è riuscito, con i suoi potenti mezzi, a far bloccare in tempi da record su You Tube l'intervista a Piera Aiello e a Luigi Ciotti in cui raccontavano di certo cose scomode.
Ma Marco Amenta non potrà di certo fermare la verità.

L'Intervista a Piera Aiello e a Luigi Ciotti censurata da You Tube per volontà di Marco Amenta è stata spostata sul canal
e telejato web TV. Clicca qui.

Questa si chiama censura e non impegno sociale!




L'Associazione Antimafie "Rita Atria" afferma:

Tutta questa macchina pubblicitaria sulla memoria di Rita Atria ci fa orrore
Stiamo assistendo ad uno dei capitoli più tristi della cinematografia italiana.
Stiamo assistendo anche ad una cosa sconcertante: le grandi testate ignorano il comunicato di Vita Maria Atria e sponsorizzano il film di Amenta.
Le grandi testate fino ad oggi hanno ignorato la presa di posizione di Luigi Ciotti e di Piera Aiello e continuano a pompare un film senza chiedersi come mai non sono stati usati i nomi veri.
A tutti coloro che hanno ancora un minimo di dignità chiediamo coerenza perché Rita Atria non merita l'ennesimo tradimento sociale.
Ovviamente la nipote Vita Maria sta prendendo provvedimenti legali.

FONTE:
Associazione Antimafie "Rita Atria"

mercoledì 25 febbraio 2009

La cacciata degli zingari

Dal 18 febbraio è entrato in vigore a Roma il Regolamento per i Rom, già attivo a Milano.

E' ormai ufficiale la rinascita, in Italia - Paese membro dell'unione europea - di ghetti, Stelle di Davide e purghe etniche.

Il prefetto di Roma annuncia le misure approvate: i campi Rom saranno recintati e presidiati 24 ore su 24 da vigili urbani o guardie giurate, con l´aggiunta di telecamere e pattugliamenti delle forze dell´ordine all´esterno.

Ogni Rom sarà munito di tesserino corredato di fotografia e dati anagrafici, che dovrà esibire all'ingresso e all'uscita dal campo.

Controlli nelle roulotte o nelle abitazioni temporanee (non vi saranno edifici definitivi) potranno essere effettuati senza preavviso né rispetto della privacy.

Si parla già, come ha pubblicato il quotidiano Liberazione, di cartellini con fotografia e dati anagrafici, che dovranno essere appesi al collo dei minorenni quando vanno a scuola, in modo che i bambini Rom non possano confondersi con gli altri.

Un disciplinare interno ad ogni campo porrà obblighi di comportamento, con sanzioni, punizioni o l'espulsione in caso di trasgressione.

Vi saranno orari e compiti interni ai campi, che decideranno comitati di autorità e cittadini. Avranno diritto all´ammissione gli extracomunitari con permesso di soggiorno, italiani e comunitari con carta d´identità e tutti quelli in grado di dimostrare la permanenza in Italia da almeno dieci anni. Gli altri saranno espulsi da qualsiasi campo: l'obiettivo è quello di ridurre i Rom da 6.000 a 1.000, per la città di Roma.

Ogni famiglia avrà una struttura abitativa provvisoria o una piazzola dove parcheggiare la roulotte, oltre all´utilizzo di spazi e servizi comuni: in cambio, dovrà pagare i canoni di locazione e le utenze per luce, acqua, gas e smaltimento rifiuti. Esenzioni per massimo tre mesi alle famiglie svantaggiate. Non pagare le utenze costituirà giusta causa par l'espulsione dal campo. Le famiglie che non saranno autonome, con lavoro e casa fuori dal campo, entro due anni, saranno espulse.




Questo video, che avete appena visto, è una parte della puntata di approfondimento/inchiesta "Caccia agli zingari", per la rubrica "Presadiretta", andata in onda Domenica 22 febbraio su Rai3

Una trasmissione inquietante, capace di falsificare la realtà della condizione dei Rom in Italia, presentandone solo gli aspetti legati ai campi transitori, ma occultando la tragedia degli sgomberi, delle vessazioni poliziesche, dell'istituzione di campi-ghetto e del progetto di allontanamento/annientamento del popolo Rom sul territorio italiano.

"Caccia agli zingari" ha accolto le opinioni di Juan de Dios Ramírez Heredia , il presidente di Union Romani, ma si è trattato solo di uno specchietto per le allodole, perché il grande attivista e politico gitano è stato strumentalizzato per dare allo speciale un crisma di internazionalità, prima che il contenuto di "Caccia agli zingari" televisivo si esprimesse compiutamente come un'operazione di riduzionismo mediatico, che ha presentato una realtà alterata, riguardo alla condizione dei Rom in Italia. Le associazioni "umanitarie" italiane intervistate hanno presentato numeri e dati assolutamente inesatti.

Secondo loro, vivrebbero oggi in Italia 150 mila Rom, di cui 70 mila con nazionalità italiana e almeno 60 mila provenienti dalla Romania. I luoghi in cui vivrebbero, secondo gli intervistati, sarebbero esclusivamente i "campi Rom", nei quali il 15 per cento dei minori sarebbero sfruttati da genitori aguzzini in attività di furto e spaccio. Una ragazzina intervistata all'interno di una comunità ha affermato addirittura che suo padre l'aveva fornita di strumenti adatti a segare una cassaforte di acciaio, per compiere furti per cifre fino a 50 mila euro.

