Ascoltate Josè Saramago intervistato da Serena Dandini

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mercoledì 25 novembre 2009

L’Italia respinge altri 80 esseri umani nelle mani dei carcerieri libici

Il 23 e il 24 Novembre i ministri dei paesi del Mediterraeno Occidentale (tra cui Malta (dove si viene imprigionati per più di un anno anche se si è bambini, anche se si è dei rifugiati), la Libia (che nelle sue prigioni finanziate dal governo italiano, dove l’Italia respinge illegalmente i richiedenti asilo politico, le persone vengono torturate, a volte uccise, deportate , la Tunisia, la Mauritania, ma anche la Spagna e il Marocco (che hanno collaborato nell’uccisione a freddo di decine di migranti alla frontiera tra le enclaves di Ceuta e Melilla), si sono riuniti a Venezia, barricati sull’isola di San Servolo per parlare di sicurezza e di contrasto all'imigrazione.

Le associazioni veneziane antirazziste avevano chiesto l’autorizzazione ad esprimere il loro pacifico dissenso.
Dall’Accademia sarebbe dovuta partire una barca verso San Giorgio, per una simbolica performance di sensibilizzazione e denuncia.

Tutto era autorizzato fino alle sette della sera prima; a quell’ora, infatti, chi aveva chiesto l’autorizzazione è stato riconvocato d’urgenza in questura per sentirsi dire che le cose erano cambiate, che il Ministro degli Interni, in modo perentorio, diretto e insindacabile, aveva vietato la parte acquea della manifestazione.
Ok, niente barca, niente bacino, ma il presidio sì, con le concordate forme pacifiche e creative.

Questi gli accordi presi fino alla sera prima.

Ma ieri all’Accademia la polizia era di altro avviso:
"se tirate fuori i manichini dobbiamo intervenire" dice subito il dirigente Digos, mentre degli "inviati" romani, mandati direttamente dal Ministero, restano ai margini a controllare, a valutare anzi, la condotta dei loro colleghi della Questura di Venezia, visibilmente imbarazzati di fronte ad ordini così ingiustificabili: caricare una manifestazioni autorizzata perché a Maroni danno fastidio tre manichini di cartapesta e tutto quello che possono evocare e rappresentare.




Una donna incinta, un bambino e un padre, il più alto misura un metro e venti. Una famiglia di carta pesta

I manifestanti, società civile di tutte le età, a volto completamente scoperto, signore e studenti, con le mani alzate, si ritrovano nella grottesca, incredibile situazione di dovere difendere coi loro corpi dei manichini di carta.

La polizia si avvicina, schiaccia i manifestanti dopo averli circondati da tutti i lati.





Si cerca di impedire che le telecamere della Rai e i giornalisti locali possano filmare o fotografare i tre manichini. Tanto fastidio danno questi simboli di dissenso e solidarietà, di "pietas" e di denuncia. La polizia si avvicina, hanno l’ordine chiaro di caricare. Alzano i manganelli, si mettono i caschi, schiacciano i corpi dei manifestanti con i loro scudi. parte qualche colpo, viene strappato il microfono a chi stava denunciando questo ingiustificabile attacco alla democrazia, alla libertà di pensiero e parola.
Ma la parte coraggiosa e civile di una Venezia che difende i suoi veri valori riesce a mostrare cosa significa veramente disobbedire a delle imposizioni ingiustificabili. Troppi giornalisti esterrefatti, troppa gente che si ferma in solidarietà vedendo quella violenza scagliarsi addosso a una manifestazione del genere. La polizia deve allontanarsi, il microfono torna in mano a chi sta conducendo questa battaglia di civiltà. I manichini vengono salvati e fotografati. Solo uno, il papà, è stato "arrestato", forse per reato di immigrazione clandestina commesso da un cadavere di carta pesta.
Alla fine sono i manifestanti stessi a consegnare alla polizia i manichini: li volevate tanto? Noi adesso, decidiamo di consegnarveli. Questo è un bambino morto di fame, freddo e disidratazione il 10 agosto del 2009, su una barca, sotto gli occhi del Ministro che voi oggi avete difeso anche a costo di mettervi contro le più elementari norme di democrazia di questo paese alla deriva.

Per la galleria fotografica e l'articolo completo vai su globalproject.info


Era il 20 agosto del 2009 quando la guardia di finanza italiana riportava a terra cinque eritrei intercettati in mare, a largo di Lampedusa. Erano una donna, due uomini e due ragazzini. Nei loro occhi restava l’orrore di una tragedia appena vissuta. Raccontavano, con un filo di voce, che nella loro barca c’erano tante, tante altre persone. Rimasti in mezzo al mare per giorni e giorni, mentre i governi europei discutevano su chi dovesse occuparsi di loro e i pescherecci di tutti i paesi del Mediterraneo facevano finta di niente. Morti uno ad uno, 73 cadaveri scivolati nel mare, anche quattro donne incinte, e i loro figlioletti nati prematuri e senza vita.

Non si è trattato di un incidente, ma di un omicidio indiretto e con moltissimi responsabili.

Non si è trattato di un caso isolato, ma solo di uno di quei pochi che emergono all’attenzione mediatica mentre infiniti altri rimangono nel silenzio.


ATTENZIONE !!!!

Ancora un respingimento collettivo verso la Libia.



Nella mattina del 24 novembre si è appreso dai notiziari Rai regionali che un gommone con 80 migranti che navigava in direzione di Lampedusa è stato intercettato in acque internazionali e ricondotto in Libia da due motovedette appartenenti al gruppo di imbarcazioni che nel mese di maggio l’Italia aveva donato alla guardia costiera libica, garantendo la formazione degli equipaggi e instaurando un comando centrale di coordinamento delle operazioni di respingimento, sulla base dei protocolli firmati a Tripoli nel 2007, poi finanziati dal Trattato di amicizia firmati da Berlusconi nell’agosto del 2008.
All’operazione di respingimento avrebbero partecipato anche due unità della marina maltese che avrebbe la competenza per il salvataggio ed il soccorso in quella zona del canale di Sicilia. Malta ha concluso da tempo un accordo con la Libia che prevede i respingimenti collettivi delle imbarcazioni cariche di migranti provenienti da quel paese ed adesso presta la sua fattiva collaborazione alle operazioni di respingimento disposte dal comando centrale italo-libico.

Un respingimento che rigetta verso le prigioni di Gheddafi, nelle mani di forze di polizia che sono ben note per gli abusi e la corruzione, ma con le quali i nostri agenti di collegamento collaborano quotidianamente, migranti che avrebbero avuto diritto ad entrare nel nostro territorio per presentare una domanda di asilo, come afferma anche la Corte di Cassazione che comprende nel diritto di asilo previsto dalla Costituzione anche il diritto di ingresso nel territorio.
Un respingimento delegato alle motovedette libiche, ma al quale hanno certamente partecipato, a livello di tracciamento e individuazione del gommone in rotta verso Lampedusa, anche la marina militare italiana, e la guardia di finanza, inserite nel sistema unico di coordinamento previsto dal protocollo d’intesa con la Libia richiamato nel Trattato di amicizia del 2008.

Nessun giornale, ancora una volta, darà notizia di questo respingimento, mentre uno spazio minimo viene dedicato dalla stampa locale all’arresto di cinque eritrei colpevoli di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni per essersi allontanati dal centro di accoglienza di Pozzallo, mentre altri naufraghi venivano arrestati con l’accusa di essere scafisti. Questo è il solo volto che l’Italia mostra oggi ai migranti, con la chiusura delle strutture e dei progetti di accoglienza e con l’inasprimento della sanzione penale dell’ingresso irregolare, l’univa via per entrare nel nostro paese per tante persone in fuga da guerre e persecuzioni.

