Ascoltate Josè Saramago intervistato da Serena Dandini

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domenica 18 aprile 2010

Finalmente in libreria il libro che nessun editore voleva pubblicare



Da aprile in libreria l'ultimo lavoro di Antonio Mazzeo:
I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina
(Edizioni Alegre, Roma, 14 euro).

Il libro, sulla base di una documentazione che privilegia le fonti giudiziarie, fornisce una sistematizzazione di innumerevoli denunce e indagini sugli interessi criminali che ruotano attorno alla costruzione del Ponte sullo Stretto.
La prefazione è stata curata da Umberto Santino del Centro Siciliano di Documentazione Antimafia "Giuseppe Impastato".



Nel libro il lettore incontra speculatori locali o d'oltreoceano; faccendieri di tutte le latitudini; piccoli, medi e grandi trafficanti; sovrani o aspiranti tali; amanti incalliti del gioco d'azzardo; accumulatori e dilapidatori di insperate fortune; frammassoni e cavalieri d'ogni ordine e grado; conservatori, liberali e finanche ex comunisti; banchieri, ingegneri ed editori; traghettatori di anime e costruttori di nefandezze.
I portavoce del progresso, i signori dell'acciaio e del cemento, mantengono intatta la loro furia devastatrice di territori e ambiente. Manifestazioni di protesta, indagini e processi non sono serviti a vanificarne sogni e aspirazioni di grandezza. I padrini del Ponte, i mille affari di cosche e 'ndrine, animeranno ancora gli incubi di coloro che credono sia possibile comunicare senza cementificare, vivere senza distruggere, condividere senza dividere.

Agli artefici più o meno occulti del pluridecennale piano di trasformazione territoriale, urbana, ambientale e paesaggistica dello Stretto di Messina, abbiamo dedicato questo volume che, ne siamo consapevoli, esce con eccessivo ritardo. Ricostruire le trame e gli interessi, le alleanze e le complicità dei più chiacchierati fautori della megaopera, ci è sembrato tuttavia doveroso anche perché l'oblio genera mostri e di ecomostri nello Stretto ce ne sono già abbastanza.

E perché non è possibile dimenticare che in vista dei flussi finanziari promessi ad una delle aree più fragili del pianeta, si sono potuti riorganizzare segmenti strategici della borghesia mafiosa in Calabria, Sicilia e nord America. Forse perché speriamo ancora, ingenuamente, che alla fine qualcuno avvii una vera inchiesta sull'intero iter del Ponte, ricostruendo innanzitutto le trame criminali che l'opera ha alimentato. Chiarendo, inoltre, l'entità degli sprechi perpetrati dalla società Stretto di Messina. Esaminando, infine, i gravi conflitti d'interesse nelle gare d'appalto ed i condizionamenti ideologici, leciti ed illeciti, esercitati dalle due-tre famiglie che governano le opere pubbliche in Italia.

Forse il recuperare alla memoria vicende complesse, più o meno lontane, potrà contribuire a fornire ulteriori spunti di riflessione a chi è chiamato a difendere il territorio dai saccheggi ricorrenti. Forse permetterà di comprendere meglio l'identità e la forza degli avversari e scoprire, magari, che dietro certi sponsor di dissennate cattedrali nel deserto troppo spesso si nascondono mercanti d'armi e condottieri delle guerre che insanguinano il mondo. È il volto moderno del capitale. Ribellarsi non è solo giusto. È una chance di sopravvivenza.


(Dalla prefazione)

I padrini del Ponte, copertina del libro

Chi è Antonio Mazzeo ?

Un militante ecopacifista ed antimilitarista, ha pubblicato alcuni saggi sui temi della pace e della militarizzazione del territorio, sulla presenza mafiosa in Sicilia e sulle lotte internazionali a difesa dell’ambiente e dei diritti umani.
Ha inoltre scritto numerose inchieste sull’interesse suscitato dal Ponte in Cosa Nostra, ricostruendo pure i gravi conflitti d’interesse che hanno caratterizzato l’intero iter progettuale.
Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006, Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa).

Per saperne di più su visita il sito : www.peacelink.it


I primi due capitoli del libro sono dedicati alle vicende giudiziarie di Giuseppe Zappia (l’anziano ingegnere italo-canadese condannato al primo processo per la Mafia del Ponte ) e all’interesse delle organizzazioni criminali nordamericane alla realizzazione del Ponte.

sabato 20 giugno 2009

Doniamo libri agli amici aquilani

L'ARCI di L'Aquila, grazie alla gentile concessione dell'ASM trasporti urbani che ha messo a disposizione un autobus grande ed una navetta, ha dato vita ad una piccola biblioteca stanziale in una tendopoli, ed una viaggiante per i vari campi. Si distribuiscono i libri donati da tutti noi.



Con soli Euro 9,10 si possono spedire ben Kg 30 di libri.

N.B. Non dimenticate di apporre una dedica sui libri che donerete e di accludere una nota dove si dice che l'indicazione è arrivata da Miss Kappa (Anna Colasacco)

I libri devono essere indirizzati al seguente indirizzo:

CIRCOLO ARCI
campo Centi Colella
Fermo deposito SDA
67100 L'Aquila

Mi raccomando coinvolgete più persone!

dal blog di Miss Kappa

sabato 9 maggio 2009

Peppino Impastato, una vita contro la mafia

Peppino Impastato era una delle persone più attive della regione Sicilia per la lotta contro la mafia, pur avendo alle spalle una famiglia collusa con la stessa. Peppino fu fondatore di una delle prime radio libere ed indipendenti d'Italia, RADIO AUT, tramite la quale denunciava i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini. Alla mafia, Peppino si ribellò con le armi che i boss odiano di più: l'ironia e lo sfottò






Oggi a Cinisi per la Commemorazione di Peppino Impastato, sarà presentato il libro di Giovanni Impastato con il giornalista Franco Vassia, edito da Stampa Alternativa
“Resistere a Mafiopoli. La storia di mio fratello Peppino Impastato”
.


