Ascoltate Josè Saramago intervistato da Serena Dandini

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domenica 29 marzo 2009

Le magliette di moda nell’esercito israeliano: “meglio ammazzarli da piccoli”

La denuncia scioccante viene dal quotidiano israeliano Haaretz.

Ai soldati israeliani piace andare in giro con magliette che superano i classici simbolismi del militarismo per addentrarsi nella guerra del futuro, quella asimmetrica nella quale il protagonista è il cecchino onnipotente con la testa vuota che ammazza civili, meglio se donne e bambini.

E questo si riflette nella moda, nell’abbigliamento dei soldati di Tsahal.

Sembra vadano a ruba le magliette con disegni di bambini presi nel mirino, oppure madri piangenti sulle tombe dei figli oppure t-shirt come quella nella foto che mostra una donna palestinese incinta e lo slogan: “con un tiro due piccioni”.



Tutte le scritte sono per “uomini veri”, notevole per un esercito che fa dell’integrazione delle ragazze motivo d’immagine.

I riferimenti sessuali, perfino allo stupro, sono continui come sono continui quelli alla maternità “piangeranno, piangeranno”.

A una maglietta che mostra un bimbo ammazzato si accompagna un “era meglio se usavano il preservativo”.

A quella con un bambino palestinese nel mirino si accompagna un “non importa quando si comincia, dobbiamo farla finita con loro” che suona in italiano come “meglio ammazzarli da piccoli”.

Leggi tutto il reportage di Haaretz qui e conserva questo link per la prossima volta che ti diranno che i palestinesi educano i figli alla cultura dell’odio.

Fonte: gennarocarotenuto.it


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Cari Hermanos,
il nostro adagio "RESTIAMO UMANI" ,
diventa un libro.

E all'interno del libro il racconto di tre settimane di massacro,
scritto al meglio delle mie possibilità,
in situazioni di assoluta precarietà,
spesso trascrivendo l'inferno circostante su un taccuino sgualcito
piegato sopra un'ambulanza in corsa a sirene spiegate,
o battendo ebefrenico i tasti su di un computer di fortuna
all'interno di palazzi scossi come pendoli impazziti da esplosioni tutt'attorno.
Vi avverto che solo sfogliare questo libro potrebbe risultare pericoloso,
sono infatti pagine nocive, imbrattate di sangue,
impregnate di fosforo bianco,
taglienti di schegge d'esplosivo.
Se letto nella quiete delle vostre camere da letto rimbomberanno i muri
delle nostre urla di terrore,
e mi preoccupo per le pareti dei vostri cuori
che conosco come non ancora insonorizzate dal dolore.

Mettete quel volume al sicuro,
vicino alla portata dei bambini,
di modo che possano sapere sin da subito di un mondo a loro poco distante, dove l'indifferenza e il razzismo fanno a pezzi loro coetanei come fossero bambole di pezza.
In modo tale che possano vaccinarsi già in età precoce
contro questa epidemia di violenza verso il diverso e ignavia dinnanzi all'ingiustizia.
Per un domani poter restare umani.

I proventi dell'autore,
vale dire Vittorio Arrigoni,
me medesimo,
andranno INTERAMENTE alla causa dei bambini di Gaza sopravvissuti all'orrenda strage,
affinché le loro ferite possano rimarginarsi presto (devolverò i miei utili e parte di quelli de Il Manifesto al Palestinian Center for Democracy and Conflict Resolution, sito web:
http://www.pcdcr.org/eng/ , per finanziare una
serie di progetti ludico-socio-assistenziali rivolti ai bimbi rimasti gravemente feriti o traumatizzati ).


Nonostante offerte allettanti come una tournee in giro per l'Italia con Noam Chomsky, ho deciso di rimanere all'inferno,
qui a Gaza.
Non esclusivamente perché comunque mi è molto difficile evacuare da questa prigione a cielo aperto (un portavoce del governo israeliano ha affermato :"e' arrivato via mare, dovrà uscire dalla Striscia via mare"), ma soprattutto perché qui ancora c'è da fare, e molto, in difesa dei diritti umani violati su queste lande spesso dimenticate.