2. Si continua a registrare dunque un silenzio tombale sulla questione dei respingimenti nelle acque internazionali del canale di Sicilia e dalle frontiere portuali dell’Adriatico. Nella gestione quotidiana dei rapporti tra Italia, Libia e Tunisia in materia di contrasto dell’immigrazione irregolare, le scelte maturate negli anni passati, talvolta anche sulla base di accordi di “solidarietà nazionale”, fino alla approvazione del Trattato di amicizia con la Libia, stanno coprendo di vergogna e di ridicolo il governo italiano e le autorità militari che ne eseguono gli ordini. Vergogna per le gravissime violazioni dei diritti umani, anche ai danni di minori e vittime di violenza, ridicolo per la evidente sproporzione tra l’enfasi degli annunci ed i risultati conseguiti, soprattutto quando si parla di “blocco” della rotta di Lampedusa. Una misura che se ha fatto diminuire in modo significativo il numero degli immigrati che annualmente entrano in Italia “senza documenti”, ha sbarrato la strada a migliaia di richiedenti asilo o altre forme di protezione internazionale, la maggior parte di quelli fino ad oggi arrivati a Lampedusa, in fuga dai lager di Gheddafi.

Ma questo, per Maroni , è un “successo storico”, un risultato del quale vantarsi.

Non è bastata neppure ad interrompere i respingimenti in acque internazionali la denuncia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati che ha accusato la Marina militare di gravi abusi ai danni dei migranti recuperati nel Canale di Sicilia da unita militari battenti bandiera italiana, e dunque territorio nazionale, prima di riconsegnarli alle autorità libiche. Le autorità italiane si sono limitate a modificare le procedure ed a riconsegnare i naufraghi alle motovedette libiche ai confini delle acque territoriali, senza arrivare più a sbarcare i migranti entrando direttamente nel porto di Tripoli come avvenuto nei giorni 7 ed 8 maggio di quest’anno. Un caso nel caso, sul quale dovrà pronunciarsi adesso la Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Anche le critiche tardive giunte dall’attuale opposizione sono state ignorate. Non si può dimenticare del resto, proprio alla luce di quanto sta facendo l’attuale governo italiano, un autentico massacro preordinato di esseri umani, che la collaborazione con la Tunisia e la Libia, con la esternalizzazione dei controlli di frontiera, ed il blocco a mare delle imbarcazioni dei migranti, risale a molti anni fa, e precisamente al 1998 con Napolitano come ministro dell’interno, autore dei primi accordi di riammissione con la Tunisia, e poi dal 2003 in poi con Prodi, presidente della commissione Europea e quindi capo del governo italiano nel 2006, sempre con l’appoggio di Napolitano, allora sostenitore degli accordi con la Libia, come documentato da un articolo del Corriere della sera del 19 settembre 2004, pochi mesi dopo il caso Cap Anamur, e appena qualche giorno prima dei respingimenti collettivi da Lampedusa verso la Libia, poi condannati dal Parlamento Europeo. Il governo Prodi non era riuscito neppure ad abrogare quell’infame decreto ministeriale del 14 luglio del 2003 che, in attuazione delle modifiche introdotte nel 2002 con la legge Bossi-Fini, prevedeva il “respingimento” delle imbarcazioni cariche di migranti “ verso i porti di provenienza”, una legalizzazione dei respingimenti collettivi vietati da tutte le convenzioni internazionali, oltre che una violazione palese dell’art. 10 della Costituzione italiana. Ed il Trattato di amicizia con la Libia è stato approvato nel febbraio del 2009 con il voto di quasi tutta l’attuale opposizione.

3. Gli attuali governanti italiani si sentono forti di un consenso elettorale “estorto” sull’onda della paura e dell’egoismo sociale, alimentando le peggiori fobie di una parte ( di fatto) minoritaria della popolazione, sfruttando le conseguenze di una crisi economica di cui sono i primi responsabili e che invece si vuole scaricare sugli ultimi arrivati. Ed adesso questi rappresentanti di un Italia sempre più chiusa e razzista, si sentono autorizzati a violare Costituzione, Convenzioni internazionali, ed anche Regolamenti Comunitari, come il Codice delle Frontiere Schengen del 2006, normativa vincolante nel nostro paese, ma elusa sistematicamente non solo nelle acque del Canale di Sicilia, ma anche alle frontiere portuali dell’Adriatico ( Venezia, Ancona, Bari, Brindisi) con i respingimenti “informali” di minori e potenziali richiedenti asilo verso la Grecia. I sondaggi valgono ormai più della Costituzione e degli impegni internazionali. E gli appelli del Presidente della Repubblica alla “coesione nazionale” rafforzano l’arroganza di chi gestisce la politica dei respingimenti sapendo di potere contare su una parte dell’opposizione che ha spianato la strada agli accordi di respingimento collettivo verso i paesi nordafricani.

Nelle acque del canale di Sicilia l’arretramento delle posizioni della Marina militare italiana, prima dislocata più a sud, anche in funzione di salvataggio dei barconi carichi di migranti, e il maggiore ambito di azione nelle acque internazionali, riconosciuto alle motovedette a bandiera libica ( ma a bordo non dovevano esserci anche militari italiani?) stanno chiudendo la via di fuga ai potenziali richiedenti asilo, ma stanno anche tagliando le possibilità di pesca e dunque di sopravvivenza dell’intera marineria di Mazara del Vallo, alla quale partecipano, tra gli altri, numerosi lavoratori tunisini. I militari libici si sono permessi una facile ironia, ricordando alcuni mesi fa agli ultimi pescatori mazaresi vittima di un sequestro, bloccati anche durante il viaggio di ritorno in Italia, che i mezzi che condurranno in futuro nei porti libici le unità da pesca italiane che dovessero essere sorprese a più di 73 miglia a nord del confine libico, saranno proprio le motovedette fornite dall’Italia alla Libia per contrastare l’immigrazione clandestina.

4. I respingimenti “informali” in acque internazionali, come la pratica delle “riammissioni” verso la Grecia, denunciata da tempo alle frontiere portuali dell’Adriatico violano il diritto a entrare o a rimanere ( se a bordo di una nave battente bandiera italiana) nel territorio italiano per il tempo necessario per l’accertamento dell’età, per il tempo necessario per l’esame della domanda di protezione internazionale, per verificare se comunque la persona si trova in una situazione di inespellibilità, alla quale va equiparato il divieto di respingimento (refoulement).

Le pratiche di respingimento da parte della polizia marittima, a terra come a mare, al di là della ambigua formulazione dell’art. 10 del T.U. sull’immigrazione del 1998, violano diverse disposizioni della Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia del 1989, delle Direttive comunitarie in materia di accoglienza (2003/9/CE), di qualifiche (2004/83/CE) e di procedure di asilo( 2005/85/CE) relative ai richiedenti protezione internazionale, il Regolamento delle frontiere Schengen del 2006, oltre che le disposizioni interne di attuazione. Presto anche la Commissione Europea potrebbe aprire una procedura di infrazione a carico dell’Italia per la violazione reiterata del diritto comunitario in materia di asilo, protezione internazionale e controllo delle frontiere.

Ma le condanne più gravi arriveranno ( e in qualche caso sono già arrivate) dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. E’ bene che i nostri governanti sappiano che per quanto siano lunghi i tempi per la conclusione dei processi, queste condanne stabiliranno la responsabilità di mandanti politici ed esecutori militari, malgrado i tentativi dilatori posti in essere per eludere le richieste di informazione da parte della Corte. Potranno fare sparire i corpi delle vittime degli abusi, ma questo non potrà che aggravare le responsabilità di chi ritiene di potere violare impunemente la Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo.

Ma quello che è più grave, e che non si era mai verificato in precedenza, è che oggi viene messa in discussione dal governo italiano, oltre alla giurisdizione della CEDU, anche la stessa possibilità effettiva di presentare un ricorso individuale alla Corte di Strasburgo. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, seconda Sezione, il 18 novembre 2008, ai sensi dell’articolo 39 CEDU ha ravvisato la possibile violazione dell’art. 34 CEDU intimando allo Stato italiano di sospendere l’espulsione di un cittadino afghano verso la Grecia fino al 10 dicembre 2008 (CEDH-LF2.2R, EDA/cbo, Requete n°55240/08, M. c. Italie). Lo stesso diritto di ricorso effettivo viene negato ai migranti bloccati nelle acque del canale di Sicilia e riconsegnati alle motovedette libiche, esattamente come ai migranti afghani ed irakeni respinti “senza formalità” dalle frontiere portuali dell’Adriatico verso la Grecia.