Il libro si può acquistare anche on line quì

Vi riporto l' ultima parte dell'introduzione al libro, di Umberto Santino

Oggi, a Cinisi e dintorni Giovanni parla di Cinisi degli ultimi anni e parla di mafia. Non sono più i tempi d’oro del traffico di droga diretto da Badalamenti ma non è affatto vero che a Cinisi e dintorni la mafia non ci sia più e si sia imboccata la strada della legalità. [A proposito: legalità è un termine ampiamente abusato, non solo nelle attività all’interno delle scuole, e che rischia di essere un alibi e un bluff se ci si ferma al solo aspetto formale: anche le leggi razziste di Hitler e Mussolini erano legalità e lo sono anche le leggi ad personam di Berlusconi. Se proprio non si vuole cambiar termine bisognerebbe almeno aggiungervi «democratica», a sottolineare la prevalenza dei contenuti sulle forme, la rispondenza delle leggi ai principi fondamentali della Costituzione, a cominciare dall’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge]. Dopo gli arresti dei Lo Piccolo e le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia il quadro risulta chiaro: la mafia da quelle parti c’è sempre e la rete di collusioni e di complicità è abbastanza fitta ed estesa. E ci sono nomi nuovi ma pure vecchi, come i Lipari di cui parlava Peppino. Il guaio è che con la morte di Peppino e le riflessioni di alcuni compagni subito dopo, l’attività che una volta si diceva di «controinformazione» si è data alla latitanza. Lì, come altrove. Fa bene Giovanni a riprendere un discorso in larga parte interrotto, ma il quadro in questi trent’anni è profondamente mutato. Se Cosa nostra, l’ala propriamente criminale della mafia, dopo il delitto Dalla Chiesa e dopo le stragi del ’92 e ’93, ha ricevuto dei colpi abbastanza duri, il modello mafioso che lega crimine, accumulazione e potere, il sistema di rapporti, su cui di fonda un blocco sociale egemonizzato dai soggetti illegali e legali che formano la borghesia mafiosa, gode di ampio consenso. Il voto per personaggi come Cuffaro e dell’Utri, nonostante le condanne che hanno avuto anche se solo in primo grado, lo dimostra e getta un ponte dalla Sicilia alla Lombardia. La responsabilità politica di cui parlava una relazione della Commissione antimafia del 1993, a ridosso delle stragi, è rimasta sulla carta e le forze politiche si sono ben guardate dal darsi dei codici di autoregolamentazione. Da anni la Democrazia cristiana, che Peppino e noi con lui indicavamo come il partito più compromesso con la mafia, ha ceduto il passo a Berlusconi che ha introdotto un sistema di potere fondato sulla legalizzazione dell’illegalità e sulla garanzia dell’impunità. Il programma della P2 si è realizzato, anzi è stato scavalcato. E nonostante l’evidente appropriazione del potere a fini di interesse personale il consenso non è mancato, e continua a crescere. Evidentemente la maggioranza degli elettori si specchia in quel modello e considera le regole un intralcio e la Costituzione un ferrovecchio. Le destre italiane mancano della più elementare cultura liberal-democratica, la Lega è una centrale di barbarie razzista e a sinistra c’è aria di smobilitazione e di svendita. Le grandi narrazioni hanno lasciato solo macerie. Il movimento noglobal raccoglie un dissenso diffuso ma non riesce a spostare di un millimetro le politiche dominanti che hanno diviso il pianeta in due: un supermercato di iperconsumo per pochi, una fabbrica di emarginazione per tutto il resto. In questo contesto proliferano le mafie e guerre e terrorismi si fronteggiano come facce di un’unica medaglia coniata dal fanatismo identitario e dalla violenza. La crisi finanziaria ha svelato tutti i vizi del mercato e fatto riscoprire lo Stato. Cioè: i profitti sono privati e le perdite si socializzano. Oggi un personaggio come Peppino si troverebbe ancora più spaesato di quanto lo era al suo tempo, in cui c’erano ancora scampoli di certezze e si progettavano strategie di mutamento. Quel che ci rimane è la sua volontà di farcela anche quando le difficoltà rischiano di sommergerci. E l’interesse che suscita la sua storia, che è la storia di Giovanni, di sua madre, dei suoi compagni, la nostra storia, sta a dimostrare che la lucidità dell’analisi può andare a braccetto con la pratica quotidiana in una prospettiva di resistenza. ( Quì tutta l'introduzione)




Vi prego di ascoltare attentamente l'intervento di Giovanni Impastato, al dibattito pubblico "Mafia e potere a Milano. A 100 passi dal Duomo" tenutosi a Milano, nella sala Alessi di Palazzo Marino, il 16 settembre 2008





PARTE [2]




PARTE [3] In questo video potete ascoltare la voce originale di Peppino Impastato




Due giovani autori siciliani, Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso, hanno disegnato, nel vero senso della parola, il "giullare contro la mafia" Peppino Impastato, pubblicando questo nuovo testo per la Beccogiallo editore. Centoventi pagine in bianco e nero, con la prefazione di Lirio Abbate, per raccontare ai giovani, i fatti e gli orrori di quegli anni che portarono il 9 maggio del 1978 all´assassinio di Impastato. ( http://www.beccogiallo.it/)

La Vignetta è di VESDAN

sabato 25 aprile 2009

25 APRILE 2009, SESSANTAQUATTRESIMO ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE DELL'ITALIA DAL NAZIFASCISMO

È veramente doloroso celebrare il 25 aprile con i muri imbrattati di manifesti neofascisti



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Mamma adorata,


quando riceverai la presente sarai già straziata dal dolore. Mamma, muoio fucilat
o per la mia idea: Non vergognarti di tuo figlio, ma sii fiera di lui. Non piangere Mamma, il mio sangue non si verserà invano e l'Italia sarà di nuovo grande. Da Dita Marasli di Atene potrai avere i particolari sui miei ultimi giorni. Addio Mamma, addio Papà, addio Marisa e tutti i miei cari; muoio per l'Italia. Ricordatevi della donna di cui sopra che tanto ho amato.
Ci rivedremo nella gloria c
eleste.
Viva l'ITALIA LIBERA!

Achille



Achille
Barilatti Di anni 22, studente in scienze economiche e commerciali, nato a Macerata il 16 settembre 1921. Tenente di complemento di Artiglieria, dopo l'8 settembre 1943 raggiunge Vestignano sulle alture maceratesi, dove nei successivi mesi si vanno organizzando formazioni partigiane, dal gruppo " Patrioti Nicolò" è designato comandante del distaccamento di Montalto . Catturato all'alba del 22 marzo 1944, nel corso di un rastrellamento effettuato da tedeschi e fascisti della zona di Montalto, mentre 26 dei suoi sono fucilati immediatamente sul posto e 5 vengono salvati grazie al suo intervento, egli viene trasportato a Muccia (Macerata) ed interrogato da un ufficiale tedesco ed uno fascista. Fucilato senza processo alle ore 18,25 del 23 marzo 1944, contro la cinta del cimitero di Muccia.
Tratta da: Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana - 8 settembre / 25 aprile 1945 - EINAUDI




112 condannati a morte che conclusero la loro parte di lotta nei seicento giorni della Resistenza italiana comunicano ai loro famigliari o ai loro compagni una estrema notizia di sè, un addio, un mandato. Queste lettere non possono non essere lette, non possono non essere comprese nel loro infinito valore, e comprese, non possono non chiarire i nostri giudizi e migliorare i nostri animi.
Per non dimenticare!


domenica 29 marzo 2009

Le magliette di moda nell’esercito israeliano: “meglio ammazzarli da piccoli”

La denuncia scioccante viene dal quotidiano israeliano Haaretz.

Ai soldati israeliani piace andare in giro con magliette che superano i classici simbolismi del militarismo per addentrarsi nella guerra del futuro, quella asimmetrica nella quale il protagonista è il cecchino onnipotente con la testa vuota che ammazza civili, meglio se donne e bambini.

E questo si riflette nella moda, nell’abbigliamento dei soldati di Tsahal.

Sembra vadano a ruba le magliette con disegni di bambini presi nel mirino, oppure madri piangenti sulle tombe dei figli oppure t-shirt come quella nella foto che mostra una donna palestinese incinta e lo slogan: “con un tiro due piccioni”.



Tutte le scritte sono per “uomini veri”, notevole per un esercito che fa dell’integrazione delle ragazze motivo d’immagine.

I riferimenti sessuali, perfino allo stupro, sono continui come sono continui quelli alla maternità “piangeranno, piangeranno”.

A una maglietta che mostra un bimbo ammazzato si accompagna un “era meglio se usavano il preservativo”.

A quella con un bambino palestinese nel mirino si accompagna un “non importa quando si comincia, dobbiamo farla finita con loro” che suona in italiano come “meglio ammazzarli da piccoli”.

Leggi tutto il reportage di Haaretz qui e conserva questo link per la prossima volta che ti diranno che i palestinesi educano i figli alla cultura dell’odio.

Fonte: gennarocarotenuto.it


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Cari Hermanos,
il nostro adagio "RESTIAMO UMANI" ,
diventa un libro.

E all'interno del libro il racconto di tre settimane di massacro,
scritto al meglio delle mie possibilità,
in situazioni di assoluta precarietà,
spesso trascrivendo l'inferno circostante su un taccuino sgualcito
piegato sopra un'ambulanza in corsa a sirene spiegate,
o battendo ebefrenico i tasti su di un computer di fortuna
all'interno di palazzi scossi come pendoli impazziti da esplosioni tutt'attorno.
Vi avverto che solo sfogliare questo libro potrebbe risultare pericoloso,
sono infatti pagine nocive, imbrattate di sangue,
impregnate di fosforo bianco,
taglienti di schegge d'esplosivo.
Se letto nella quiete delle vostre camere da letto rimbomberanno i muri
delle nostre urla di terrore,
e mi preoccupo per le pareti dei vostri cuori
che conosco come non ancora insonorizzate dal dolore.