Non avremo certo gli stessi spazi promozionali di un libro su Cogne di Bruno Vespa o una collezione di lodi al padrone di Emilio Fede,
da qui nasce la mia scommessa,
sperando si riveli vincente.

Promuovere il mio libro da qui, con il supporto di tutti coloro che mi hanno
dimostrato amicizia, fratellanza, vicinanza, empatia.
Vi chiedo di comprare alcuni volumi e cercare di rivenderli se non porta a porta quasi, ad amici e conoscenti, colleghi di lavoro, compagni di università, compagni di
volontariato, di vita, di sbronza.
E più in là ancora, proporlo a biblioteche,
agguerrite librerie interessate ad un progetto di verità e solidarietà.
Andarlo a presentare ai centri sociali e alle associazioni culturali vicino a dove state.

Si potrebbero organizzare dei readings nelle varie città, (io potrei intervenire telefonicamente, gli eventi sarebbero pubblicizzati su Il Manifesto, sui nostri blog e aggiro per internet)
e questo potrebbe essere anche una interessante occasione per contarsi, conoscersi,
legarsi.
Non siamo pochi, siamo tanti,
e possiamo davvero contare,
credetemi.

Il libro lo trovate fin d'oggi nelle edicole con Il Manifesto,
e fra due settimane nelle librerie.

Confido in voi,
che confidate in me,
non per i morti
ma per i feriti a morte di questa orrenda strage.

Un abbraccio grande come il Mediterraneo che separandoci, ci unisce.

Restiamo umani.

vostro mai domo

Vik

( dal blog di Vittorio Arrigoni )


Per ordinare online i libri: QUI


sabato 7 febbraio 2009

LA MORTE DELLA DEMOCRAZIA !

HO CONOSCIUTO MOLTI CATTOLICI MA POCHI CRISTIANI (diffondere! GRAZIE)


Al governo Berlusconi sono bastati 4 minuti per spazzare via tutto: pietà e rispetto, discrezione e silenzio, equilibrio e correttezza istituzionale. Come le ruspe nei campi nomadi, il consiglio dei ministri non ha avuto riguardo nell’approvare un disegno di legge che obbliga alimentazione e idratazione per soggetti non autosufficienti, dopo aver provato la strada del decreto, stoppato da Napolitano.
Si tratta di un accanimento per nulla terapeutico.
Ho conosciuto molti cattolici ma pochi cristiani.
Cinismo, neppure cattiveria.
Calcolo politico di bassa Lega, tentativo di mettere in difficoltà il capo dello Stato. Per una volta il Cavaliere non ha dato retta ai sondaggi e agli umori popolari, al sentire comune che sta dalla parte della famiglia Englaro e delle difficili decisioni assunte, con il conforto di una sentenza della magistratura, per porre termine non già alla vita ma allo strazio di Eluana.
Si vuole ora speculare su questo dramma, si vuole aprire un conflitto istituzionale con il Quirinale per perseguire neppure troppo oscuri disegni: affrettare il passo verso una Repubblica presidenziale a vocazione autoritaria.
È l’ultimo punto del programma della P2 di Licio Gelli rimasto ancora da attuare.
Ora lo vogliano fare, a spallate. Costi quel che costi. Anche passando sul corpo di Eluana Englaro.

(di Franca Rame e Sergio Segio)