Nelle concrete modalità di esecuzione delle misure di “riammissione” in Grecia ed in Libia si riscontra infine una violazione del divieto di espulsioni collettive (nelle quali vanno compresi anche i casi di respingimento collettivo) sancito dall’art. 4 del Protocollo 4 allegato alla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo. Lo stesso divieto è ribadito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Certo, si tratta di casi nei quali non è facile fornire prove documentali, e appunto per questo i respingimenti vengono effettuati “senza formalità”, e in ogni caso non è agevole trovare nei paesi di transito come la Libia o la Tunisia avvocati indipendenti, in modo da far sottoscrivere una procura per una denuncia o per un ricorso. Per questo sollecitiamo la responsabilità di tutte le agenzie internazionali preposte alla prevenzione, oltre che alla sanzione, delle violazioni dei diritti fondamentali della persona, che operano nei paesi di transito.

Di fronte alla gravità ed al ripetersi delle procedure di riammissione verso la Libia e la Grecia occorre individuare forme di rappresentanza collettiva delle tante vittime delle procedure amministrative di immediato respingimento verso i porti di provenienza che sarebbero eseguite ai sensi dell’art. 10 comma 1 del Testo Unico sull’immigrazione del 1998, una norma che dovrebbe essere spazzata via da un rigoroso controllo di costituzionalità.

Vanno costruiti rapporti con le famiglie delle vittime dell’immigrazione clandestina, anche al fine di garantire la prosecuzione dei processi davanti alle corti internazionali, una volta che i migranti, magari dopo avere fatto ricorso, vengano fatti sparire” dalle autorità di polizia, per cancellare gli abusi che sono stati commessi e sui quali stanno indagando i giudici internazionali.
Per queste ragioni spetta alle organizzazioni non governative ed alle reti nazionali dei migranti presenti in Italia, creare una rete diffusa sul territorio nazionale, ed anche nei paesi di origine e di transito, in modo da garantire un monitoraggio continuo, raccogliere la documentazione, diffondere le informazioni su quanto accade e ricorrere a tutti gli strumenti legali interni ed internazionali per denunciare quanto sta avvenendo alle frontiere marittime dell’Adriatico e nel Canale di Sicilia.

Questo articolo è stato scritto da : Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo pubblicato sul sito www.meltingpot.org


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domenica 31 maggio 2009

La laurea honoris causa a uno che meriterebbe il carcere

La laurea honoris causa viene conferita dalle università a personalità che si sono distinte particolarmente e che, accettando il conferimento, ricevono e nello stesso tempo danno onore all’ateneo che li celebra.
Ebbene, l’Università di Sassari conferirà la laurea honoris causa in diritto, al Colonnello Gheddafi, AMICONE di Silvio Berlusconi, nonchè alleato nella politica di respingimento dei migranti messa in atto da Maroni.



La proposta viene dal professor Giovanni Lobrano, preside di Giurisprudenza, ed è stata approvata dal Consiglio di facoltà.

Giovanni Lobrano: "Il conferimento della laurea honoris causa al presidente Gheddafi da parte di una facoltà che si pone certamente in un contesto diverso da quelle islamico, contribuisce a un processo già in corso di dialogo e di conoscenza reciproca fra sistemi giuridici diversi ma convergenti nel Mediterraneo".

“Anche se ho proposto io la cosa e ho votato a favore - precisa il preside all’ADNKRONOS - e’ mia abitudine scientifica non attribuirmi meriti che non ho. Non posso definirla come una mia iniziativa ma sicuramente la proposta in facolta’ l’ho fatta io. Prima ne ho parlato con alcuni colleghi anziani e poi con il Magnifico rettore, Alessandro Maida. In particolare, ci siamo fatti carico di renderci conto se ci poteva essere una disponibilita’, una attenzione politico diplomatica per l’iniziativa. Poi veramente di piu’ non posso dire perche’ non si tratta di questioni personali di cui posso disporre. Su alcune cose sono veramente impegnato alla riservatezza”.

Insomma, Lobrano ammette che l’iniziativa non è interna alla facoltà, ma frutto di molti contatti in alto loco.

Del resto l’Italia si sta adeguando al sistema giuridico libico:
  • lo stesso trattamento indegno dei migranti
  • il non riconoscimento del diritto d’asilo
  • l'uso della tortura.
Rimandare i profughi in Libia significa riservare loro i diritti e le "libertà" del regime libico!

I 40 anni di regime del Colonnello Gheddafi, sono macchiati di sangue e gravi restrizioni delle libertà dei 6,3 milioni di cittadini libici.
A dirlo sono i rapporti sulla Libia firmati Amnesty International e Human Rights Watch, che parlano di prigionieri politici, di reati di opinione, di una diffusa impunità e di torture .

Nonostante la tortura in Libia è proibita dalla legge, di 32 detenuti libici intervistati da Human Rights Watch nel 2005, 15 erano stati torturati per estorcere confessioni poi utilizzate nei processi. Sarebbe pratica comune incatenare i detenuti per ore al muro, picchiarli con bastonate sulla pianta del piede, e sottoporli a scariche elettriche. Altre sevizie sarebbero le ferite inferte con i cavatappi sulla schiena, la rottura delle articolazioni delle dita, il versamento di succo di limone sulle ferite aperte, il tentato soffocamento con sacchetti di plastica, la privazione del sonno e del cibo, lo spegnimento di sigarette sulla pelle e la minaccia ravvicinata di cani ringhiosi.

La notizia ha fatto talmente scandalo che sta girando un appello tra i docenti contro la decisione dell'ateneo di Sassari.
Per aderire all'iniziativa, promossa dai Radicali, che sulla questione hanno anche presentato una interrogazione parlamentare, basta scrivere a info@radicali.it



Gheddafi visiterà l’Italia dal 10 al 12 giugno. Una tappa storica, che segna il riallineamento di Roma e Tripoli. Gheddafi parlerà di affari, ma anche e soprattutto di immigrazione, e di respingimenti in mare. Chi conosce quale destino attende gli emigranti e i rifugiati respinti al largo di Lampedusa e imprigionati nelle carceri libiche, non può rimanere indifferente e complice. Per questo siamo tutti invitati a manifestare il nostro dissenso, per non rimanere indifferenti, e per essere migliori di chi ci rappresenta.
Partecipiamo alla campagna nazionale :





sabato 14 marzo 2009

La disavventura di un deputato del Parlamento europeo a Regina Coeli.

L'avvocato di Karol Racz, Lorenzo La Marca, ha riferito che nel corso dell'ultimo colloquio in carcere, avvenuto sabato scorso, Racz avrebbe avuto forti disturbi all'udito, arrivando a perderlo quasi del tutto; inoltre, avvicinando un dito a un orecchio, ha notato davanti al legale di perdere sangue. L'avv. La Marca, dopo essersi consultato con un medico che consigliava il ricovero immediato di Racz per accertamenti, ha inoltrato una richiesta al Gip di ricovero presso una struttura sanitaria; a tuttora il Giudice non ha dato alcun riscontro al riguardo.

Si ricorda che il diritto alla salute è uno dei diritti inviolabili della persona, sancito dalla Costituzione italiana (art. 32) e dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione europea (art. 3, diritto all'integrità della persona, art. 35, diritto alla salute, e altri).

Alexandru Isztoika Loyos ha dichiarato di essere stato costretto a confessare una colpa non commessa sotto tortura e altri trattamenti inumani.

L'articolo 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani condanna le forme di violenza istituzionali: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.”

Ma sembra che a nessuno venga in mente di appurare i trattamenti inumani denunciati da Isztoika Loyos e Racz.

Nonostante le prove del DNA (eseguite in più riprese per scongiurare errori su tutte le tracce rinvenute dalla Scientifica sul luogo dello stupro), gli Inquirenti non sembrano intenzionati a rilasciarli, né a metterli in condizione di relazionarsi con altre persone all'infuori dei loro carcerieri e dei due legali.