Mettete quel volume al sicuro,
vicino alla portata dei bambini,
di modo che possano sapere sin da subito di un mondo a loro poco distante, dove l'indifferenza e il razzismo fanno a pezzi loro coetanei come fossero bambole di pezza.
In modo tale che possano vaccinarsi già in età precoce
contro questa epidemia di violenza verso il diverso e ignavia dinnanzi all'ingiustizia.
Per un domani poter restare umani.

I proventi dell'autore,
vale dire Vittorio Arrigoni,
me medesimo,
andranno INTERAMENTE alla causa dei bambini di Gaza sopravvissuti all'orrenda strage,
affinché le loro ferite possano rimarginarsi presto (devolverò i miei utili e parte di quelli de Il Manifesto al Palestinian Center for Democracy and Conflict Resolution, sito web:
http://www.pcdcr.org/eng/ , per finanziare una
serie di progetti ludico-socio-assistenziali rivolti ai bimbi rimasti gravemente feriti o traumatizzati ).


Nonostante offerte allettanti come una tournee in giro per l'Italia con Noam Chomsky, ho deciso di rimanere all'inferno,
qui a Gaza.
Non esclusivamente perché comunque mi è molto difficile evacuare da questa prigione a cielo aperto (un portavoce del governo israeliano ha affermato :"e' arrivato via mare, dovrà uscire dalla Striscia via mare"), ma soprattutto perché qui ancora c'è da fare, e molto, in difesa dei diritti umani violati su queste lande spesso dimenticate.

Non avremo certo gli stessi spazi promozionali di un libro su Cogne di Bruno Vespa o una collezione di lodi al padrone di Emilio Fede,
da qui nasce la mia scommessa,
sperando si riveli vincente.

Promuovere il mio libro da qui, con il supporto di tutti coloro che mi hanno
dimostrato amicizia, fratellanza, vicinanza, empatia.
Vi chiedo di comprare alcuni volumi e cercare di rivenderli se non porta a porta quasi, ad amici e conoscenti, colleghi di lavoro, compagni di università, compagni di
volontariato, di vita, di sbronza.
E più in là ancora, proporlo a biblioteche,
agguerrite librerie interessate ad un progetto di verità e solidarietà.
Andarlo a presentare ai centri sociali e alle associazioni culturali vicino a dove state.

Si potrebbero organizzare dei readings nelle varie città, (io potrei intervenire telefonicamente, gli eventi sarebbero pubblicizzati su Il Manifesto, sui nostri blog e aggiro per internet)
e questo potrebbe essere anche una interessante occasione per contarsi, conoscersi,
legarsi.
Non siamo pochi, siamo tanti,
e possiamo davvero contare,
credetemi.

Il libro lo trovate fin d'oggi nelle edicole con Il Manifesto,
e fra due settimane nelle librerie.

Confido in voi,
che confidate in me,
non per i morti
ma per i feriti a morte di questa orrenda strage.

Un abbraccio grande come il Mediterraneo che separandoci, ci unisce.

Restiamo umani.

vostro mai domo

Vik

( dal blog di Vittorio Arrigoni )


Per ordinare online i libri: QUI


sabato 8 novembre 2008

AFRICA: LE TERRIBILI TESTIMONIANZE DEI BAMBINI SOLDATO...E L'OCCIDENTE GUARDA

Minacce, aggressioni, torture. Gli ex bambini soldato si raccontano. Testimonanze schock di una guerra contro tutti, combattuta spesso sotto l’effetto di alcol e droghe pesanti

Storie di bambini e bambine che fino a qualche tempo fa giocavano con fucili mitragliatori.
Di bambini che hanno odiato, ucciso, torturato, devastato, se stessi e gli altri.


Racconti frutto di un lungo lavoro di recupero che Paola Giroldini di Coopi ha raccolto in un toccante capitolo della pubblicazione ‘Disegni di Guerra’, edita da Emi.


Ne proponiamo alcuni testi.



Il gioco della guerra

“Attento, attento che arriva Capitan 2 Mani”, era l'avvertimento che davamo quando catturavamo qualcuno per amputarlo. Di solito riunivamo i nostri nemici in piccoli gruppetti e iniziavamo a intimorirli raccontando quello che sarebbe accaduto. La gente gridava, ci supplicavano di lasciarli in pace, ma il gioco era farli impazzire di paura. Poi arrivava Capitan 2 Mani avevamo fatto una maglietta apposta con le sue iniziali. Si presentava con un machete e la condanna era evidente. Un colpo secco e via. Abbiamo tagliato mani, gambe, piedi, nasi, orecchie, dita. C'era uno del gruppo che si aggirava con un sacco per il riso e raccoglieva gli arti tagliati. Avevano paura di noi. Molti sono morti dissanguati, a volte danzavamo intorno alle nostre vittime schernendole. Eravamo sempre sotto l'effetto della droga, eravamo imbattibili. Mi ricordo un attacco a un villaggio vicino a Kalabatown. Il giorno prima avevamo assalito un convoglio dell'ECOMOG e ci eravamo impossessati delle loro divise. Il piano sembrava molto divertente, il nostro capitano ci aveva ordinato di indossare le divise e fingere di essere soldati dell'ECOMOG che entravano per liberare il villaggio dai cattivi ribelli del Ruf. Alcuni fingevano anche di essere abitanti di altri villaggi liberati. Siamo arrivati nel villaggio, cantando, esultando, festeggiando la liberazione dai ribelli del Ruf. Invitavamo la gente a uscire dalle case e a unirsi ai festeggiamenti. Eravamo così bravi che ci hanno creduto. Quando gran parte del villaggio si era avvicinato abbiamo iniziato a sparare con una ferocia mai vista. Il nostro capitano gridava: “Eccoli qua i vostri cattivi ribelli, ora vi faremo vedere cosa vuol dire essere nemici del Ruf”. Quel giorno fu una strage. Li uccidevamo come fossero mosche, il mio capitano rideva. In quei momenti c'è la più totale confusione, pensi solo ad ammazzare e salvare la tua pelle. Il resto è un gioco. Più ammazzi, più sei degno di rispetto e sali di grado, questa è l'unica legge del bush. Una volta mi arrampicai su un mango e uccisi almeno 10 dell'Ecomog senza che capissero dove fossi. Da allora mi trattavano diversamente, facevo parte dei fidati. Uccidevo per essere accettato e per paura di essere la prossima vittima. Ho vissuto due anni nel bush, ormai il Ruf era diventato la mia famiglia. Per me era normale quello che facevo, ero in guerra, stavo difendendo i miei amici e il mio paese. Ero un ribelle ed ero fiero di esserlo, la gente ci rispettava, avevano paura di noi. Eravamo armati, eravamo imbattibili. Ora, dopo che ho consegnato le armi e che sembra che la guerra sia finita, mi chiamano ancora ribelle. Mi guardano con disprezzo e odio, per tutto quello che ho fatto. Io non li sopporto, divento pericoloso e non riesco più a controllarmi. Ho smesso di prendere droghe, sto cercando di ricostruirmi un futuro, ma non è facile. I miei familiari non mi vogliono, dicono che sono un ragazzo difficile, che il bush mi ha trasformato. Forse perché non riesco a controllarmi, forse si vergognano di me. Spesso ho paura di incontrare gente a cui ho ammazzato qualcuno, non mi sento mai tranquillo, è come se la guerra non fosse mai finita. Non voglio rimanere per sempre un ex ribelle. Non è facile convivere con questo passato, ancora meno facile è accettare che gli altri ogni giorno me lo sbattano in faccia. Vivo da alcuni mesi nel centro di St. Michael, dove ho trovato gente che cerca di aiutarmi. Sto imparando un lavoro come falegname, spero di riuscire a mantenermi.
Augustine, 16 anni