La realtà è ben diversa.

Non vi sono ormai più di 60 mila Rom e Sinti, in Italia, compresi quelli con cittadinanza.

I Rom romeni, dopo gli innumerevoli pogrom condotti dalle autorità, sono rimasti in un numero inferiore alle 3 mila unità e non vivono nei campi, ma sono quotidianamente braccati, sottoposti ad abusi polizieschi o aggressioni razziste, sgomberati dai luoghi di fortuna in cui si riparano: edifici abbandonati, ponti, baracche di legno e cartone. Gli altri 57 mila sono tornati in patria, fuggiti in Spagna o dispersi per l'Unione europea.

I più anziani e i malati spesso hanno perso la vita durante le purghe etniche, mentre la speranza di vita media dei Rom in Italia è scesa sotto la soglia de 40 anni: inferiore alla vita media degli ebrei durante l'Olocausto.

Non esiste un racket Rom che sfrutta i bambini e il tasso di violenza sui minori presso i "nomadi" è molto inferiore a quello che riguarda le famiglie italiane.

Nel mondo Rom, i bambini rappresentano il valore più alto e quando le Istituzioni sottraggono i minori alle loro legittime madri, a causa della povertà o della mancanza di un alloggio, spesso esse tentano il suicidio.

La trasmissione ha denunciato anche la "vendita" di spose bambine, ma è un altro pregiudizio razzista.

Nel mondo Rom i matrimoni avvengono spesso in giovanissima età e la "dote" che la famiglia di lui corrisponde a quella di lei è spesso simbolica.

Va inoltre rilevato che una ragazzina non sarebbe in grado né di trasportare né di utilizzare una sega elettrica in grado di tagliare l'acciaio di una cassaforte blindata.

La sua "confessione" non corrisponde alla realtà: sono solo parole che qualcuno ha messo in bocca alla giovane Romnì.

FONTE: Gruppo EveryOne

Non vi pare che politici, media e la stragrande maggioranza degli italiani, si sono messi d'accordo per pianificare l'allontanamento definitivo di tutti i Rom dal nostro territorio, costruendo ad oc le giustificazioni per realizzare questo disumano progetto?

lunedì 23 febbraio 2009

La razza della violenza

La colf è filippina, il venditore di collanine africano, il fioraio pakistano, il bancarellaro cinese, lo stupratore... rumeno.
È la psicosi di un tempo malato, dove la peggiore violenza diventa “etnica”; dove il branco che distrugge la vita di una ragazza non è giudicato per ciò che ha fatto, ma per il luogo da cui proviene.

I dati raccontano altro.
Il sito la voce.info rivela che dal 1990 al 2003 il numero dei permessi di soggiorno si è quintuplicato (dallo 0,8 al 4 per cento) mentre la criminalità è lievemente calata; e aggiunge che tale stima è indicativa anche per ciò che riguarda la parte “sommersa” e cioè gli irregolari e i crimini non denunciati.
Ma cosa contano i dati quando una nazione intera ha voglia di lavarsi la coscienza?

Noi, folla inferocita che ha voglia di dimenticare. Noi non vogliamo vedere che gli specialisti degli stupri a base di pasticche e alcol sono giovani spesso borghesi e benestanti. E che in oltre tre quarti delle violenze sessuali lo stupratore ha “le chiavi di casa”. E che le nostre città sembrano fatte apposta per gli agguati, perché sono buie e piene di periferie degradate, perché nelle discoteche la droga gira come acqua minerale, perché di sera la metro chiude e i bus diventano rarissimi, perché le feste giovanili sono sovente territori fuorilegge dove tutto è permesso.

Noi non possiamo vedere questa realtà, perché mette in discussione troppe certezze: la famiglia sacra e protettiva, i nostri ragazzi bravi figli, il campanile stracittadino che ci è tanto caro. Quindi molto meglio scaricare tutte le colpe sul parafulmine straniero.
Più “lui” è colpevole, più siamo innocenti noi.

Restano tante domande appese, ignorate.
Se la nostra legge considera un’attenuante commettere dei crimini sotto l’effetto di droghe, la colpa è dei rumeni?
Se i nostri magistrati considerano normale mandare a casa chi ha appena stuprato una donna, la colpa è dei rumeni?
Ed è colpa loro anche se la mamma di Nettuno dice che il suo figlioletto sedicenne complice del rogo del barbone è un ragazzo di buon cuore traviato dai più grandi?

Nessuno assedia le auto della polizia, nessuno ha fame di linciaggio quando ai domiciliari viene portato “un bravo ragazzo” italiano che ha stuprato per scommessa, che ha bruciato un uomo per gioco.
Nessuno chiede conto alla classe politica di una legge per cui uno stupro vale meno di tre anni di carcere, quindi vale la libertà condizionale; e di un’altra legge che ritiene impossibile la custodia cautelare quando il reato di cui si è accusati prevede la condizionale.
Nessuno chiede conto alla giustizia italiana dei suoi occhi chiusi sulle violenze commesse sulle donne islamiche, da uomini che applicano in Italia la sharia più brutale che nel loro Paese non potrebbero applicare.
E nessuno osa mettere il naso nella famiglia, dove la violenza è più sottile e più tragica, perché in quel caso un uomo abusa di chi gli ha regalato la sua fiducia e la sua vita, perché spesso nella sua atrocità coinvolge dei bambini, perché non di rado a chiudere la bocca della donna sono sentimenti come paura, vergogna, senso di colpa che si aggiunge allo strazio.