La marcia su Udine


L’ingresso di Berlusconi nel circo Englaro è un atto così vomitevole da far fare quasi bella figura alla Chiesa. Ho detto quasi. Che almeno i preti ci credono o fingono di crederci, lo fanno perché è la loro religione. Sono osceni nella loro volontà di imporre la loro morale a chiunque, ma almeno si tratta di una morale, sia pur ferma all’anno Mille. Berlusconi no. Berlusconi non crede in nulla e nemmeno finge. E’ chiaro a chiunque che a Berlusconi di Eluana Englaro non interessa nulla. Viva, morta o vegetale, per lui è uguale. Berlusconi non vede mai più lontano del proprio esclusivo interesse. E oggi utilizza il corpo di una donna in stato vegetativo permanente da diciassette anni, utilizza il dolore del padre, per un mero, schifoso, riprovevole calcolo politico. Lo scontro con Napolitano. E male, malissimo, ha fatto il Presidente ad annunciare il suo no al decreto. Ma ancora non sa con chi ha a che fare? Perché senza quel no preventivo, Berlusconi il decreto non lo avrebbe tirato fuori. Il decreto, poi disegno di legge, approvato in pochi minuti da quel gruppetto di dipendenti Mediaset altrimenti noti come ministri, è funzionale allo scontro. E fa presagire scenari ancora più cupi: davvero il tentativo di Berlusconi è quello di liberarsi di un uomo così innocuo da firmare senza fiatare persino il lodo Alfano? Se è così, dove vuole arrivare?

Come contorno, fa pena la figura di Schifani, seconda carica dello Stato, che, infischiandosene del ruolo istituzionale, dichiara che convocherà in fretta il Senato per approvare il disegno di legge. Il Senato che, Berlusconi lo dice chiaramente, non esiste. Come comanda il padrone, vota. La differenza fra un decreto legge e un disegno di legge non è il Parlamento. No. E’ il tempo.

Fanno ribrezzo le parole talebane di Berlusconi su Eluana che non può morire perché potrebbe avere figli. Magari con Piersilvio. La desolazione morale che sta dietro questa dichiarazione è spaventosa. Anche se su questa storia dei figli, Berlusconi non deve avere sentito il parere della Chiesa. Ratzinger proibirebbe l’atto sessuale: Eluana non è sposata.

Fa ribrezzo la dichiarazione di Berlusconi durante la conferenza stampa di stasera: a una domanda sul rischio di morte per Eluana nei prossimi giorni, il premier ha risposto: «Ci auguriamo di no. Una persona normale sta due o tre giorni senza mangiare e bere». E ha aggiunto: «rivolgetevi a Pannella, che ne sa qualcosa». Poi mi sono distratto, ma secondo me ha chiuso con una bella barzelletta sui disabili. E tutti a casa che su Mediaset Premium ci sono le tette di Cristina.

No hay banda, no hay orquesta. Silencio.

Silencio, por favor.

(di Gennaro Carotenuto)


La vignetta è di:Mauro Biani

giovedì 30 ottobre 2008

Squadrismo, regime e movimento

Siamo alle spranghe tricolori.
“Voi a colpi di decreti legge, noi a colpi di spranga”,
potrebbe essere lo slogan dei neofascisti ruota di scorta del governo.

Tutti i distinguo, i non siamo negli anni ‘20, i la nostra è una democrazia matura, i siamo un paese dell’Unione Europea, tutte le riflessioni che ci siamo sbrodolati addosso per 14 anni sull’irripetibilità del ventennio, sulla diversità di condizioni, si sciolgono di fronte ad un camion di neofascisti che scendono con le spranghe tricolori e menano a manca e… a manca mentre la polizia guarda altrove.



Hanno un bel dire che il fascismo regime usò poco la violenza, anche se bene ha fatto Walter Veltroni a ricordare domenica Piero Gobetti, Don Minzoni, Giacomo Matteotti. E’ che il fascismo movimento ne aveva usata a sufficienza prima. Basta ricordare gli oltre 2.000 morti (contro una sessantina) del solo 1921. Oggi i TG definirebbero lo stillicidio di 2.000 morti contro 60 come scontri tra opposte fazioni. No, non siamo agli anni ‘20, ma quando qualcuno organizza una squadra di picchiatori, probabilmente li paga, li carica su di un camion e li porta a commettere atti violenti contro una manifestazione pacifica ed autorizzata non stiamo parlando di un episodio normale né di conflittualità normale.