Nel bush ho perso la verginità

Era una mattina di fine gennaio. Mia madre mi aveva svegliata per andare a prendere l'acqua al fiume. Come al solito facevo finta di dormire, sperando che si stancasse di chiamarmi e mandasse qualcuna delle mie sorelle. Ma quella mattina toccava a me. “Fatmata, Fatmata, Fatmata”, sentivo la voce di mia madre alterarsi. Decisi, per evitare discussioni, di alzarmi. Presi un grosso secchio e mi recai al fiume. Faceva caldo, soffiava l'harmattan, era come se una leggera sabbia avesse ricoperto tutto. Camminavo per il sentiero, attraversando il mio piccolo villaggio, salutando come ogni mattina amiche, amici e parenti. Qui, da noi, le famiglie sono molto numerose. "Fatmata, Fatmata, dormito bene?". Sentii una voce alle spalle, era la mia migliore amica, Sowe, in un'impeccabile divisa bianca e blu, stava andando a scuola. La invidiavo, avrei voluto andare a scuola, ma in famiglia siamo in otto e i miei non guadagnano a sufficienza per mandarci tutti a scuola. Io sono la figlia maggiore, ho 14 anni, mi sono sempre occupata dei miei fratelli e ho sempre aiutato mia madre in casa e nell'orto, da sola sarebbe stato difficile per lei. Così Sowe, quando ritornava da scuola, mi veniva a trovare e mi raccontava quello che aveva fatto, a volte ripassavamo insieme la lezione. Quel giorno era particolarmente contenta, i suoi genitori le avevano appena regalato un libro di geografia, non avevo mai visto un libro così nuovo, era pieno di strane cartine, mi affascinava. Per andare a scuola dovevamo percorrere una grossa strada di terra rossa, c'era tanta gente che camminava. Ogni volta che passava qualche macchina o un grosso camion la gente si spostava ai lati della strada perché si alzava un grosso polverone e per un po' non si poteva vedere niente. Volevo prendere una strada alternativa, un sentiero per i villaggi, ma Sowe aveva fretta di andare a scuola. Non vedevo niente. Sentii delle grida e dei corpi venirmi incontro, era gente che scappava. Presi la mano di Sowe e iniziammo a correre, non capivo cosa stesse succedendo, non sapevo da cosa stessi scappando, ma scappavo. Ricordo la polvere, le auto che suonavano, la gente che gridava poi... gli spari, tanti. Stavamo correndo in direzione del nostro villaggio, volevo tornare a casa. Sowe piangeva, aveva perso i suoi bei libri, non potevamo tornare indietro. Lasciai la strada principale e presi un sentiero che portava al mio villaggio. Continuavo a sentire gli spari, ma almeno potevo vedere. Non sentivo più le mie gambe, correvo, correvo, senza lasciare un istante la mano di Sowe. In lontananza, in direzione del mio villaggio, vedevo alzarsi del fumo. Non capivo più niente, alle spalle gli spari e davanti il fuoco. Arrivai al villaggio e la mia casa stava bruciando, soldati bambini si divertivano a versare taniche di kerosene e a dargli fuoco, sparavano, rubavano, inseguivano la gente con il machete. Avrei voluto essere invisibile, non sapevo dove nascondermi. Sowe gridava. Non mi ricordo se sono svenuta o mi hanno colpita, so solo che, quando mi sono risvegliata, del mio villaggio era rimasto poco. Dovunque tanto fumo, fuoco, corpi senza arti, sangue... pozze di sangue. I ribelli ci hanno circondate. Erano tutti armati, non ci mettevano molto a sparare, sembrava che si divertissero. Si sentivano invincibili. Continuavano a gridare "Vi ammazzeremo tutti! Il Ruf sta combattendo per la sua gente, per il suo Paese, vi siete venduti agli stranieri, maledetti traditori". Io non capivo cosa volessero. Ci hanno catturate. Sowe non era più con me e non riuscivo a vederla.. Mi hanno costretta ad andare con loro. Abbiamo marciato per giorni, senza mangiare. Non so quante miglia abbiamo camminato, so solo che i miei piedi non ce la facevano più. Finalmente arrivammo in un villaggio in foresta. Qui, conobbi il comandante Rose, era una donna non oltre la ventina. Subito ordinò di separare i maschi dalle femmine, e scelse un gruppo di ragazze tra i 10 e 15 anni, tra cui c'ero anch'io. Ci mise in fila e ci ordinò di stare ferme mentre si piegava per infilare le sue dita dentro la nostra vagina per verificare se eravamo ancora vergini. Io cercavo di non piangere e di non muovermi, avevo tanta paura. Le mie compagne più piccole piangevano, i ribelli le schiaffeggiavano per farle smettere. Quando il comandante Rose finì di toccare ognuna di noi, separò le vergini da quelle non vergini. Nessuno mi aveva toccato prima di allora. Sapevo come si faceva, avevo visto mia madre e mio padre, le mie amiche mi avevano raccontato le loro prime esperienze. Ma non l'avevo mai fatto. Mi ricordo che il comandante Rose mi prese per un braccio e disse: "Questa è una dolce papaia. Proprio quello che il mio comandante cercava". Così ho perso la verginità. Avevo solo paura di morire.
Fatmata Bumbuya, 14 anni


Ripartire da Lakka non è facile

È difficile tornare. E poi dipende dove torni. Mio padre si è sposato tre volte, non so quanti fratelli ho, non tengo più il conto. Prima che mi prendessero i ribelli vivevo in un villaggio con mia nonna. La vita lì non era male, mio padre ci dava un po' di soldi, avevamo un orto e del pollame. Per noi era sufficiente. La mia casa è stata bruciata e mia nonna ora vive da una sua sorella in un quartiere di Freetown, dominato da baracche fatte di lamiera ricoperte di plastica e legno. Non so come potremo vivere, io mi devo occupare di lei. È difficile ricominciare da una casa di latta, non c'è spazio per respirare. La gente sopravvive di espedienti. Non voglio rispondere a nessuna domanda, non voglio che mi guardino con paura. So cosa pensa la gente di noi ex combattenti. Ci temono, pensano che siamo tutti drogati, ragazzi capaci di uccidere. Io non ho scelto questa vita, mi hanno costretto, mi hanno cambiato nome, identità, nel bush ogni giorno ho vissuto con la paura della morte in agguato. Sono stato fortunato: non mi hanno tagliato niente, altrimenti la mia povera nonna si sarebbe dovuta prendere cura di me! Nessuno si deve permettere di chiamarmi ribelle. Ho imparato a uccidere, è vero, ma mi drogavo per farlo. Ho rubato, bruciato case. Non voglio ricordare. Spero che mi lascino in pace. Voglio solo ricominciare.
Mohamed, 15 anni

Testimonianze tratte da:
Disegni di guerra
AA.VV. Emi - Editrice missionaria italiana

Dal Blog di Franca Rame

domenica 26 ottobre 2008

Il mostro unico


Cari studenti facinorosi, sono la vostra amata ministra Gelmini.
Dopo il cinque in condotta e il maestro unic
o, ho una nuova idea che potrà risollevare la scuola italiana.
Da dove inizia l’istruzione? Da
ll’asilo. E proprio qui bisogna intervenire, perché i bambini diventino obbedienti e ligi al dovere. E le favole, con la loro sovrabbondante fantasia e il loro dissennato spreco di personaggi, li allontanano dal sano realismo e dal doveroso conformismo e alimentano il pericolo del fuori tema, della deboscia, della droga e del bullismo facinoroso. Perciò per decreto legge istituisco il Mostro Unico. Sarà proibito leggere favole che contengano più di un mostro o di un cattivo, con relativo aggravio per la spesa pubblica, e soprattutto si dovrà, in ogni fiaba, sottolineare la natura perversa, facinorosa e vetero-comunista di questo mostro.