“Spiegate ai figli la gravità di certi gesti”
, dice Giovanni Bollea.
Ma bisognerebbe prima spiegarlo alle madri e ai padri.
E poi spiegare che “certi gesti” non hanno colore né razza.

(Sergio Talamo)



FONTE: http://www.stranieriinitalia.it/

giovedì 19 febbraio 2009

Un manifesto razzista

Il manifesto come potete ben vedere, mostra una donna distesa in terra con le gambe allargate e una macchia di sangue sui vestiti strappati.

Una scritta: “Se capitasse a tua madre, tua moglie o tua figlia?”. E poi: “Stupratori immigrati è giunta la vostra ora” con una richiesta precisa: “Chiudere i campi nomadi, espellere i rom. Subito!”.

Questo il manifesto razzista preparato in migliaia di copie dal movimento di estrema destra ''Forza Nuova'' che potrebbe campeggiare, se non interverranno divieti da parte delle autorità cittadine, in ben cento città italiane. L'iniziativa, in risposta ai recenti atti di violenza sessuale a Roma e Milano, e' stata spiegata dallo stesso movimento in una nota e verrà accompagnata da una mobilitazione prevista per sabato prossimo “in 100 città italiane per chiedere la sospensione del Trattato di Schengen verso la Romania e l'espulsione di tutti i clandestini nonché di tutti gli immigrati che abbiano precedenti penali in patria o in Italia”.

Sucardrom fa un appello a tutti i lettori di fotografare e segnalare il manifesto se comparisse sui muri delle città, in modo tale da poter procedere legalmente contro i responsabili del movimento di estrema destra di ''Forza Nuova''.


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L'utente Renato di Milano ci chiede come mai si verifichino in questo periodo tanti stupri da parte di romeni, in Italia.

La risposta è semplice: in Italia vengono denunciati una media di dieci stupri ogni giorno, che è un numero nella media dell'Unione europea. I media, però, riportano esclusivamente le notizie riguardanti gli stupri attribuiti a cittadini romeni. In questo momento, per esempio, le agenzie stampa divulgano la notizia riguardante il presunto stupro da parte di un romeno 31enne nei confronti di un'anziana 83enne, a Pavia. Delle altre nove violenze sessuali, nessuna traccia nelle agenzie, nei telegiornali, nei quotidiani online.

Questa strategia politico-mediatica induce nel popolo italiano la sensazione di essere sotto assedio, il timor panico di essere infettato da un "virus" proveniente dalla Romania.

Così le Istituzioni preparano il terreno per l'approvazione di leggi xenofobe, di provvedimenti restrittivi della libertà dei migranti, di campagne vessatorie nei confronti dei cittadini stranieri. In ogni caso di violenza sessuale o tenta

to rapimento di minore, i media si concentrano, inoltre, sui campi Rom, presentandoli all'opinione pubblica quali ricettacoli di criminalità, asocialità e violenza.

Chiedo a Renato quante volte abbia visto i membri del Gruppo EveryOne in televisione.

Matteo Pegoraro, Dario Picciau e io siamo regolarmente contattati o intervistati dai principali media europei e internazionali, in merito alla condizione del popolo Rom. Le fotografie di Steed Gamero appaiono su quotidiani e riviste di tutto il mondo, in esposizioni internazionali, nei dossier pubblicati dalle maggiori organizzazioni che si occupano di studiare la vita del popolo Rom. I nostri membri Rom sono eminenti studiosi, autori di libri e articoli di grande valore storico e sociale. Eppure i responsabili di rete delle televisioni italiane obbediscono al veto che dall'alto è stato posto nei nostri confronti.

A volte i direttori di programmi, che non conoscono tale veto, ci invitano, come recentemente è accaduto per il programma "Insieme sul due". Poco dopo averci confermato il volo per Roma, però, ecco che una voce femminile ci raggiunge al telefono: "Scusateci, ma c'è stato un errore. Un'altra associazione era stata invitata prima di voi, ma ce ne siamo accorti solo ora e siamo costretti ad annullare la vostra partecipazione".


Lo stesso vale per i più importanti quotidiani: è ormai prassi che un giornalista ignaro ci intervisti riguardo alla condizione del popolo Rom in Italia,

ma ben di rado, poi, ritroviamo le interviste sulle pagine del quotidiano per cui il giornalista lavora.

Una macchina che filtra, trita e mescola l'informazione e la comunicazione, caro Renato, lavora 24 ore su 24 per far sì che tu, come altri 60 milioni di italiani, vi chiediate "come mai si verifichino in questo periodo tanti stupri da parte di romeni, in Italia". Naturalmente, non siamo inermi né passivi o rassegnati di fronte a tale mostruoso ingranaggio!

(da : Gruppo EveryOne )

domenica 15 febbraio 2009

Capitan vergogna davanti ai suoi giudici

Quando Mohamed Ahmed Abdissalam telefonò al fratello, a Tripoli, gli rispose il coinquilino Garane Alì. “Sanwà è partito la settimana scorsa”, gli disse. Mohamed rimase in silenzio.
Dagli Stati Uniti, dove viveva, chiamava ogni due settimane Sanwà. Lo avevano aiutato con i soldi a partire da Gaalkacyo, in Somalia, e a attraversare il deserto per arrivare in Libia.
Se era a Lampedusa perchè non lo aveva ancora avvisato? “È morto”, aggiunse dopo un attimo di silenzio Garane. Lo aveva saputo da una donna somala che aveva chiamato in Libia qualche giorno prima, dall’Italia.
Mohamed non chiese altro. Riagganciò e corse a comprare un biglietto per Roma, sicuro che avrebbe ritrovato il fratello.