Temendo l'eventualità di un “suicidio” in cella, o comunque una morte in circostanze misteriose all'interno del carcere, il Gruppo EveryOne, organizzazione internazionale di Diritti Umani, incaricata dall'on. Viktoria Mohacsi al Parlamento europeo, hanno avanzato la richiesta di poter incontrare al più presto in carcere i due romeni, per constatarne le condizioni di salute e interrogarli accuratamente sull'intera vicenda.
" Se vi è stata effettivamente tortura, fra le procedure adottate da chi conduce l'inchiesta sui romeni, possiamo anche aspettarci di trovare una confessione manoscritta e firmata accanto al cadavere di Racs o di Isztoika Loyos: una tipologia di “suicidi” caratteristica dei regimi polizieschi." LEGGI tutto l'articolo

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Ecco come hanno impedito a Giulietto Chiesa ed alcuni esponenti dell'associazione Everyone, di visitare i due detenuti rumeni



Un grave episodio al Carcere Regina Coeli di Roma

A Giulietto Chiesa, deputato del Parlamento europeo , non è stato consentito di avere un colloquio con i due rumeni accusati dello stupro al parco della Caffarella avvenuto il 14 febbraio scorso, nonostante la legge lo permetta a chi è stato eletto dal popolo.

L'illegalità diventa di Stato.


Roma, 13 marzo 2009

Oggi, 13 marzo 2009, sono stato testimone di un fatto gravissimo: la direzione del Carcere di Regina Coeli di Roma non mi ha permesso di visitare i due detenuti rumeni accusati e involontari protagonisti dello stupro al Parco della Caffarella. Chi ha autorizzato i funzionari del carcere a una così evidente violazione della legge?

L'articolo 67 della legge 354/75 che regolamenta il regime carcerario consente a ogni rappresentante eletto di visitare i detenuti senza alcun preavviso; per questo motivo in mattinata insieme ad alcuni esponenti dell'associazione in difesa dei diritti umani “Everyone”, mi sono recato al Regina Coeli per visitare in veste di europarlamentare Karlo Racz e Alexandru Istoika.

Nonostante la regolare esibizione di tutti i documenti, la direzione ha addotto per quasi due ore tutta una serie di pretesti formali e burocratici (avrebbe per esempio permesso il mio accesso, ma non quello del nostro interprete rumeno) che mi hanno proibito di esercitare le mie prerogative.

Si tratta di una grave violazione delle regole democratiche, che fa parte di un'operazione politica organizzata: pur di sbattere un mostro in prima pagina, si mette alla gogna il primo malcapitato, sull'onda emotiva di un'opinione pubblica sempre più spaventata dai media.

Il caso dei due rumeni peraltro dimostra che tali comportamenti isterici sono dannosi per lo svolgimento delle indagini, distorcendone il regolare funzionamento e impedendo l'individuazione dei reali colpevoli.

In qualità di deputato europeo mi riservo di intraprendere tutte le azioni legali necessarie per accertare le responsabilità dell'episodio e di presentare una formale interrogazione in sede europea.

Giulietto Chiesa
Europarlamentare

Guarda l'intervista a Giulietto Chiesa




Fonte: www.giuliettochiesa.it
La vignetta : Mauro Biani

domenica 1 febbraio 2009

Libia: il 3 febbraio si vota. Scrivete ai capigruppo al Senato

Diffondete il più possibile tutto ciò.


Martedì 3 febbraio in Senato si aprirà la discussione sul Trattato Italia-Libia, la cui ratifica darà il via libera ai pattugliamenti congiunti e ai respingimenti nelle carceri libiche di migranti e rifugiati intercettati nel Canale di Sicilia. Fate sentire la vostra voce.
Insieme agli autori di "Come un uomo sulla terra", abbiamo lanciato un appello ai senatori. Lo hanno già firmato Dario Fo, Marco Paolini, Ascanio Celestini, Franca Rame, Marco Baliani, Gad Lerner, Emanuele Crialese, Erri De Luca, Felice Laudadio, Fausto Paravidino, Francesco Munzi, Goffredo Fofi, Francesca Comencini, Giuseppe Cederna, Luca Bigazzi, Maddalena Bolognini, Giorgio Gosetti, Gianfranco Pannone, Giovanni Piperno, Giovanna Taviani, Alessandro Rizzo, Andrea Segre, Dagmawi Yimer, Riccardo Biadene, Stefano Liberti, Marco Carsetti, Alessandro Triulzi, Gabriele Del Grande, Igiaba Sciego. E poi ci sono gli oltre 2.500 firmatari della petizione on line da Italia, Francia, Germania, Spagna, Inghilterra, Tunisia, Marocco, Senegal, Mali e altri paesi.

Copiate il testo dell'appello, di sotto, e speditelo per mail al Presidente del Senato schifani_r@posta.senato.it e ai capigruppo finocchiaro_a@posta.senato.it, dalia_g@posta.senato.it, gasparri@tin.it , bricolo_f@posta.senato.it, belisario_f@posta.senato.it e ai senatori che avete eletto, qui trovate l'elenco

Grazie a tutti
Autori e produzione COME UN UOMO SULLA TERRA

TRATTATO ITALIA-LIBIA
APPELLO AI SENATORI ITALIANI CONTRO LE DEPORTAZIONI E LE VIOLENZE A DANNO DEI MIGRANTI AFRICANI IN LIBIA

Il 3 febbraio si apre al Senato la discussione per l’approvazione del Trattato Italia-Libia.
Con questo appello vogliamo rilanciare la petizione contro le deportazioni dei migranti in Libia, promossa dagli autori del film COME UN UOMO SULLA TERRA e dall’osservatorio FORTRESS EUROPE ed oggi firmata già da oltre 2500 persone.

Nel Trattato Italia-Libia non è previsto per il governo di Gheddafi alcun obbligo concreto e verificabile di accoglienza, di tutela del diritto d’asilo, di rispetto della dignità umana: la Libia semplicemente li deve “fermare”, non importa come. Questa direzione non fa altro che confermare la riduzione dei migranti a “strumento politico” di cui poter liberamente predisporre. Gheddafi potrà continuare ad utilizzare i flussi di migranti come strumento di pressione per accrescere il suo potere contrattuale con l’Italia e l’Europa. I migranti, tra i quali vi sono anche molte donne e minori, continueranno a rischiare la vita, tanto nelle carceri, nei container e nei centri della polizia libica, quanto nel deserto e nel mare, che saranno spinti ancor più ad attraversare proprio a causa delle violenze da parte della polizia libica stessa.

In Libia si compiono continue violazioni dei diritti umani fondamentali: arresti indiscriminati, violenze, deportazioni di massa, torture, connivenze tra polizia e trafficanti. Ai migranti, molti dei quali in fuga da paesi in guerra o dittatoriali come Etiopia, Sudan, Eritrea, Somalia, non è garantito alcun diritto, a partire proprio da quelli di asilo e di protezione umanitaria, perché la Libia semplicemente non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra. Per questo alla Libia non può essere affidato con tanta noncuranza e superficialità il compito di “fermare i migranti”. Chiediamo pertanto che nella discussione al Senato sul Trattato si tenga presente quanto richiesto nella petizione, dove le centinaia di firmatari chiedono che Parlamento Italiano ed Europeo, insieme a Governo Italiano, CE e a UNHCR promuovano:

1. Una commissione di inchiesta internazionale e indipendente sulle modalità di controllo dei flussi migratori in Libia anche in seguito agli accordi bilaterali con il Governo Italiano.

2. L’avvio rapido, vista l’emergenza della situazione, di una missione internazionale umanitaria in Libia per verificare la condizione delle persone detenute nelle carceri e nei centri di detenzione per stranieri.