Secondo il DMU (decreto mostro unic
o) sono proibiti ad esempio Biancaneve e i sette nani, perché Grimilde e la strega sono un costoso e inutile sdoppiamento di personalità nocivo all’immaginario dei giovani alunni, per non parlare dell’ambigua convivenza tra Biancaneve e i sette piccoli operai, di cui uno, Brontolo, sicuramente della Cgil.

Cappuccetto Rosso è ammesso, ma si sottolinei come il cacciatore è evidentemente della Lega e il lupo di origine transilva
na e rumena.

Proibito A
li Babà e i quaranta ladroni, ne basta uno. Abolito Peter Pan, troppi pirati che gravano sulle casse dello stato. Abolito Pinocchio, anche accorpando il gatto e la volpe in un unico animale, restano il vilipendio ai carabinieri e il chiaro riferimento a Mediaset del paese dei balocchi.

Ammesso Pollicino ma dovrà chi
amarsi Allucione ed essere alto uno e settanta, per non costituire un palese sberleffo al nostro amato presidente del consiglio.

Proibito Hansel e Gretel, perché i mostri sono due, la madre e la strega, e inol
tre si parla troppo di crisi economica.

Proibito il brutto anatroccolo. Se uno è brutto, lo è per motivi genetici e tale resterà. Inoltre Andersen era gay. Parimenti proibito il gatto con gli stivali per la connotazione sadomaso.

Proibita,
anzi proibitissima Cenerentola.
Le cattive sono tre e assomigliano tutte a me.

Cioè alla vost
ra ministra superficiale, impreparata e ciarliera.
Ma la vostra Ministra Unica.


(di Stefano Benni)


Il 4 novembre uscirà “Miss Galassia”, un libro illustrato per bambini.

Auto
ri: Stefano Benni,Gutiérrez Luci.

Editore:
Orecchio Acerbo.


Età di lettura:
da 8 anni.




venerdì 24 ottobre 2008

«Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand`ero ministro dell`Interno»


Il 12 maggio 1977, in occasione del terzo anniversario del referendum sul divorzio, i radicali indissero un concerto in Piazza Navona per la raccolta firme per gli “8 referendum contro il regime”, nonostante fosse in vigore il divieto di manifestazioni pubbliche decretato dopo la morte dell’agente Settimio Passamonti e il ferimento di altre 5 persone, raggiunti da proiettili sparati da manifestanti durante alcuni scontri di piazza il 21 aprile. All’iniziativa aderirono i simpatizzanti del movimento degli autonomi per protestare contro la diminuzione degli spazi di espressione politica ed il clima repressivo nei loro confronti. Nelle strade erano presenti centinaia di membri delle forze dell’ordine in assetto da ordine pubblico, coadiuvati da agenti in borghese. Nella giornata scoppiarono diversi incidenti, con lancio di bombe incendiarie, ed esplosione di colpi di arma da fuoco. Nei giorni successivi diverse persone, tra questi Marco Pannella, dichiararono la presenza di agenti in borghese nascosti tra i dimostranti. Nel tardo pomeriggio, tra le ore 19 e le ore 20, due ragazze e un carabiniere furono raggiunti da proiettili sparati da Ponte Garibaldi e da altre direzioni: Giorgiana Masi, 19 anni, fu colpita alla schiena da un proiettile calibro 22 e morì durante il trasporto in ospedale, Elena Ascione rimase ferita a una gamba, il carabiniere Francesco Ruggeri rimase ferito alla mano. L’inchiesta sull’uccisione di Giorgiana Masi e sul ferimento di Elena Ascione e del carabiniere Francesco Ruggeri fu chiusa il 9 maggio 1981 dal giudice istruttore Claudio D’Angelo su conforme richiesta del Pubblico Ministero con la dichiarazione di impossibilità di procedere poiché rimasti ignoti i responsabili del reato. Le indagini furono riaperte nel 1998, affidate al PM Giovanni Salvi, della sede giudiziaria di Roma. Il ministro dell’interno Francesco Cossiga fu coinvolto in aspre polemiche per l’inadeguata gestione dell’ordine pubblico (vi sono fotografie che mostrano agenti in borghese, mimetizzati tra i manifestanti, che sparano ad altezza uomo). La storia della morte di Giorgiana Masi è stata presa a simbolo di molte lotte giovanili contro le ingiustizie della polizia e della politica, ed è ancor oggi oggetto di forte polemica. Tratto da Wikipedia,

Il 2 giugno 1977, i Radicali diffondono il cosidetto Libro bianco, una scioccante raccolta di fotografie e testimonianze dirette sui fatti del 12 maggio, mai apparse sui quotidiani nazionali che pure erano in possesso di parte del materiale. I racconti di parlamentari, giornalisti e semplici cittadini, confermati da un impressionante numero di immagini, descrivono con dovizia di particolari un enorme quantità di soprusi effettuati dagli agenti di Polizia e dai Carabinieri in servizio, che si rivolgevano con violenza ingiustificata anche sui semplici passanti, picchiando, bastonando e sparando lacrimogeni ad altezza uomo. Nonostante le ripetute negazioni del Ministro degli Interni Francesco Cossiga, moltissimi documenti fotografici attestano la presenza di poliziotti in borghese (o meglio, travestiti da autonomi) in possesso di armi da fuoco che mirano, e in alcuni casi sparano, ad altezza uomo.



Marco Pannella e i suoi presentano il libro come prova schiacciante dei comportamenti illegali degli apparati statali, e delle menzogne di Cossiga. Purtroppo, nemmeno la presunta oggettività della fotografia serve a scalfire i meccanismi di potere e i delitti del 12 maggio 1977 restano, a tutt’oggi, impuniti.

martedì 26 agosto 2008

Panico, incidenti e leucemie. Il prezzo di Sigonella

Secondo un diffuso immaginario la base di Sigonella non procura fastidi al territorio, e per alcuni è anche utile alla “sicurezza”.

La realtà, purtroppo, è completamente diversa.


Momenti di panico collettivo, incidenti continui, limitazioni di sovranità e situazioni di grave rischio sono una spada di Damocle su tutta la Sicilia orientale. Dai continui incidenti sulle strade del circondario fino alla sindrome delle leucemie di Lentini...




Bare

Partiamo da due episodi del tutto dimenticati, quando la presenza della base causò veri fenomeni di panico collettivo. Nel marzo 2003 la notizia di migliaia di bare nascoste all’interno di Sigonella in previsione di un conflitto o di una catastrofe naturale dapprima sembrava una leggenda metropolitana, poi è comparsa qua e là sulla stampa locale ed infine è stata ripresa dall’arcivescovo Renato Martino, secondo cui “nei primi giorni di febbraio, nell’aeroporto militare erano stati scaricati 100.000 sacchi per cadaveri e 6.000 bare”. Notizia né confermata né smentita.

Dopo l’11 settembre 2001, una nuova ondata di panico si diffuse nel catanese. I cittadini in preda alla paura giravano per i negozi, alla ricerca di maschere antigas. Poche settimane dopo, l’8 novembre, due violenti boati sopra Paternò fecero pensare al peggio. In realtà, alcuni velivoli militari avevano “semplicemente” infranto il muro del suono.

Canaglie

I voli sono continui. Elicotteri da guerra in esercitazione, voli cargo che attraversano l’Oceano, Atlantique ed Orion in perlustrazione. Un traffico fuori dal normale che produce numerosi incidenti. Quelli conosciuti sono almeno tredici, dal ’75 ad oggi.

Alcuni hanno avuto effetti spaventosi, come quelli di Lentini. Altri hanno portato ad un passo dal disastro, come quelli di Augusta. Tutti insieme costituiscono un indizio inequivocabile sulla spada di Damocle che pende sulla Sicilia Orientale, asservita ai war games degli Usa.