Sanwà partì dalle coste libiche la notte tra il 6 e il 7 gennaio del 2008. Su un gommone. Erano circa 60 persone, somali e nigeriani. Le donne stavano al centro dell’imbarcazione per ripararsi dagli spruzzi del mare. Quella stessa mattina, mentre il gommone usciva dalle acque territoriali libiche diretto a nord, il peschereccio pugliese Enza D levava l’ancora dal porto di Siracusa per andare a pescare a sud di Lampedusa. Alla terza notte di navigazione, sul gommone erano rimasti senza gasolio. Con il poco carburante rimasto, si avvicinarono a un peschereccio, per chiedere aiuto. Quel peschereccio era l’Enza D, che poco distante, alle prime luci dell’alba, stava salpando le reti. Giunto sottobordo, il gommone spense il motore, e i passeggeri iniziarono a chiedere aiuto, in inglese. Ripetevano “diesel” agitando in aria la tanica vuota.

A un tratto uno di loro si alzò in piedi e si aggrappò al bordo dell’imbarcazione, con le poche forze rimaste. Uno dei marinai corse a aiutarlo. Lo teneva stretto per il giubbotto, con entrambe le mani, finché non riuscì a issarlo a bordo. Intanto il comandante aveva acceso i motori e si stava allontanando dal gommone prima che ne salissero altri. L’uomo a bordo era Sanwà. Giaceva a terra implorando aiuto con un filo di voce, mentre il comandante Ruggiero Marino correva avanti e indietro dalla cabina alla poppa. Continuava a gridare ai suoi uomini: “Qua passiamo tutti dei guai!”. Pochi minuti dopo i marinai udirono il tonfo in acqua. Qualche disperata bracciata e Sanwà scompariva per sempre, trascinato a fondo dal peso dei vestiti ammollati. I marinai non volevano credere a quello che avevano appena visto. Alcuni scoppiarono a piangere come dei bambini, altri andarono a nascondersi in coperta. Nessuno di loro era stato in grado di fermare il capitano. Ruggiero si rifece vivo soltanto dopo un paio d’ore.
Bisognava calare le reti. La pesca riprendeva.


È passato un anno da allora, e gli avvocati di Ruggiero hanno chiesto il rito abbreviato. Tutte le testimonianze sono contro di lui. Quelle dei profughi e quelle dei marinai. L’accusa è di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà, e di omissione di soccorso. Il processo si è aperto il 6 febbraio 2009 al Tribunale di Agrigento. Il pubblico ministero ha chiesto l’ergastolo. Ruggiero non ha mai ammesso di aver ucciso Sanwà. Ha detto però che temeva “rogne”. Che con un “clandestino” a bordo, gli avrebbero sequestrato il peschereccio e avrebbe perso tre o quattro giornate di lavoro.

Basterà una sentenza a dare pace al signor Mohamed Ahmed Abdissalam, partito dagli Usa per riabbracciare il fratello e finito a testimoniare al processo per il suo omicidio?

( da Fortress Europe)

lunedì 9 febbraio 2009

Rompiamo il silenzio

"La democrazia è in bilico".



Firma l'appello di Libertà e Giustizia.


"Il cammino della democrazia non è un cammino facile. Per questo bisogna essere continuamente vigilanti, non rassegnarsi al peggio, ma neppure abbandonarsi ad una tranquilla fiducia nelle sorti fatalmente progressive dell'umanità... La differenza tra la mia generazione e quella dei nostri padri è che loro erano democratici ottimisti.
Noi siamo, dobbiamo essere, democratici sempre in allarme".

Norberto Bobbio


Rompiamo il silenzio Mai come ora è giustificato l'allarme. Assistiamo a segni inequivocabili di disfacimento sociale: perdita di senso civico, corruzione pubblica e privata, disprezzo della legalità e dell'uguaglianza, impunità per i forti e costrizione per i deboli, libertà come privilegi e non come diritti. Quando i legami sociali sono messi a rischio, non stupiscono le idee secessioniste, le pulsioni razziste e xenofobe, la volgarità, l'arroganza e la violenza nei rapporti tra gli individui e i gruppi. Preoccupa soprattutto l'accettazione passiva che penetra nella cultura. Una nuova incipiente legittimità è all'opera per avvilire quella costituzionale. Non sono difetti o deviazioni occasionali, ma segni premonitori su cui si cerca di stendere un velo di silenzio, un velo che forse un giorno sarà sollevato e mostrerà che cosa nasconde, ma sarà troppo tardi.

Non vedere è non voler vedere. Non conosciamo gli esiti, ma avvertiamo che la democrazia è in bilico.

Pochi Paesi al mondo affrontano l'attuale crisi economica e sociale in un decadimento etico e istituzionale così esteso e avanzato, con regole deboli e contestate, punti di riferimento comuni cancellati e gruppi dirigenti inadeguati. La democrazia non si è mai giovata di crisi come quella attuale. Questa può sì essere occasione di riflessione e rinnovamento, ma può anche essere facilmente il terreno di coltura della demagogia, ciò da cui il nostro Paese, particolarmente, non è immune.