Invitiamo tutti gli italiani ed in particolare senatori e deputati, a vedere lunedì 2 febbraio alle 21.00, martedì 3 febbraio alle ore 9.30, 14.30 e 21.00 il film COME UN UOMO SULLA TERRA, che in questa delicata fase autori e produzione hanno deciso di mettere in onda via web sul sito del film:
http://comeunuomosullaterra.blogspot.com/

Firmatari dell’appello:
Dario Fo, Marco Paolini, Ascanio Celestini, Franca Rame, Marco Baliani, Gad Lerner, Emanuele Crialese, Erri De Luca, Felice Laudadio, Fausto Paravidino, Francesco Munzi, Goffredo Fofi, Francesca Comencini, Giuseppe Cederna, Luca Bigazzi, Maddalena Bolognini, Giorgio Gosetti, Gianfranco Pannone, Giovanni Piperno, Giovanna Taviani, Alessandro Rizzo, Andrea Segre, Dagmawi Yimer, Riccardo Biadene, Stefano Liberti, Marco Carsetti, Alessandro Triulzi, Gabriele Del Grande, Igiaba Sciego ed altri 2500 firmatari da Italia, Francia, Germania, Spagna, Inghilterra, Tunisia, Marocco, Senegal, Mali e altri paesi.

Per firmare la petizione

venerdì 12 dicembre 2008

Dove stanno i media di fronte a tragedie come queste?

Gli italiani amano i bambini. Basta che non siano stranieri
di
Ugo Dinello



Non sapeva nulla della paura per l'acqua alta che attanagliava la città. Non sapeva nulla della paura per gli stranieri che sta montando come una marea nera nel Paese in cui sognava di arrivare. Non sapeva nulla che "gli italiani buona gente" e "gli italiani amano i bambini". Basta non siano stranieri. Afgani poi.... Con il suo cuore di bambino che gli batteva forte nel petto, con gli occhi sgranati dal terrore, con le lacrime che scendevano sulle guance, nel buio del mostruoso ventre di una nave che con quei rumori da fine del mondo stava attraccando e scaricando il suo carico di camion, con il pensiero di essere braccato e incarcerato, peggio, di essere rimandato indietro, in piena notte lui, il bambino fuggiasco, si è attaccato sotto al pianale di un gigantesco tir che stava sbarcando dalla nave traghetto greca nel porto di Venezia.

Al freddo, con gli schizzi del fango che lo accecavano e gli impedivano di respirare, lui, il bambino senza nome, è rimasto aggrappato con le sue manine al ferro freddo del pianale del camion, tra le gigantesche ruote, passando la dogana, rattrappendosi al momento dei controlli dei poliziotti infreddoliti e gocciolanti di pioggia, trattenendo il respiro allo sciabolare dei fasci delle torce sotto al camion.
Troppo piccolo per essere visto, lui, il bambino che sognava di scappare da un futuro di fame e terrore, forse ha sospirato al rumore del motore del camion che si rimetteva in moto e che lasciava per sempre il porto, dirigendosi verso la statale e poi verso l'autostrada.
Ha stretto le mani, avrà certamente avuto un brivido quando il vento della velocità gli ha gettato addosso un torrente di fango ghiacciato mentre nella notte le poche luci delle case viste alla rovescia non riuscivano a consolarlo.
Avrà urlato di paura?
Avrà pensato alla sua mamma?
Avrà sognato per un'ultima volta la sua misera casa, il cielo immenso, le voci dei fratelli e delle sorelle?
Nessuno lo potrà sapere.


Alle 22.50 di ieri, al chilometro 22+500 della statale Tirestina, come recita impersonalmente il rapporto della polizia, le sue manine rattrappite dal freddo, livide di pioggia gelata, sporche di fango, non hanno più retto.

Il bambino senza nome è scivolato dal suo appiglio ed è piombato sull'asfalto, dove le enormi ruote del tir hanno maciullato quel piccolo corpo coperto di stracci senza nemmeno un sobbalzo. Nessuno si è accorto, nessuno si è fermato se non quando qualcuno ha visto quel mucchietto per terra, con le gocce di pioggia che pietosamente lavavano quelle piccole mani infangate.


Per la rete di associazioni ''Tuttiidirittiumanipertutti'', il bambino afgano ''e' morto per sfuggire ai controlli della polizia di frontiera al porto''. Questo - e' detto in una nota - ''perche' ormai tutti i migranti sanno che anche se si e' minorenni sempre piu' spesso si viene rimandati indietro, quando intercettati sulle navi, senza avere possibilita' di chiedere asilo politico o anche solo di venire informati sui propri diritti''. La rete delle associazioni chiede infine che a tutti quelli che ''arrivano al porto venga riconosciuto nei fatti il diritto d'accesso all'informazione tramite l'incontro con il personale civile, che ciascuno possa concretamente avere la possibilita' di avanzare una richiesta di protezione internazionale, che vengano sospesi i respingimenti con la Grecia''.

Oggi pomeriggio mani ignote hanno messo sul luogo dove lui è caduto un piccolo presepe in cartone. Un presepe povero come lui, piccolo piccolo, ma c'era tutto: una grotta con un bambino con gli occhi grandi come i suoi che guardava il mondo con quella meravigliosa fiducia che hanno i bambini. Ora la pioggia si è portata via il presepe e il bambino fuggiasco invece riposerà per sempre in questo paese, che lui, nella sua fiducia di bambino, sognava allegro e buono, senza fame e senza terrore, pieno di sole e colori, accogliente con i bambini.

Perché si sa: "gli italiani amano i bambini". Basta non siano stranieri.

Nota di redazione: purtroppo questa è una delle tante tragedie legate all'immigrazione clandestina. Clandestina perchè qualcuno vuole che sia tale e non certo per scelta di chi parte o scappa dal proprio paese. Gente che si nasconde sotto ai tir o si infila dentro celle frigorifere, dentro container... una soluzione, una qualsiasi va bene pur di non essere rispediti indietro, pur di non tornare, come in questo caso, alla guerra. E i media? dove stanno i media di fronte a tragedie come queste? Quando si troverà il tempo e lo spazio per raccontare anche queste storie, che sono storie di persone, uomini e donne, con delle facce, dei nomi, delle vite, degli affetti..? Se il rapporto media-politica è davvero così stretto, come molti sostengono, forse proprio partendo da questo, dall'umanizzazione dello "straniero", si potrebbe auspicare una successiva umanizzazione in seno alle politiche migratorie... Utopia, magari, ma un tentativo non guasterebbe.





Ignorate le notizie sulle continue violazioni dei diritti umani in Darfur
di Antonella Napoli


Nel giorno del sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, un profugo del Darfur moriva per gli stenti della traversata che dal suo Paese, via Libia, lo aveva portato in Italia.
Nessun media ne ha dato
notizia.

Nel giorno del sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, una delegazione di Ong impe
gnate in Darfur è stata ascoltata in audizione alla Camera e ha illustrato una situazione drammatica, dove le violazioni contro la popolazione civile, sia a livello umanitario che di diritti, prosegue nell’impunità assoluta.
Nessun media, tranne qualche agenzia di stampa, ne ha dato notizia.


Nel giorno del sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, i giudici del Tribunale penale internazionale che devono decidere sulla richiesta di arresto per il presidente sudanese Omer Al Bashir, hanno chiesto al procuratore della stessa Corte, Moreno Ocampo, di depositare le ultime prove raccolte nell’inchiesta per genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità in Darfur. Atto, questo, che porterà a breve all’emissione del mandato di arresto per Bashir.
Nessun media ne ha dato notizia.

La domanda sorge spontanea… Ma dov’è l’informazione di qualità per la quale, nello stesso giorno, abbiamo manifestato davanti alla Rai che, al pari degli altri organi di informazione, continua a ignorare i grandi temi della vita e le violazioni dei diritti umani che quotidianamente vengono perpetrate nel mondo?
Eppure per tutta la giornata dedicata alle celebrazioni della Dichiarazione adottata dall'Assemblea Generale dell'Onu il 10 dicembre 1948, il leit motiv che ha caratterizzato le tante iniziative svoltesi in Italia è stato proprio questo…
e allora cosa c’è da festeggiare!


Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in un messaggio, ha ricordato la ‘necessità di garantire il primato della persona e della sua dignità su basi di libertà e di eguaglianza e il profondo divario che ancora oggi separa le enunciazioni dei diritti dal loro effettivo esercizio'.

Il Papa ha sottolineato che i diritti umani vanno promossi ma anche ridefiniti ed ha chiesto che si intensifichi lo sforzo per garantirne il rispetto.

Il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, ha dichiarato che la tutela dei diritti umani è in contrasto con la politica estera di qualsiasi governo.

A queste importanti dichiarazioni sono stati dedicati servizi nelle principali edizioni dei Tg e oggi le troviamo su tutti i giornali.

Ma le ‘notizie’, quelle vere, quelle che testimoniano le denunce di queste eminenti personalità, sono state ignorate. Tutte!


FONTE : http://www.articolo21.info/

martedì 12 agosto 2008

Appello del Gruppo EveryOne: "Vi sono malati gravi, invalidi e bambini che ora rischiano la vita"


Milano, 10 agosto 2008. Ronde di razzisti, in questi giorni d'agosto mentre l'Italia – spesso anche quella dei Diritti Umani – è in vacanza, percorrono i quartieri di Milano, alla ricerca di insediamenti Rom. Gli episodi di intolleranza si susseguono, contro bambini, donne incinte, vecchi e malati, indistintamente. “Essere 'zingaro' a Milano, di questi tempi, è assai peggio che essere un cane randagio,” dichiarano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, leader del Gruppo EveryOne “perché non vi sono ‘leghe’ da chiamare, se si cerca aiuto, ma solo squadre di violenti e intolleranti da evitare, pena i terribili pogrom con cui le famiglie Rom vengono messe in mezzo alla strada, nonostante Commissione europea, Consiglio d'Europa e Comitato antidiscriminazioni delle Nazioni unite abbiano ammonito l'Italia affinché si astenga da violenze e sgomberi senza alternative di alloggio”.

Ieri una piccola comunità di famiglie Rom romene, circa quaranta persone, fra cui numerosi bambini e alcuni uomini e donne sofferenti di gravi patologie oncologiche e cardiache, è stata sgomberata dal sito in via Console Marcello, dove qualche mese fa aveva costruito una decina baracche con materiali di fortuna, per dare un riparo a malati, minori, donne e uomini in gravi condizioni di salute e povertà. “Lo sgombero si è svolto secondo il solito rituale, tutto italiano, della brutalità e della violazione di ogni diritto umano e civile” commentano gli esponenti di EveryOne. “Il Presidente di Union Romani, la storica organizzazione di tutela del popolo Rom nell'Unione europea, ha paragonato la persecuzione contro i Rom in Italia ai prodromi dell'Olocausto. Siamo completamente d'accordo con lui e lavoriamo insieme alla sua organizzazione affinché l'Unione europea approvi uno Statuto che riconosca i diritti della nazione Rom, una nazione senza territorio compatto”.

Intanto si sono perse le tracce delle famiglie Rom sgomberate dall'insediamento di via Console Marcello. “E' un'emergenza umanitaria davanti alla quale le istituzioni e le autorità milanesi avevano finora semplicemente chiuso gli occhi,” proseguono gli attivisti “evitando di prestare assistenza alle famiglie e perseguitandole con controlli, perquisizioni, fermi, minacce di espulsione. In due parole, lasciandole morire”. Il 9 agosto, però, le forze congiunte del nucleo di pronto intervento della polizia municipale e del commissariato di Quarto Oggiaro hanno scatenato la loro offensiva contro le famiglie Rom, mettendole in fuga e distruggendo sia le loro baracche che i loro pochi averi, rimasti al'interno dei rifugi in legno e cartone distrutti dai tutori dell'ordine. “Il popolo italiano si sta abituando all'orrore,” conclude il Gruppo EveryOne, “perché non vi è altra definizione per simili abusi compiuti contro le persone più vulnerabili.

Riecheggiano ancora, nelle nostre orecchie, le parole pronunciate qualche mese fa da un poliziotto milanese:

'Non ce la faccio più. Cambio lavoro. Ho scelto questa vita per proteggere i deboli e gli innocenti, non per far loro del male. Quando vado a dormire, la notte, non riesco a dimenticare gli occhi di quei bambini, di quelle donne e di quegli uomini disperati, la cui unica colpa è di essere scuri di pelle e poveri'.

Abbiamo perso le tracce dei quaranta Rom sgomberati da via Console Marcello e lanciamo un appello a chi si imbatta in loro: dobbiamo aiutarli. Fra di loro vi sono malati in condizioni tragiche, bambini denutriti e situazioni di indigenza cui bisogna porre rimedio con la massima urgenza, pena la perdita di vite umane; se vi imbattete in loro, chiedete ai capifamiglia di mettersi subito in contatto con il Gruppo EveryOne al numero di telefono

334 8429527”.

Intanto, sempre ieri e sempre a Milano, in via Marco Bruto, l'ennesimo rogo di questa estate ha colpito un insediamento Rom, distruggendo baracche e una roulotte.

L'autrice della tempera su tela " Viviamo sulle strade" è Rebecca Covaciu.

sabato 2 agosto 2008

Olimpiadi: siti internet sbloccati ma, manca ancora la libertà d'espressione

"Abbiamo accolto con favore la notizia che il sito di Amnesty International sia accessibile dal centro stampa olimpico e probabilmente da altri computer nella città di Pechino" - ha commentato oggi Roseanne Rife, vicedirettrice del Programma Asia - Pacifico di Amnesty International. "Tuttavia, bloccare e sbloccare arbitrariamente determinati siti Internet non basta a soddisfare l'obbligo di rispettare gli standard internazionali in materia di libertà d'espressione e d'informazione". Giornalisti inviati a Pechino hanno riferito ad Amnesty International che il sito Internet dell'organizzazione per i diritti umani e alcuni altri (tra cui quelli di Human Rights Watch, di Radio Free Asia e del servizio in lingua cinese della Bbc) sono accessibili dal centro stampa olimpico. Questi siti, sarebbero, secondo alcune fonti, parzialmente accessibili anche da altre parti di Pechino. Tuttavia, altri siti Internet che si occupano di diritti umani o di temi politici rimangono bloccati, tra cui http://www.thechinadebate.org/, un forum creato da Amnesty International per promuovere il dibattito sulla situazione dei diritti umani in Cina alla vigilia delle Olimpiadi. "Al pari del resto del mondo, i cittadini cinesi hanno il diritto di accedere alle informazioni e a esprimersi on line su ogni argomento di legittimo interesse pubblico, diritti umani inclusi. Per questo, Amnesty International continua a chiedere alle autorità cinesi di assicurare pieno accesso a Internet, in linea con la promessa olimpica relativa alla 'completa libertà di stampa' e con gli standard internazionali sui diritti umani" - ha proseguito Rife. Diversi giornalisti cinesi sono in carcere per aver postato o cercato su Internet informazioni su temi ritenuti politicamente sensibili. Tra questi c'è Shi Tao, che sta scontando una condanna a 10 anni di carcere per aver inviato all'estero messaggi di posta elettronica che sintetizzavano il contenuto di una direttiva del Dipartimento centrale per la propaganda, che dava indicazioni su come i giornalisti avrebbero dovuto trattare il 15° anniversario della repressione di Tiananmen del 1989. Amnesty International sottolinea come la decisione delle autorità cinesi di sbloccare alcuni siti Internet sia stata favorita da forti prese di posizione tra cui quella ultima del Comitato internazionale olimpico (Cio), che solo pochi giorni fa aveva autorizzato le autorità cinesi a bloccare Internet. "Quando la diplomazia silenziosa fallisce, è chiaro che una forte pressione pubblica può ottenere un risultato effettivo. Amnesty International continua a chiedere al Cio e ai leader che da ogni parte del mondo arriveranno a Pechino per assistere ai Giochi di esprimersi pubblicamente in favore dei diritti umani e di farlo anche in nome e per conto dei difensori dei diritti umani che sono stati ridotti completamente al silenzio" - ha concluso Rife.
(Amnesty International - Italia )