Sigonella non è soltanto il supporto logistico alla Sesta Flotta della US Navy nel Mediterraneo, ma è anche il ponte verso i teatri di guerra mediorientali, in attività permanente da quando nel 1991 Bush padre scatenò la prima “tempesta nel deserto”.

Oltre alla logistica di guerra, mastodontiche esercitazioni sono ospitate nelle acque e nei cieli dello Jonio, in osservanza dei paranoici piani disegnati dai falchi del Dipartimento della Difesa, che scrivono “sceneggiature” degne dei peggiori copioni hollywoodiani, con immaginari Stati canaglia, terroristi senza scrupoli, caccia che braccano natanti infidi ed adrenalinici interventi risolutori. Il tutto a breve distanza dagli ignari cittadini che stanno svolgendo le loro normali attività.

PSI (Proliferation Security Initiative) e AGS (Alliance Ground Surveillance) sono i due piani pensati per contrastare il “terrorismo internazionale” e controllare tutto il Mediterraneo. Il primo è in esecuzione da anni, il secondo è in fase di progettazione e prevede di impiegare aerei con e senza pilota per le ricognizioni e la raccolta di informazioni su Africa e Medio Oriente. Il “PSI” è un “piano d’interdizione dei trasferimenti di armi di distruzione di massa”, cui aderiscono 11 paesi. Nell’ambito del piano, si sono svolte imponenti simulazioni, tra cui “Clever Sentinel” del 2004, in cui le forze speciali italiane arrivavano dall’alto con gli elicotteri, prendevano il controllo dell’imbarcazione sospetta, già circondata da navi militari, e procedevano a verificare la presenza di “chemical, biological and radiological weapons” (le famose armi di distruzione di massa), avvertendo dei risultati la Guardia Costiera, il ministro dell’Interno ed i Vigili del Fuoco (sic).

Elicotteri

Gli “stalloni neri” sono enormi elicotteri da guerra, di stanza a Sigonella, impegnati in continui voli di addestramento o perlustrazione.

Sono loro i responsabili maggiori degli incidenti nei cieli della Sicilia orientale. Si sono schiantati sulla pista della base, nelle campagne del circondario e nei pressi di centri abitati.

Il 19 novembre 1998 un CH-46 precipitava per cause ignote nei pressi di Riposto, quattro le vittime. Quattro anni dopo, durante la fase di decollo, un MH-53E si era schiantato violentemente sulla pista: interamente distrutto l’elicottero ma solo qualche lieve ferita per l’equipaggio. Il 17 luglio 2003, nei pressi di Ramacca, cadeva un altro elicottero: ancora quattro morti. L’intera area del disastro veniva confinata da un imponente cordone di protezione. Il 10 agosto 2004 un altro MH-53E, durante una fase di collaudo, precipitava all’interno della base ed i quattro militari che si trovavano a bordo restavano gravemente feriti. Dinamica simile per l’incidente del 16 febbraio 2005, stesso elicottero e quattro membri dell’equipaggio feriti.

Uranio

Il 12 luglio 1984 un Lockheed C-141 diretto in Kenia precipitò al suolo nei pressi di Lentini. I militari USA circondarono la zona e non rivelarono la natura del materiale trasportato. Medici, esperti e la società civile lentinese denunciano tuttora un forte incremento dei decessi per leucemia, presumibilmente dovuto al carico di uranio impoverito disperso nell’ambiente dopo l’incidente.

Ma la “sindrome di Lentini” è un fenomeno più ampio, che comprende le discariche a cielo aperto con amianto e rifiuti ospedalieri pericolosi provenienti dalle USL del nord, il benzene industriale ed i pesticidi utilizzati per anni - prima che fossero messi al bando - nel trattamento delle arance, la vicinanza dell’aeroporto militare di Sigonella, infine il lascito letale di misteriosi incidenti.

Petrolio

Sigonella è una base della US Navy, ma il suo porto è a molti chilometri di distanza, ad Augusta, a pochi passi dall’immenso polo petrolchimico di Priolo – Melilli. È evidente che un incidente avrebbe conseguenze gravissime tra enormi cisterne di carburante, aree industriali ad altissimo impatto ambientale, petroliere, depositi di armi ed esplosivi.

Il 22 novembre del 1975 si sfiorò il disastro, a causa di una collisione tra un incrociatore della marina USA e la portaerei Kennedy. Il primo aprile 1986, a bordo della portaerei statunitense “America”, ormeggiata in rada, un caccia si scontrava con un elicottero “Sea King”. Il 22 aprile 1988 un elicottero CH-46 si schiantò sul ponte di volo della nave munizioni “Mount Baker” durante le operazioni di rifornimento presso il pontile di Augusta. Restò ferito un operaio italiano che effettuava sulla nave USA dei lavori di manutenzione.

Automobili

E pensare che in questo delirio di elicotteri da guerra, portaerei a capacità nucleare, pattugliatori sovradimensionati e corpi speciali con stemmi a basi di aquile e folgori il problema più grande sono le automobili che sfrecciano sulla Catania – Gela. Ed i morti che producono.

Lo ricorda un lugubre cartello che accoglie tutti coloro che entrano alla base, con un elenco di morti e feriti, aggiornato giornalmente. È il bilancio di sangue degli incidenti stradali causati dai militari USA. La più grande battaglia di Sigonella è quella contro i suoi soldati ubriachi. Prima un osservatorio, quindi la cartellonistica, ancora tre riunioni a settimana del gruppo Alcolisti anonimi, un sistema interno di sanzioni a punti per gli indisciplinati, infine una rubrica fissa sulla prima pagina del giornale della base - The Signature - che implora: “Please, don’t become a statistic!”

Nei primi mesi del 2008, 2 morti, 77 incidenti, 5 fermati in stato di ebbrezza. Nel 2006 gli incidenti furono 323, nel 2007 furono 246. All’inizio del 2008 uno degli incidenti più gravi coinvolge due coniugi catanesi. Una Hunday invade la corsia opposta, scontro frontale con una Multipla. Morti due giovanissimi militari USA, solo feriti gli italiani. ( di Antonello Mangano )


Il libro



“Un posto civile - Sette ottime ragioni per riconvertire la base USA di Sigonella” è il libro prodotto da terrelibere.org che illustra l’impatto della base sul territorio ed il suo ruolo nella guerra permanente degli Stati Uniti.

sabato 16 agosto 2008

Berlusconi III, già 100 giorni a difesa degli interessi. Suoi


Sono cento giorni che il Berlusconi III è al governo.
Tempo di celebrazioni per il Pdl, forse di pentimento per qualche suo elettore.



Chi, se non il Giornale (quello di famiglia, s'intende), poteva dedicare un'esaltante intervista a piena pagina al cavalier Silvio per festeggiare il ferragosto e i primi cento giorni di Berlusconi III? E così il direttore Mario Giordano è volato a Porto Cervo per farci sapere che il presidente del Consiglio quest'anno ancora non si è fatto vedere al Bar del Molo, la sua gelateria preferita. È impegnatissimo con i nipotini, ci riferisce lo stesso Giordano.

D'altronde lo ha spiegato lo stesso Cavaliere qualche giorno fa. Adesso ha un sacco di tempo libero, non passa più il sabato con i suoi avvocati a preparate memorie e trappole per i magistrati che lo indagano. Merito di una leggina che ha tenuto banco per due mesi, bloccando il Parlamento e il dibattito politico. Una leggina che, per salvare Berlusconi dai suoi processi, avrebbe bloccato decine di migliaia di processi pendenti. Alla fine il ministro Angelo Alfano (era assistente di Berlusconi in una delle sue aziende, adesso è ministro della Giustizia) si è inventato il "lodo" che porta il suo nome e Berlusconi ha la sua perfetta leggina ad personam (estesa, tanto per non incorrere nella Corte costituzionale, al Presidente della Repubblica e a quelli di Camera e Senato) che lo tiene al riparo da qualsiasi processo, passato, presente e futuro.