Non serve forse ricordare gli anni ‘70 (nella foto Giorgio Almirante con le spranghe tricolori dell’epoca), non serve ricordare Genova, non serve ricordare come ci siano sempre analfabeti pronti a cadere nelle provocazioni. Basta che nasca un timidissimo movimento di protesta, con ancora scarse possibilità di radicamento, che parla un linguaggio post-politico e che spesso della politica ha solo paura, in un contesto nel quale il governo ha il pieno controllo di tutto, dal parlamento ai sondaggi, perché tutte le strategie della tensione tornino attuali. Nulla è permesso. Nessuna dialettica. I media (anche i suoi) sono ansiogeni e diffondono pessimismo (basterà un decreto per imporre l’ottimismo per legge?). Chi protesta è solo facinoroso. Chi articola una critica mente. Chi lo scrive sui muri va in galera.

Francesco Cossiga non parlava a vanvera la scorsa settimana anche se è stato consolatorio pensarlo. Come nelle guerre a bassa intensità, l’episodio squadrista di ieri dimostra (e il ricordo di Genova sta lì) che il governo è disposto a delegare l’uso della violenza a formazioni terze che possano fare il lavoro sporco. Non siamo alla Colombia, ma siamo di fronte ad una cultura politica affine.

Silvio Berlusconi in questi 14 anni ha dimostrato di essere un alieno della democrazia, di non conoscerne né riconoscerne forma e sostanza. Ma definire la sua una democrazia del televoto non serve a definire la fase nella quale stiamo entrando. Tra una settimana Mariastella Gelmini calerà dall’alto la sua riforma dell’Università. Seguirà la solita sequenza di strappi. E’ una riforma ancora semisegreta, scritta con pochi amici senza consultare nessuno, non le parti sociali, ma neanche la CUN e chi l’Università la manda avanti. Verrà approvata in nove secondi per decreto legge dal consiglio dei ministri. Poi verrà portata in parlamento dove probabilmente verrà posta la fiducia. Su tutto questo caleranno una valanga di veline da Minculpop che orienteranno l’opinione pubblica contro i reprobi docenti fannulloni, nepotisti e spreconi.

Se tutto va bene, ovvero se si dilungheranno, questo processo si concluderà poco dopo Natale. Ci sarà l’abolizione del valore legale del titolo di studio e molto di peggio. Lo vedremo. Quello che è evidente è che la lotta comincia ora e che la violenza è la più incontrollabile delle varianti da usare contro questo movimento pacifico, di studenti, maestri, docenti, personale amministrativo e chiunque abbia a cuore il diritto costituzionale allo studio. Quando “Il Giornale” la settimana scorsa minacciava gli studenti non scherzava. Sangue freddo ragazzi e, più che mai, occhio ai provocatori e a chi tenta di dividere.

(di Gennaro Carotenuto)

lunedì 29 settembre 2008

Una vignetta di Mauro Biani, riferita al ministro Renato Brunetta, ha scatenato l'ira della destra

Una vignetta riferita al ministro Renato Brunetta, pubblicata su "Emme", supplemento satirico de l'Unità, ha scatenato l'ira della destra, in particolare del ministro Gasparri.



Sotto il titolo 'Guerre giuste', c'è l'immagine di una persona che, puntando una pistola, fa intendere che a Brunetta si potrebbe anche sparare». Il ministro dell'Innovazione, ricorda inoltre Gasparri, «ha più volte dimostrato grande sintonia con la satira istituendo addirittura un concorso per premiare la migliore vignetta a lui dedicata. E tutti dobbiamo accettare anche la più graffiante presa in giro. Io stesso ho più volte elogiato chi mi imita anche in maniera molto vistosa. Ma una pistola puntata, pur se in una vignetta, non è un bel gioco. In un paese in cui violenza e terrorismo hanno una drammatica storia e forse radici non completamente recise, si scherzi su tutto, ma non con le armi e le pistole puntate. Sono certo che il direttore dell'Unità, accortosi dell'errore, vorrà scusarsi con il ministro Brunetta».


Senti chi parla!!!

La destra e in particolare il ministro Gasparri esigono le scuse per una vignetta. Gli stessi che hanno sempre giustificato e tollerato chi sbraita tolleranza zero o a doppio zero, hanno paura di una pistola puntata, pur se in una vignetta...
Beng Beng
!