L’8 agosto inizieranno le Olimpiadi. Un grande evento sportivo mondiale che quest’anno si terrà a Pechino, capitale di un immenso paese dove ancora viene applicata la pena di morte, dove 800 milioni di persone vivono in condizione di povertà, ma anche dove la crescita industriale ha raggiunto vertici insospettabili negli ultimi anni. Un paese dal doppio volto, per usare la definizione di Roberto Reale, giornalista, vicedirettore di Rainews24 e segretario generale di Information Safety and Freedom, che nel suo libro “Doppi giochi” (Stella Edizioni, 2008) svela la dimensione extra-sportiva dell’evento…"Doppi Giochi" porta alla luce la faccia nascosta di Pechino 2008. Ricostruisce le storie di dissidenti e cittadini che hanno pagato con la vita o col carcere la loro domanda di giustizia. Il libro vede nell’appuntamento olimpico una occasione per svelare le mille ambiguità che in questi anni hanno segnato il rapporto fra noi e la Cina. Ci racconta poi come si decida sul Web la grande partita della libertà di espressione in quel Paese e nel mondo. Con la regia del partito comunista e la complicità commerciale e tecnologica di molte aziende occidentali, lì si pratica un capitalismo privo di diritti e di democrazia. Una esperienza inquietante per il futuro di tutta l’umanità.
La vignetta è di : ROsanna Pasero

giovedì 26 giugno 2008

E' un censimento o una schedatura?

Il ministro Maroni ipotizza di prendere le impronte anche ai minori rom"come garanzia per la tutela dei loro diritti".

DIRITTI?
Sulla Carta dei diritti dell’infanzia approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, all’articolo 2, si legge testualmente:

1) Gli Stati parti s'impegnano a rispettare i diritti che sono enunciati nella presente Convenzione ed a garantirli ad ogni fanciullo nel proprio ambito giurisdizionale, senza distinzione alcuna per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, del fanciullo o dei suoi genitori o tutori, della loro origine nazionale, etnica o sociale, della loro ricchezza, della loro invalidità, della loro nascita o di qualunque altra condizione.

2) Gli Stati parti devono adottare ogni misura appropriata per assicurare che il fanciullo sia protetto contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivata dallo status, le attività, le opinioni espresse o il credo dei suoi genitori, dei suoi tutori o di membri della sua famiglia.

Maroni lo spiega così: sapere chi sono i minori rom, quanti sono, dove vivono e con chi è il fondamento "per rispettare il loro diritto all'infanzia" e dire basta ad abusi e sfruttamenti, anche quelli a cui li sottopongono i genitori.

Un altro intendimento del ministro, infatti, è quello di togliere la patria potestà a chi manda i figli a rubare o a chiedere l'elemosina. Anche solo a vendere rose.

"Del resto - ha aggiunto Maroni - nel 2007 l'allora ministro Rosi Bindi disse che occorreva difendere i minori anche ricorrendo alla rilevazione delle impronte digitali".


Ma... allora non è un censimento, è una schedatura!?

Mi perdoni ministro Maroni ma tra la prima e la seconda parola c'è una sostanziale differenza, direi un abisso.

L’idea di poter schedare un bambino in rapporto alla sua appartenenza etnica, è inconcepibile!

Dov'era, ministro Maroni, mentre le fiamme distruggevano le baracche e Rebecca Covaciu e gli altri bambini piangevano, e una mamma supplicava gli uomini in divisa: "Per piacere, lasciatemi prendere le copertine per i miei bambini" e un poliziotto le rispondeva: "Non ti servono a niente, perché adesso, con il nuovo governo, vi rimandiamo tutti in Romania"???????????????????????

Prendere le impronte ai minorenni rom può essere una pericolosa "discriminazione". Lo dice pure il Garante per la privacy Francesco Pizzetti : "pur nell'ambito dell'attività di identificazione e di censimento delle comunità di nomadi", potrebbe coinvolgere "delicati problemi di discriminazione che possono toccare anche la dignità delle persone e specialmente dei minori".

Ugo Pastore, procuratore dei minori di Ancona, sottolinea come, prendere le impronte digitali solo ai Rom violi l’art.3 della nostra Costituzione, in quanto discriminatorio.

L'ex ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero non esita a paragonare la pratica di prendere le impronte ai bambini rom alla stregua delle discriminazioni che mise in atto il nazifascismo, sessant'anni fa. «La schedatura su base etnica di bambini, cittadini italiani o esteri che siano, rom o meno che siano, è infatti una proposta barbara, inaccettabile, indegna di un Paese civile. Mi metterò in fila anch'io, per farmi schedare dal ministro Maroni, e spero che così come me faranno tanti altri cittadini e genitori».

L'UNICEF Italia si auspica che il Governo italiano affronti le tematiche relative alla sicurezza senza trascurare i diritti dei bambini, tra cui quelli di essere tutelati e non essere discriminati, come ricorda la Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia, ratificata dall'Italia con legge n° 176 del 27 maggio 1991».

Ogni tempo ha il suo fascismo. A questo si arriva in molti modi, non necessariamente col terrore dell'intimidazione poliziesca, ma anche negando e distorcendo l'informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti sottili modi la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l'ordine. (Primo Levi)
LA VIGNETTA E' DI MAURO BIANI

giovedì 19 giugno 2008

REBECCA COVACIU "LA PICCOLA ARTISTA" E' ROM E VA PUNITA

LA VIGNETTA E' DI ANGESE

Rebecca Covaciu, ha 12 anni, è bravissima a disegnare, tanto che i suoi disegni sono stati esposti a Napoli, nel corso della Giornata della Memoria 2008.
Ha vinto il Premio UNICEF 2008 , per il disegno e la pittura legato ai diritti dei Bambini.

Però è rom

"Ci trattano come animali perché non ci conoscono," ha detto Rebecca dopo aver ricevuto il Premio UNICEF. "Non sanno che cosa vuol dire vivere in mezzo ai topi e ai rifiuti, al freddo, senza cibo. Quando noi bambini chiediamo l'elemosina, dicono che i nostri genitori sono cattivi, perché non sanno che se non ci aiutiamo tutti, fra di noi, moriamo di fame. E' un brutto mondo per noi 'zingari”.


LA VIGNETTA E' DI ANGESE

E’ accaduto il 17 giugno, alle 8 a Milano, nella zona di Gianbellino. Rebecca Covaciu, 12 anni e il fratellino Ioni, di 14 anni, romeni di etnia Rom, sono stati brutalmente aggrediti da due italiani di età compresa fra i 35 e i 40. La stessa sorte è toccata ai genitori che erano accorsi per difendere i figli, oltre alle botte e agli insulti, sono stati invitati a lasciare immediatamente l'Italia.

Impauriti, sono fuggiti verso la stazione di San Cristoforo, e accorgendosi di essere ancora seguiti hanno chiesto aiuto ai passanti.

Nessuno è intervenuto.

A quel punto la signora Covaciu, cardiopatica, è stata colta da un malore. Il marito allora decide di contattato telefonicamente Roberto Malini del Gruppo EveryOne, che ha dato l’allarme facendo inviare sul posto una volante della Squadra Mobile di Milano e un’ambulanza.

La famiglia Covaciu abbandonò Arad, in Romania, per fuggire povertà e discriminazione.

Durante la primavera 2007, ha incontrato gli attivisti del Gruppo EveryOne, che si sono fatti carico delle sue esigenze fondamentali.

Il 24 Aprile 2008 sono stati costretti a uscire dalle loro baracche, e messi in fila, assieme a tanti altri uomini, donne e bambini.

Mentre le fiamme distruggevano le baracche e quei pochi miserabili beni, i bambini piangevano, e una mamma supplicava gli uomini in divisa: "Per piacere, lasciatemi prendere le copertine per i miei bambini". Un poliziotto le rispondeva: "Non ti servono a niente, perché adesso, con il nuovo governo, vi rimandiamo tutti in Romania".

"Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri" (don Lorenzo Milani)

"Quando disegno, penso ai colori di un mondo migliore, dove anche noi possiamo essere felici. Da grande voglio aiutare i poveri e se diventerò un'artista famosa, voglio dipingere il mondo degli 'zingari', così tutti vedranno la verità. Vorrei parlare ai grandi, ai potenti, a quelli che potrebbero aiutare il mio popolo. Vorrei chiedergli di aiutarci, perché la nostra vita è troppo triste".

Qui potete vedere i disegni di Rebecca, ascoltare l'appello che lancia all'Europa contro la persecuzione dei rom in Italia e tante altre notizie interessanti del tipo:
Vi ricordate la storia di Ponticelli? A quanto pare, è stata una montatura.



Fonte: http://www.everyonegroup.com/it/EveryOne/MainPage/MainPage.html

martedì 10 giugno 2008

L'EGITTO HA DETTO: STOP INFIBULAZIONE

E' dalla fine degli anni '90 che la pratica delle mutilazioni dei genitali è in discussione in Egitto, e grazie alla pressioni fatte dalle associazioni non governative europee , grazie all’UNICEF , al lavoro dell'ex ministro Emma Bonino (che si è a lungo battuta per l’eliminazione di questa pratica tribale) e grazie alla moglie dello stesso presidente egiziano Mubarak, Suzanne che, sabato 8 giugno il Parlamento del Cairo ha approvato una legge che stabilisce la mutilazione dei genitali femminili

REATO.



L'infibulazione o circoncisione faraonica: consistente nella rimozione del clitoride, delle piccole labbra e di gran parte (almeno i 2/3 anteriori e la parte più interna) delle grandi labbra, con successiva sutura dei lembi rimanenti della vulva con fili di seta o di cotone, o spine di acacia, Durante il processo di guarigione viene inserita nella vagina una scheggia di legno per poter permettere il passaggio dell’urina e del sangue mestruale.Per aiutare la guarigione vengono arse sotto la ragazza delle erbe aromatiche tradizionali o della linfa essiccata, che sono spesso causa di infezioni violente.In seguito all’operazione, le gambe della ragazza vengono legate e lei viene immobilizzata per diverse settimane finchè la ferita della vulva non guarisce.Gli strumenti per compiere l’infibulazione sono spesso coltelli, lame di rasoi, forbici e pezzi di vetro. L’anestesia non viene quasi mai praticata.E’ la forma più aggressiva e mutilante. Il termine infibulazione deriva dall’usanza, praticata nell’antica Roma, di chiudere con una fibula (fermaglio) le grandi labbra, nel tentativo di evitare che le donne potessero avere rapporti sessuali illeciti. Era ed è considerata una sorta di cintura di castità, una garanzia di verginità, un requisito spesso indispensabile per il matrimonio.Le conseguenze per la donna sono tragiche, i parti e i rapporti diventano dolorosi e abbastanza difficoltosi, spesso insorgono cistiti, ritenzione urinaria e infezioni vaginali. Dopo ogni parto viene effettuata una nuova infibulazione per ripristinare la situazione prematrimoniale.

Benché sia diffusa l'idea che la mutilazione sia prevista dai testi sacri come "purificazione" per le donne, di questa pratica non si trova traccia né nel Corano né nella Bibbia.

La verità è che la donna viene considerata un essere inferiore, con una sessualità da reprimere e da condannare,



Tra le novità introdotte dal nuovo testo di legge, l’innalzamento da 16 a 18 anni dell’età minima per contrarre matrimonio, tanto per gli uomini quanto per le donne, e la possibilità per le madri nubili di registrare i figli all’anagrafe.

La nuova legge tuttavia non può essere considerata una vittoria totale, poichè stabilendo che l'escissione può essere praticata in caso di necessità medica, da la possibilità di continuare la vecchia pratica.

Gli ultimi dati (ONU) stimano oggi la diffusione di questa pratica al 77 per cento fra le ragazze fino ai 17-18 anni e intorno al 60 per cento nelle bambine sotto i 3-4 anni.

venerdì 30 maggio 2008

SIAMO RAZZISTI, MA...NON SI PUO' DIRE


Lacune legislative, espressioni discriminatorie, attacchi xenofobi, norme sulla "sicurezza" che potranno avere un impatto negativo sulla vita di migranti e richiedenti asilo: è l'Italia del 2008 secondo Amnesty.
Rapporto Annuale 2008: diritti umani in Italia

Diversi esponenti politici locali e nazionali hanno usato un linguaggio discriminatorio nei confronti dei rom e dei migranti, e per metterci al riparo dal pericolo del diverso, dagli stranieri irregolari, ecco varato il Pacchetto Sicurezza.
Se ci avete fatto caso, le responsabilità del singolo si ripercuotono indifferentemente su tutti i migranti.
Basta leggere alcune dichiarazioni e ci accorgiamo di quanto razzismo c'è in giro.

Il segretario del Partito Democratico e allora sindaco di Roma Walter Veltroni:
"prima dell'ingresso della Romania nell'Unione europea, Roma era la metropoli più sicura del mondo", e ancora: "Se si sta in Europa bisogna starci a certe regole: la prima non può essere quella di aprire i boccaporti e mandare migliaia di persone da un Paese europeo all'altro".
Il prefetto di Roma Carlo Mosca:
"Firmerò subito i primi decreti di espulsione. La linea dura è necessaria perché di fronte a delle bestie non si può che rispondere con la massima severità".
Un consigliere comunale del Comune di Treviso, lo scorso anno invocava "metodi da SS per gli immigrati che recano disturbo".
Un deputato della Lega Nord : "Storicamente contro le invasioni ogni Stato ha sempre utilizzato il proprio esercito per difendersi. Oggi la storia si ripete: siamo sotto un diverso tipo di invasione, attuata con metodi diversi, ma per gli stessi motivi, ovvero soggiogarci a leggi altrui o depredare i nostri beni".
Nel corso del 2007 e sino al maggio 2008 si sono verificati attacchi violenti ad accampamenti rom in diverse città, tra cui Appignano - Ascoli Piceno (aprile 2007), Roma (settembre 2007), Torino (ottobre 2007) e Ponticelli - Napoli (maggio 2008), dove a contribuire c'è stata pure la mano della camorra. Sono state anche segnalate dagli organi di informazione diverse aggressioni ai danni di immigrati romeni e di altre nazionalità, tra cui i recentissimi episodi che hanno colpito a Roma, nel quartiere Pigneto, cittadini del Bangladesh.
I rom e gli immigrati sono individui di cui avere paura, dai quali difendersi, anche a costo di calpestare i più elementari diritti della persona umana
Questo è il risultato dell'insegnamento che diamo ai più piccoli, con le nostre parole e i nostri gesti pieni di odio rivolti a chi è diverso da noi :

Temi e disegni con tesi anti-rom sono stati elaborati da alunni della scuola media dell’Istituto don Bosco di Napoli.

I testi riportati da alcuni quotidiani recitano “Hanno esagerato e abbiamo dovuto bruciare i loro accampamenti”, “La gente fa bene a brucare i campi rom perché abbiamo già troppi problemi e ci bastano”, “Non siamo razzisti, è che loro si sono presi troppo la mano e quindi noi abbiamo dovuto incendiare i loro campi”.
Per favore, usciamo da questo incubo, non crediamo alla stampa che manipola i fatti, inventando un mondo inesistente, né tantomeno ai politici ( che attualmento sono al governo) i quali proprio su questi temi, hanno fatto la loro fortuna.

C'è gente onesta e disonesta ovunque, non facciamo di tutta l'erba un fascio.

«Ormai in Italia sembra che alla radice di tutti i problemi ci siano soltanto i Rom; è più che legittimo volere punire chi delinque, ma diventa penoso lo spettacolo di chi apre la caccia ai ladri stranieri e mantiene a governare i ladri di casa nostra. Evidentemente anche questo rientra nel programma di voler salvaguardare i prodotti nazionali!» (Dario Natura)
La Vignetta è di MAURO BIANI