Naturalmente della leggina di Angelino (Alfano) non c'è traccia nell'intervista di Giordano, anche se Berlusconi si lancia in uno sperticato elogio dello stesso ministro, opportunamente servito da una domanda del direttore del Giornale. «Alla riforma della Giustizia sta lavorando il ministro Alfano. Qualcuno dice che, insieme con la Gelmini, è una delle migliori sorprese di questo governo», suggerisce Giordano ad un Berlusconi che non vede l'ora di rispondere: «Angelino Alfano non è una sorpresa, e non lo sono neppure la Gelmini, la Carfagna, Raffaele Fitto e gli altri "giovani". Nel governo con i ministri di esperienza e competenza ci sono questi giovani capaci, entusiasti, appassionati che si stanno mettendo in luce».

Naturalmente Berlusconi si fa grandi elogi per Napoli, per l'Alitalia e per la politica della sicurezza. Peccato che nessuno gli abbia detto che per tutte e tre queste cose la Commissione europea abbia avviato delle procedure di infrazione e che non abbia nessuna intenzione di accontentarsi delle parole di Berlusconi per fermarle. Per Napoli resta aperta la procedura davanti alla Corte di giustizia, per l'Alitalia è in corso l'indagine sul prestito ponte (senza parlare dei settemila licenziamenti ai quali dovrebbe portare i piano del Governo, contro i meno dei duemila dell'ipotesi Air France che era stata percorsa da Romano Prodi e sabotata dallo stesso Berlusconi). Mentre per la politica della sicurezza e per le impronte ai rom, anche ai bambini, oltre all'indagine europea per verificare che non vi siano politiche razziste o discriminatorie vi è una risoluzione di condanna del Parlamento europeo. Dei bellissimi cento giorni.

Noi, per aiutarvi a farvi un'idea più precisa di che cosa sia stato fatto e non fatto nei cento giorni di Berlusconi, ecco un e-book che abbiamo preparato: in 64 pagine c'è tutto quello che avreste voluto sapere sul governo, ma nessuno vi ha mai raccontato (a parte noi de l'Unità)

La Vignetta è di :

sabato 2 agosto 2008

Olimpiadi: siti internet sbloccati ma, manca ancora la libertà d'espressione

"Abbiamo accolto con favore la notizia che il sito di Amnesty International sia accessibile dal centro stampa olimpico e probabilmente da altri computer nella città di Pechino" - ha commentato oggi Roseanne Rife, vicedirettrice del Programma Asia - Pacifico di Amnesty International. "Tuttavia, bloccare e sbloccare arbitrariamente determinati siti Internet non basta a soddisfare l'obbligo di rispettare gli standard internazionali in materia di libertà d'espressione e d'informazione". Giornalisti inviati a Pechino hanno riferito ad Amnesty International che il sito Internet dell'organizzazione per i diritti umani e alcuni altri (tra cui quelli di Human Rights Watch, di Radio Free Asia e del servizio in lingua cinese della Bbc) sono accessibili dal centro stampa olimpico. Questi siti, sarebbero, secondo alcune fonti, parzialmente accessibili anche da altre parti di Pechino. Tuttavia, altri siti Internet che si occupano di diritti umani o di temi politici rimangono bloccati, tra cui http://www.thechinadebate.org/, un forum creato da Amnesty International per promuovere il dibattito sulla situazione dei diritti umani in Cina alla vigilia delle Olimpiadi. "Al pari del resto del mondo, i cittadini cinesi hanno il diritto di accedere alle informazioni e a esprimersi on line su ogni argomento di legittimo interesse pubblico, diritti umani inclusi. Per questo, Amnesty International continua a chiedere alle autorità cinesi di assicurare pieno accesso a Internet, in linea con la promessa olimpica relativa alla 'completa libertà di stampa' e con gli standard internazionali sui diritti umani" - ha proseguito Rife. Diversi giornalisti cinesi sono in carcere per aver postato o cercato su Internet informazioni su temi ritenuti politicamente sensibili. Tra questi c'è Shi Tao, che sta scontando una condanna a 10 anni di carcere per aver inviato all'estero messaggi di posta elettronica che sintetizzavano il contenuto di una direttiva del Dipartimento centrale per la propaganda, che dava indicazioni su come i giornalisti avrebbero dovuto trattare il 15° anniversario della repressione di Tiananmen del 1989. Amnesty International sottolinea come la decisione delle autorità cinesi di sbloccare alcuni siti Internet sia stata favorita da forti prese di posizione tra cui quella ultima del Comitato internazionale olimpico (Cio), che solo pochi giorni fa aveva autorizzato le autorità cinesi a bloccare Internet. "Quando la diplomazia silenziosa fallisce, è chiaro che una forte pressione pubblica può ottenere un risultato effettivo. Amnesty International continua a chiedere al Cio e ai leader che da ogni parte del mondo arriveranno a Pechino per assistere ai Giochi di esprimersi pubblicamente in favore dei diritti umani e di farlo anche in nome e per conto dei difensori dei diritti umani che sono stati ridotti completamente al silenzio" - ha concluso Rife.
(Amnesty International - Italia )


L’8 agosto inizieranno le Olimpiadi. Un grande evento sportivo mondiale che quest’anno si terrà a Pechino, capitale di un immenso paese dove ancora viene applicata la pena di morte, dove 800 milioni di persone vivono in condizione di povertà, ma anche dove la crescita industriale ha raggiunto vertici insospettabili negli ultimi anni. Un paese dal doppio volto, per usare la definizione di Roberto Reale, giornalista, vicedirettore di Rainews24 e segretario generale di Information Safety and Freedom, che nel suo libro “Doppi giochi” (Stella Edizioni, 2008) svela la dimensione extra-sportiva dell’evento…"Doppi Giochi" porta alla luce la faccia nascosta di Pechino 2008. Ricostruisce le storie di dissidenti e cittadini che hanno pagato con la vita o col carcere la loro domanda di giustizia. Il libro vede nell’appuntamento olimpico una occasione per svelare le mille ambiguità che in questi anni hanno segnato il rapporto fra noi e la Cina. Ci racconta poi come si decida sul Web la grande partita della libertà di espressione in quel Paese e nel mondo. Con la regia del partito comunista e la complicità commerciale e tecnologica di molte aziende occidentali, lì si pratica un capitalismo privo di diritti e di democrazia. Una esperienza inquietante per il futuro di tutta l’umanità.
La vignetta è di : ROsanna Pasero

sabato 28 giugno 2008

" IL MOSTRO SULLO STRETTO - SETTE OTTIMI MOTIVI PER NON COSTRUIRE IL PONTE"


Quali sono i veri obiettivi che muovono da anni la cosiddetta “lobby del Ponte sullo Stretto di Messina”? È vero che la costruzione della mega-opera sarà un disastro per i conti dello Stato? E quale sarà il reale impatto dei cantieri sulle popolazioni?
Sono alcune delle domande a cui risponde il volume




"Il mostro sullo Stretto - Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte "

scritto dai ricercatori Antonello Mangano e Antonio Mazzeo di Terrelibere.org.