‘U lupu di mala cuscienza comu opira accussì pensa...
"Il proverbio non sbaglia mai".


Tutta la mia solidarietà a Mauro Biani.
La sua vignetta è un capolavoro satirico.
Complimenti!!!

La notizia

Il sito di Mauro Biani (visitatelo, vi renderete conto quanto è violento)

La vignetta su Bossi è di : ARTEFATTi.it

mercoledì 24 settembre 2008

Qui non si serve birra ai neonazisti e a Borghezio

Sono "facinorosi camuffati da benpensanti, razzisti in abiti civili, sottili promotori di paure" i partecipanti al raduno anti-islamico di Colonia nelle parole del sindaco democristiano di Colonia, Fritz Schramma. Quanto è ormai lontano l'Italia del Pensiero Unico dall'Europa democratica? Molto, molto lontano. Prima ancora che la polizia tedesca sciogliesse la manifestazione Schramma invitava caldamente Borghezio e i suoi compari "euro-fascisti" a "tornarsene a casa", a Colonia non sarebbero benvenuti.

Un'intera città si è ribellata agli ospiti indesiderati, poche decine di neonazisti tedeschi, austriaci e neofascisti italiani.


È in mezzo a loro un eurodeputato di nome Maurizio Borghezio della maggioranza di governo.

La risposta del leghista al divieto della manifestazione?
Forse un moto di autocritica, visto che il bravo leghista si vedeva attorniato da neonazisti? Manco a pensare.
Tuona contro la "islamizzazione dell'Europa", contro la viltà delle istituzioni, che si sarebbero arrese.


A Colonia i tassisti (sic!) non hanno fatto salire sulle loro vetture gli "euro-fascisti".
Vadano a piedi!

Gli autisti dell'autobus si sono rifiutati di portarli nei quartieri "musulmani" come volevano loro, per vedere i quartieri "degradati dall'islamizzazione".

In piazza non c'erano gli islamici a protestare,
c'era l'intera città.


La nave sulla quale si doveva svolgere la conferenza stampa sul Reno, si è trasformata in una specie di prigione per i partecipanti perché il capitano li ha tenuti per cinque ore ferme in mezzo al fiume.

Tutte le birrerie di Colonia esponevano un cartello con la scritta: "Qui non si serve birra ai nazisti".


A quando le birrerie di Torino si rifiuteranno di servire una birra a Borghezio?

(di Udo Gumpel, Megachip - Pandoratv)

La Vignetta

lunedì 1 settembre 2008

Italia - Libia: Ancora sulla pelle dei migranti

Si chiude il contenzioso coloniale tra Italia e Libia.
Previsti rimborsi miliardari al governo di Qaddafi.
Porte aperte agli investimenti italiani a Tripoli e via libera ai pattugliamenti congiunti anti immigrati.

L'accordo è stato firmato a Benghazi il 30 agosto 2008 dal primo ministro italiano Silvio Berlusconi e dal leader libico, il colonnello Mu'ammar Qaddafi.
Nel dettaglio, il testo prevede un rimborso di cinque miliardi di dollari in 20 anni e la realizzazione di un'autostrada costiera che attraversi la Libia dall'Egitto alla Tunisia. Saranno inoltre finanziate borse di studio per giovani libici e un risarcimento per i mutilati dalle mine dell'epoca coloniale. La firma dell'accordo servirà inoltre a sbloccare i pattugliamenti congiunti anti immigrazione previsti dal protocollo siglato dall'allora ministro dell'interno Giuliano Amato, a Tripoli, lo scorso 29 dicembre 2007, in nome della continuità tra centro-destra e centro-sinistra in materia di controllo delle frontiere, e non solo... Dietro la partita dell'immigrazione infatti, si gioca una partita molto più grande: quella degli idrocarburi.