La demagogia è il rovesciamento del rapporto democratico tra governanti e governati. La sua massima è: il potere scende dall'alto e il consenso si fa salire dal basso. ll primo suo segnale è la caduta di rappresentatività del Parlamento. Regole elettorali artificiose, pensate più nell'interesse dei partiti che dei cittadini, l'assenza di strumenti di scelta delle candidature (elezioni primarie) e dei candidati (preferenze) capovolgono la rappresentanza. L'investitura da parte di monarchie o oligarchie di partito si mette al posto dell'elezione. La selezione della classe politica diventa una cooptazione chiusa. L'esautoramento del Parlamento da parte del governo, dove siedono monarchi e oligarchi di partito, è una conseguenza, di cui i decreti-legge e le questioni di fiducia a ripetizione sono a loro volta conseguenza.

La separazione dei poteri è fondamento di ogni regime che teme il dispotismo, ma la demagogia le è nemica, perché per essa il potere deve scorrere senza limiti dall'alto al basso. Così, l'autonomia della funzione giudiziaria è minacciata; così il presidenzialismo all'italiana, cioè senza contrappesi e controlli, è oggetto di desiderio.

Ci sono però altre separazioni, anche più importanti, che sono travolte: tra politica, economia, cultura, e informazione; tra pubblico e privato; tra Stato e Chiesa. L'intreccio tra questi fattori della vita collettiva, da cui nascono collusioni e concentrazioni di potere, spesso invisibili e sempre inconfessabili, è la vera, grande anomalia del nostro Paese. Economia, politica, informazione, cultura, religione si alimentano reciprocamente: crescono, si compromettono e si corrompono l'una con l'altra. I grandi temi delle incompatibilità, dei conflitti d'interesse, dell'etica pubblica, della laicità riguardano queste separazioni di potere e sono tanto meno presenti nell'agenda politica quanto più se ne parla a vanvera.

Soprattutto, il risultato che ci sta dinnanzi spaventoso è un regime chiuso di oligarchie rapaci, che succhia dall'alto, impone disuguaglianza, vuole avere a che fare con clienti-consumatori ignari o imboniti, respinge chi, per difendere la propria dignità, non vuole asservirsi, mortifica le energie fresche e allontana i migliori. È materia di giustizia, ma anche di declino del nostro Paese, tutto intero.

Guardiamo la realtà, per quanto preoccupante sia. Rivendichiamo i nostri diritti di cittadini. Consideriamo ogni giorno un punto d'inizio, invece che un punto d'arrivo. Cioè: sconfiggiamo la rassegnazione e cerchiamo di dare esiti allo sdegno.
* * *

Che cosa possiamo fare dunque noi, soci e amici di Libertà e Giustizia? Possiamo far crescere le nostre forze per unirle alle intelligenze, alle culture e alle energie di coloro che rendono vivo il nostro Paese e, per amor di sé e dei propri figli, non si rassegnano al suo declino. Con questi obiettivi primari.

Innanzitutto, contrastare le proposte di stravolgimento della Costituzione, come il presidenzialismo e l'attrazione della giurisdizione nella sfera d'influenza dell'esecutivo. Nelle condizioni politiche attuali del nostro Paese, esse sarebbero non strumenti di efficienza della democrazia ma espressione e consolidamento di oligarchie demagogiche.

Difendere la legalità contro il lassismo e la corruzione, chiedendo ai partiti che aspirano a rappresentarci di non tollerare al proprio interno faccendieri e corrotti, ancorché portatori di voti. Non usare le candidature nelle elezioni come risorse improprie per risolvere problemi interni, per ripescare personaggi, per pagare conti, per cedere a ricatti. Promuovere, anche così, l'obbligatorio ricambio della classe dirigente.

Non lasciar morire il tema delle incompatibilità e dei conflitti d'interesse, un tema cruciale, che non si può ridurre ad argomento della polemica politica contingente, un tema che destra e sinistra hanno lasciato cadere. Riaffermare la linea di confine, cioè la laicità senza aggettivi, nel rapporto tra lo Stato e la Chiesa cattolica, indipendenti e sovrani "ciascuno nel proprio ordine", non appartenendo la legislazione civile, se non negli stati teocratici, all'ordine della Chiesa.

Promuovere la cultura politica, il pensiero critico, una rete di relazioni tra persone ugualmente interessate alla convivenza civile e all'attività politica, nel segno dei valori costituzionali.

Sono obiettivi ambiziosi ma non irrealistici se la voce collettiva di Libertà e Giustizia potrà pesare e farsi ascoltare. Per questo chiediamo la tua adesione.


Oltre 100mila adesioni

AIUTAMI A DIFFONDERE, GRAZIE!


*****



Vi comunico con immensa gioia che :

il sit-in per Niki Aprile Gatti svoltosi
Mercoledì 11 febbraio a Roma in Piazza Montecitorio, é andato proprio bene!
Clicca Qui per il resoconto
Ma non è ancora finita perchè,
questa è una storia su cui bisogna far
luce






domenica 8 febbraio 2009

L'invito di Beppino Englaro

"Sono il tutore di Eluana Englaro, ma in questo momento parlo da padre a padre, rivolgendomi al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, per invitare entrambi, ed essi soli, a venire a Udine per rendersi conto, di persona e privatamente, delle condizioni effettive di mia figlia Eluana, su cui si sono diffuse notizie lontane dalla realtà, che rischiano di confondere e deviare ogni commento e convincimento" Beppino Englaro.