Il libro (104 pagine), edito da Sicilia Punto L, sviluppa le argomentazioni contrarie al Ponte, riportando ragioni note (ambiente, mafia, impatto occupazionale) e proponendo questioni meno conosciute (militarizzazione del territorio, conflitti d’interesse, fitta ragnatela di società ed aziende coinvolte).
Rappresenta uno strumento indispensabile per costruire e rafforzare l’opposizione contro la costruzione del Ponte sullo Stretto; fornisce le motivazioni e le informazione utili a comprendere le ragioni del No e a smontare le argomentazioni mendaci e truffaldine dei sostenitori dell’opera. “Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una retorica della privatizzazione, ad un attacco frontale allo Stato ed ad ogni forma di presenza pubblica in economia che oggi può essere letto in maniera diversa”, scrivono Antonello Mangano e Antonio Mazzeo.
“Lo Stato è rimasto stazione appaltante ed assicura alle imprese private profitti al riparo dalla concorrenza, rischi di mercato, verifiche di efficienza. L’arretramento dello Stato, lungi dall’assicurare efficienza, ha significato riduzione di regole e controlli, discrezionalità dei “General Contractor” nell’assegnazione di subappalti o nella gestione privatistica di fondi e voci di bilancio, con perdita di rilevanza penale di comportamenti dannosi per la società. Ha significato nei fatti maggiore spazio per la criminalità, l’annullamento dei diritti dei lavoratori, l’allontanamento di imprese che non accettano tavolini di spartizione, la penalizzazione della qualità e dell’efficienza.
In questo scenario s’iscrive il devastante progetto del Ponte sullo Stretto di Messina”. Il libro si apre con l’analisi del “club delle grandi opere” legato trasversalmente alle forze politiche ed “abituato alle spartizioni, alle presenze incrociate che annullano controlli e concorrenza, alla depredazione delle risorse”. Si prosegue con uno studio sull’impatto sociale dell’opera, in un territorio fragilissimo dal punto di vista socio-economico: i cantieri e la vita quotidiana, l’inquinamento, la salute delle popolazioni, gli espropri.
Ancora, il ruolo delle mafie sotto un duplice aspetto: l’inserimento della criminalità locale che controlla il territorio nei subappalti ed il tentativo già avvenuto della grande mafia internazionale di finanziare direttamente l’opera. Fondamentale e trascurato, l’impatto sui conti pubblici, dove sono stati sovrastimati i vantaggi e gli utili e sottostimati i costi.
Si analizza poi l’impatto ambientale dell’opera su un paesaggio dal valore unico, “già deturpato da abusivismo ed incuria e che oggi si trova al bivio tra l’affossamento definitivo ed un possibile rilancio”. Infine il capitolo sulle ancora troppo poco conosciute convergenze tra gli “amici del ponte” e i conflitti che insanguinano il pianeta.
Il Ponte stesso genererà nuovi processi di militarizzazione nell’area dello Stretto, come se non dovessero già bastare le servitù di basi e infrastrutture convenzionali e nucleari che soffocano il Mezzogiorno d’Italia.



Indice del volume
1 Il club del cemento. Perché il Ponte è affare per pochi.
2 Impatto sociale. Perché il Ponte stravolge la vita della comunità.
3 La Mafia. Perché il Ponte ripropone il dominio criminale.
4 La diseconomia. Perché il Ponte è un disastro per i conti pubblici.
5 Impatto occupazionale. Perché il Ponte non dà lavoro.
6 Impatto ambientale. Perché il Ponte distrugge l’ecosistema.
7 I militari. Perché il Ponte è collegato alla guerra.


Il libro lo potete acquistare quì ,costa: € 5.80. Le spese di spedizione per i paesi dell'Unione Europea sono incluse. Non sono previsti altri costi

Oppure: Lo potete leggere on line

La vignette è di MASSIMO GARIANO

mercoledì 4 giugno 2008

"NESSUN PORCO E' SIGNORINA"

Dopo quasi vent'anni da “Io speriamo che me la cavo”, il maestro Marcello D’Orta torna in libreria con un nuovo, divertente libro che contiene pillole di saggezza dei bambini sugli animali, dal titolo: “Nessun porco è signorina”, edito da Mondatori.
Tutto è cominciato col desiderio di Marcello D’Orta di approfondire le conoscenze dei piccoli rispetto al mondo degli animali, e per fare questo si è rivolto alla LAV. Attivisti della LAV di Napoli sono andati nelle scuole della città e hanno assegnato - col consenso di direttori e docenti - tracce come queste: Ogni anno muoiono centinaia di cani abbandonati sul ciglio di una strada… qual è il tuo pensiero in proposito?/ Che cosa pensi della corrida?/ Che cosa sai dei combattimenti fra animali organizzati dalla malavita?/ Ti sembra giusto ammazzare un animale per farne una pelliccia?/ Se tu fossi un animale, chi ti piacerebbe essere?/ Che cosa pensi della caccia?/ Sai chi è un animalista?/ Hai mai sentito parlare della LAV?/ Alcune persone non mangiano carne, per scelta. Sono detti “vegetariani”. Che cosa pensi in proposito?
I bambini hanno accolto con entusiasmo la proposta di svolgere i temi, assegnati dal maestro, sul loro rapporto con gli animali.
Risultato? Un libro al tempo stesso esilarante e profondo, che fa riflettere e diverte, in cui i temi sono riprodotti come da stesura originale, quindi pieni di errori e approssimazioni, proprio per rendere l’animo popolare di Napoli.
Al di là quindi delle regole grammaticali, i bambini nei loro temi, hanno espresso, a modo loro, tutta la condanna verso:
chi abbandona i cani per strada (Se si fanno una lastra, esce che non hanno il cuore)

chi fa combattere i cani (Il pit bull, tante che ne ha passate, che è triste pure se lo porti a Mirabilandia)

la vivisezione (Non ho mai sentito parlare di questa vivisezione, ma a naso è una cosa cattiva)

la corrida (Sia il toro che il torero hanno le corne, ma nel torero sono invisibili)

la caccia (Se mio padre facesse la caccia, vorrei bene solo a mia madre)

le signore impellicciate "tutte stupide" perché "se l'animale vuole uscire di casa con o senza pelliccia solo lui può deciderlo".

Accanto a riflessioni che confermano, grande sensibilità (vorrei essere il mio pesciolino rosso, per vedere se l’ho trattato bene), e altre che dimostrano l'amore verso tutti gli esseri viventi (Io prima di scarnazzare una zanzara, gli dico un padrenostro), o consapevolezza (noi bambini, siamo proprio noi a inguaiare gli animali, perché è per noi che ci stà il circo) troviamo i pregiudizi radicati (se i nostri antenati mangiavano il capitone e l’agnello anche noi lo dobbiamo fare, per portare avanti la tradizione di famiglia), o le idee assurde (oggi la vita s’è fatta difficile per tutti, e gli animali devono ringraziare quelli del circo, che li danno colazione pranzo e cena per senza niente).

“L’attenzione dei bambini verso gli animali si spiega – scrive nella prefazione Marcello D’Orta - come forma di solidarietà tra individui socialmente deboli (gli infanti, appunto) ed esseri viventi da sempre sfruttati dall’uomo”. Parlando degli animali, è come se i bambini parlassero di sé: tra lavoro minorile, pedofilia, violenza fisica in famiglia, separazione dai genitori, utilizzo nelle guerre, eccetera, i ragazzi si sentono sempre più minacciati e sfruttati; in qualche caso avvertono in modo drammatico la “diversità” dagli adulti, finendo con lo stringere un rapporto più stretto con gli animali. Se consideriamo poi che, sulla base di alcuni studi recenti, l’empatia verso gli animali risulta essere associata all’empatia nei confronti delle persone, comprendiamo come l’aiutare un bambino a stabilire un profondo legame con l’animale che vive con lui, e con gli animali in genere, può avere effetti positivi anche sullo sviluppo delle sue capacità di relazionarsi positivamente e costruttivamente con gli esseri umani.

L’opera ha una importante finalità benefica perché l'autore ha deciso di devolvere una parte dei proventi delle vendite alla LAV che li impiegherà in iniziative educative nelle scuole per il rispetto degli animali.

"Se gli animali parlasseno, chi sa quanti chi t'è muorto ci menassero..."
TRADOTTO: (Se gli animali parlassero, chi sa quante maledizioni ci manderebbero).