L'amaca di Michele Serra, da "La Repubblica" di domenica 8

"Forse sono diventato ipersensibile, come chiunque, da anni, senta lo stesso vecchio chiodo piantarsi nella stessa vecchia ferita. Ma ogni volta che Berlusconi pronuncia anche una sola parola sulla famiglia Englaro mi sento umiliato dalla sua grossolanità morale. Al consueto effetto dell'elefante nel negozio di porcellane si aggiunge la totale incongruenza tra un argomento così alto e un livello cosi basso. Specie quando costui osa addentrarsi in dettagli - come dire - fisiologici, che riguardano un corpo inerte e lo strazio quasi ventennale di chi la veglia e la cura, mi si rivolta lo stomaco. Un argomento che anche i filosofi accostano con sorvegliatissima prudenza diventa, in bocca a lui, la ciancia superficiale di un importuno, per giunta dotato di poteri enormi, che in genere agli importuni non vengono affidati. In questi giorni siamo di fronte a un doloroso strappo istituzionale e costituzionale, ma forse perfino più doloroso ci sono gli sgarri verbali che il premier si è concesso, blaterando di gravidanze e di "bell'aspetto". Chissà se, di fronte a questo osceno spettacolo, almeno qualcuno dei suoi elettori ha potuto aprire gli occhi. L'illusione è che esista una soglia oltre la quale finalmente la passione politica si fa da parte, e lascia il posto alla valutazione umana. Non posso credere che essere di destra, oggi in Italia, significhi rassegnarsi a essere rappresentati da uno di quella fatta".

(dal blog di: Mauro Biani )

sabato 7 febbraio 2009

LA MORTE DELLA DEMOCRAZIA !

HO CONOSCIUTO MOLTI CATTOLICI MA POCHI CRISTIANI (diffondere! GRAZIE)


Al governo Berlusconi sono bastati 4 minuti per spazzare via tutto: pietà e rispetto, discrezione e silenzio, equilibrio e correttezza istituzionale. Come le ruspe nei campi nomadi, il consiglio dei ministri non ha avuto riguardo nell’approvare un disegno di legge che obbliga alimentazione e idratazione per soggetti non autosufficienti, dopo aver provato la strada del decreto, stoppato da Napolitano.
Si tratta di un accanimento per nulla terapeutico.
Ho conosciuto molti cattolici ma pochi cristiani.
Cinismo, neppure cattiveria.
Calcolo politico di bassa Lega, tentativo di mettere in difficoltà il capo dello Stato. Per una volta il Cavaliere non ha dato retta ai sondaggi e agli umori popolari, al sentire comune che sta dalla parte della famiglia Englaro e delle difficili decisioni assunte, con il conforto di una sentenza della magistratura, per porre termine non già alla vita ma allo strazio di Eluana.
Si vuole ora speculare su questo dramma, si vuole aprire un conflitto istituzionale con il Quirinale per perseguire neppure troppo oscuri disegni: affrettare il passo verso una Repubblica presidenziale a vocazione autoritaria.
È l’ultimo punto del programma della P2 di Licio Gelli rimasto ancora da attuare.
Ora lo vogliano fare, a spallate. Costi quel che costi. Anche passando sul corpo di Eluana Englaro.

(di Franca Rame e Sergio Segio)



La marcia su Udine


L’ingresso di Berlusconi nel circo Englaro è un atto così vomitevole da far fare quasi bella figura alla Chiesa. Ho detto quasi. Che almeno i preti ci credono o fingono di crederci, lo fanno perché è la loro religione. Sono osceni nella loro volontà di imporre la loro morale a chiunque, ma almeno si tratta di una morale, sia pur ferma all’anno Mille. Berlusconi no. Berlusconi non crede in nulla e nemmeno finge. E’ chiaro a chiunque che a Berlusconi di Eluana Englaro non interessa nulla. Viva, morta o vegetale, per lui è uguale. Berlusconi non vede mai più lontano del proprio esclusivo interesse. E oggi utilizza il corpo di una donna in stato vegetativo permanente da diciassette anni, utilizza il dolore del padre, per un mero, schifoso, riprovevole calcolo politico. Lo scontro con Napolitano. E male, malissimo, ha fatto il Presidente ad annunciare il suo no al decreto. Ma ancora non sa con chi ha a che fare? Perché senza quel no preventivo, Berlusconi il decreto non lo avrebbe tirato fuori. Il decreto, poi disegno di legge, approvato in pochi minuti da quel gruppetto di dipendenti Mediaset altrimenti noti come ministri, è funzionale allo scontro. E fa presagire scenari ancora più cupi: davvero il tentativo di Berlusconi è quello di liberarsi di un uomo così innocuo da firmare senza fiatare persino il lodo Alfano? Se è così, dove vuole arrivare?

Come contorno, fa pena la figura di Schifani, seconda carica dello Stato, che, infischiandosene del ruolo istituzionale, dichiara che convocherà in fretta il Senato per approvare il disegno di legge. Il Senato che, Berlusconi lo dice chiaramente, non esiste. Come comanda il padrone, vota. La differenza fra un decreto legge e un disegno di legge non è il Parlamento. No. E’ il tempo.

Fanno ribrezzo le parole talebane di Berlusconi su Eluana che non può morire perché potrebbe avere figli. Magari con Piersilvio. La desolazione morale che sta dietro questa dichiarazione è spaventosa. Anche se su questa storia dei figli, Berlusconi non deve avere sentito il parere della Chiesa. Ratzinger proibirebbe l’atto sessuale: Eluana non è sposata.

Fa ribrezzo la dichiarazione di Berlusconi durante la conferenza stampa di stasera: a una domanda sul rischio di morte per Eluana nei prossimi giorni, il premier ha risposto: «Ci auguriamo di no. Una persona normale sta due o tre giorni senza mangiare e bere». E ha aggiunto: «rivolgetevi a Pannella, che ne sa qualcosa». Poi mi sono distratto, ma secondo me ha chiuso con una bella barzelletta sui disabili. E tutti a casa che su Mediaset Premium ci sono le tette di Cristina.

No hay banda, no hay orquesta. Silencio.

Silencio, por favor.

(di Gennaro Carotenuto)


La vignetta è di:Mauro Biani

mercoledì 4 febbraio 2009

Appello, no alla schedatura


Scrivi anche tu al Presidente della Repubblica contro una legge che porterà ad una schedatura su base etnica per i Sinti italiani. Vai in questa pagina e compila il modulo con i dati richiesti. Nello spazio oggetto inserisci “no alla schedatura”. Nello spazio testo inserisci l’appello che trovi qui sotto.

Egregio Presidente, chiedo il suo intervento sul Parlamento per lo stralcio degli articoli 36 e 44 del ddl n. 733 in discussione in Parlamento. L’approvazione degli articoli 36 e 44 del ddl n. 733 modificherebbe la legge anagrafica del 1954 e ciò porterebbe di fatto ad una “schedatura etnica” per i Sinti italiani e complicherebbe i percorsi di interazione sociale. Nell’articolo 36 del disegno di legge n. 733 per la modifica della legge 24 dicembre 1954, n. 1228 si parla esclusivamente di “immobili”, implicitamente escludendo a priori dal poter ottenere l’iscrizione anagrafica per chi vive in roulotte, in camper, in una carovana o una casa mobile (beni mobili). Inoltre, si pone come requisito essenziale per l’ottenimento dell’iscrizione anagrafica nel luogo dove si vive, le condizioni igienico-sanitarie ai sensi delle vigenti norme sanitarie. Chi sarà colpito da questa norma? Le famiglie sinte italiane che vivono nei cosiddetti “campi nomadi”, le famiglie sinte italiane che vivono in terreni privati e le famiglie dello spettacolo viaggiante. Ma non solo perché anche tantissime famiglie Rom italiane vivono in case mobili o in roulotte. Migliaia di Cittadini italiani rischieranno di perdere non solo il diritto di voto ma tutta una serie di diritti legati indissolubilmente all’iscrizione anagrafica (i documenti come la patente di guida, le licenze per le attività lavorative, l’assistenza sanitaria,…). Inoltre con l'articolo 44 si prevede l'istituzione, presso il ministero degli Interni, di un registro nazionale per le persone senza dimora. Oltre a far intuire finalità di controllo, il registro rischierebbe di separare l'iscrizione anagrafica dagli abituali luoghi di vita, con effetti imprevedibili sul reale accesso ai servizi da parte dei Sinti italiani. Un esempio? Se una famiglia sinta italiana di Venezia dovesse avere qualsiasi tipo di problema, dovrà rivolgersi ai servizi sociali della sua città o direttamente a Roma? Inoltre, non è da sottovalutare la dizione che sarà scritta sulle Carte d’Identità: “senza fissa dimora”. Questa dizione limiterà in maniera notevole le possibilità di vita sociale e lavorativa. Infatti, con tale dicitura sulla Carta d’Identità sarà difficile anche solo ottenere una tessera per noleggiare dei video ma soprattutto sarà ancor più difficile trovare lavoro. Come per altro già succede in alcuni casi. Di fatto con l’approvazione degli articoli 36 e 44 la stragrande maggioranza dei Sinti italiani e non solo saranno cancellati dai luoghi di residenza e saranno tutti inseriti in un unico registro nazionale. Per queste ragioni chiedo il Suo intervento per evitare questa discriminazione che separerà i Cittadini italiani a seconda della tipologia abitativa.
In attesa di riscontro, porgo i più cordiali saluti




Le nuove norme, contenute negli articoli 36 e 44 del ddl n. 733, non colpiranno solo le famiglie che vivono in abitazioni mobili (esempio roulotte) ma anche tutte le famiglie che vivono in abitazioni immobili (esempio appartamento) che, in questo secondo caso, non hanno il certificato di abitabilità o che non rispondono alla normativa sulle condizioni igienico sanitarie. Quindi, se saranno approvati gli articoli 36 e 44 del ddl n. 733, possono perdere l’iscrizione anagrafica nel luogo di residenza tutte le famiglie che vivono in un immobile che non risponde alla normativa sull’abitabilità e/o non risponde alla normativa igienico sanitaria.
Secondo la legislazione italiana l’immobile deve rispondere a tutta una serie di criteri indicati da una normativa abbastanza complessa. CONTINUA : LEGGI QUI

FONTE :

domenica 1 febbraio 2009

Libia: il 3 febbraio si vota. Scrivete ai capigruppo al Senato

Diffondete il più possibile tutto ciò.


Martedì 3 febbraio in Senato si aprirà la discussione sul Trattato Italia-Libia, la cui ratifica darà il via libera ai pattugliamenti congiunti e ai respingimenti nelle carceri libiche di migranti e rifugiati intercettati nel Canale di Sicilia. Fate sentire la vostra voce.
Insieme agli autori di "Come un uomo sulla terra", abbiamo lanciato un appello ai senatori. Lo hanno già firmato Dario Fo, Marco Paolini, Ascanio Celestini, Franca Rame, Marco Baliani, Gad Lerner, Emanuele Crialese, Erri De Luca, Felice Laudadio, Fausto Paravidino, Francesco Munzi, Goffredo Fofi, Francesca Comencini, Giuseppe Cederna, Luca Bigazzi, Maddalena Bolognini, Giorgio Gosetti, Gianfranco Pannone, Giovanni Piperno, Giovanna Taviani, Alessandro Rizzo, Andrea Segre, Dagmawi Yimer, Riccardo Biadene, Stefano Liberti, Marco Carsetti, Alessandro Triulzi, Gabriele Del Grande, Igiaba Sciego. E poi ci sono gli oltre 2.500 firmatari della petizione on line da Italia, Francia, Germania, Spagna, Inghilterra, Tunisia, Marocco, Senegal, Mali e altri paesi.

Copiate il testo dell'appello, di sotto, e speditelo per mail al Presidente del Senato schifani_r@posta.senato.it e ai capigruppo finocchiaro_a@posta.senato.it, dalia_g@posta.senato.it, gasparri@tin.it , bricolo_f@posta.senato.it, belisario_f@posta.senato.it e ai senatori che avete eletto, qui trovate l'elenco

Grazie a tutti
Autori e produzione COME UN UOMO SULLA TERRA

TRATTATO ITALIA-LIBIA
APPELLO AI SENATORI ITALIANI CONTRO LE DEPORTAZIONI E LE VIOLENZE A DANNO DEI MIGRANTI AFRICANI IN LIBIA

Il 3 febbraio si apre al Senato la discussione per l’approvazione del Trattato Italia-Libia.
Con questo appello vogliamo rilanciare la petizione contro le deportazioni dei migranti in Libia, promossa dagli autori del film COME UN UOMO SULLA TERRA e dall’osservatorio FORTRESS EUROPE ed oggi firmata già da oltre 2500 persone.

Nel Trattato Italia-Libia non è previsto per il governo di Gheddafi alcun obbligo concreto e verificabile di accoglienza, di tutela del diritto d’asilo, di rispetto della dignità umana: la Libia semplicemente li deve “fermare”, non importa come. Questa direzione non fa altro che confermare la riduzione dei migranti a “strumento politico” di cui poter liberamente predisporre. Gheddafi potrà continuare ad utilizzare i flussi di migranti come strumento di pressione per accrescere il suo potere contrattuale con l’Italia e l’Europa. I migranti, tra i quali vi sono anche molte donne e minori, continueranno a rischiare la vita, tanto nelle carceri, nei container e nei centri della polizia libica, quanto nel deserto e nel mare, che saranno spinti ancor più ad attraversare proprio a causa delle violenze da parte della polizia libica stessa.

In Libia si compiono continue violazioni dei diritti umani fondamentali: arresti indiscriminati, violenze, deportazioni di massa, torture, connivenze tra polizia e trafficanti. Ai migranti, molti dei quali in fuga da paesi in guerra o dittatoriali come Etiopia, Sudan, Eritrea, Somalia, non è garantito alcun diritto, a partire proprio da quelli di asilo e di protezione umanitaria, perché la Libia semplicemente non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra. Per questo alla Libia non può essere affidato con tanta noncuranza e superficialità il compito di “fermare i migranti”. Chiediamo pertanto che nella discussione al Senato sul Trattato si tenga presente quanto richiesto nella petizione, dove le centinaia di firmatari chiedono che Parlamento Italiano ed Europeo, insieme a Governo Italiano, CE e a UNHCR promuovano:

1. Una commissione di inchiesta internazionale e indipendente sulle modalità di controllo dei flussi migratori in Libia anche in seguito agli accordi bilaterali con il Governo Italiano.

2. L’avvio rapido, vista l’emergenza della situazione, di una missione internazionale umanitaria in Libia per verificare la condizione delle persone detenute nelle carceri e nei centri di detenzione per stranieri.

Invitiamo tutti gli italiani ed in particolare senatori e deputati, a vedere lunedì 2 febbraio alle 21.00, martedì 3 febbraio alle ore 9.30, 14.30 e 21.00 il film COME UN UOMO SULLA TERRA, che in questa delicata fase autori e produzione hanno deciso di mettere in onda via web sul sito del film:
http://comeunuomosullaterra.blogspot.com/

Firmatari dell’appello:
Dario Fo, Marco Paolini, Ascanio Celestini, Franca Rame, Marco Baliani, Gad Lerner, Emanuele Crialese, Erri De Luca, Felice Laudadio, Fausto Paravidino, Francesco Munzi, Goffredo Fofi, Francesca Comencini, Giuseppe Cederna, Luca Bigazzi, Maddalena Bolognini, Giorgio Gosetti, Gianfranco Pannone, Giovanni Piperno, Giovanna Taviani, Alessandro Rizzo, Andrea Segre, Dagmawi Yimer, Riccardo Biadene, Stefano Liberti, Marco Carsetti, Alessandro Triulzi, Gabriele Del Grande, Igiaba Sciego ed altri 2500 firmatari da Italia, Francia, Germania, Spagna, Inghilterra, Tunisia, Marocco, Senegal, Mali e altri paesi.

Per firmare la petizione