L'accordo ha una portata storica. Da un lato riconosce le responsabilità italiane per i crimini commessi durante la guerra in Libia, specialmente dopo l'invio in Libia, nel 1921, del generale Rodolfo Graziani, responsabile di massacri di civili, e deportazioni di intere popolazioni in campi di concentramento. E, caso unico nella storia del colonialismo, stanzia un importante risarcimento a una ex colonia. Dall'altro lato però riabilita a livello internazionale un regime come quello di Qaddafi, all'unico fine di aprire una nuova stagione di rapporti commerciali tra i due Paesi. La Libia giace su un mare di petrolio e ha bisogno di investimenti e infrastrutture. L'Italia ha bisogno di idrocarburi e non vuole certo farsi sfuggire un così ghiotto boccone.

Da tempo Italia e Libia sono legate da stretti rapporti economici, soprattutto nel settore energetico. Tra gennaio e aprile del 2008, secondo l'Ice (Istituto nazionale per il commercio estero) l'Italia ha importato dalla Libia petrolio e gas per un valore complessivo di 5,23 miliardi di euro, con un aumento del 50% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Allo stesso tempo, l'Italia ha esportato in Libia prodotti petroliferi raffinati per 367 milioni di euro nei primi quattro mesi del 2008. L'Eni è presente in Libia dal 1959 e ha recentemente rinnovato i suoi contratti di esplorazione e produzione su petrolio e gas fino al 2042. Nel 2006, la produzione di idrocarburi in quota Eni in Libia è stata l'equivalente di circa 222.000 barili al giorno. Italia e Libia sono strettamente connesse anche grazie al gasdotto di 520 km Green Stream, tra Mellitah e Gela, la cui capacità passerà presto da 8 a 11 miliardi di metri cubi l'anno. Altri affari milionari riguardano Bnl nel settore bancario, Alenia Aermacchi e Agusta-Westland nella fornitura di 24 elicotteri, e infine Sirti e la milanese Prysmian Cable & Systems nel settore delle telecomunicazioni.

Montagne di denaro che copriranno in modo più che sufficiente le accuse mosse contro la polizia di Qaddafi, accusata da Human Rights Watch, Amnesty International e Fortress Europe di abusi e torture ai danni di migranti e rifugiati di transito in Libia. Fatti di cui lo stesso prefetto del Sisde, Mario Mori, parlava già nel 2006 in una audizione al del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti: in Libia – dichiarava - i clandestini vengono accalappiati come cani, messi su furgoncini pick-up e liberati in centri di accoglienza dove i sorveglianti per entrare devono mettere i fazzoletti intorno alla bocca per gli odori nauseabondi...

L'Italia sapeva e sa tuttora cosa succederà alle migliaia di migranti che saranno riammessi in Libia dai pattugliamenti congiunti. Ma sulla bilancia commerciale, il loro destino vale zero virgola zero. E su quella dell'ipocrisia vale ancora meno. Il governo ha già annunciato che chiederà l'ingresso di 170.000 lavoratori stranieri entro fine anno. In Sicilia nel 2007 ne sono sbarcati circa 20.000. Meno di un ottavo. Molti si sono imbarcati unicamente per trovare un lavoro migliore. Ma niente si fa, a livello europeo, per garantire canali legali di mobilità per far incontrare domanda e offerta di lavoro. E niente si fa per garantire un corridoio umanitario a quelle migliaia di rifugiati – somali, eritrei, sudanesi – bloccati in Libia, i quali per vedere riconosciuti i propri diritti dalla civile Europa, devono prima rischiare la vita tra le onde del Mediterraneo. Non avendo altra scelta, continueranno a partire. E dovendo evitare i nuovi dispositivi di pattugliamento, navigheranno su rotte più lunghe e pericolose, andando ad allungare la lista dei morti nel Mediterraneo.

( Dal blog di Gabriele Del Grande- Fortress Europe )

Leggi anche:

Nuove intese tra Italia e Libia - Ancora sulla pelle dei migranti

di Fulvio Vassallo Paleologo - Università di Palermo

giovedì 28 agosto 2008

Pio La Torre, comunista, ammazzato dalla mafia


Comiso mi riporta indietro agli anni di una ancora non troppo remota giovinezza. Mi rilancia le immagini di giorni di passione civile, di scontri duri, il dolore di una violenza subita con quella pazienza dura che avevano i comunisti. Mi rilancia, questo nome, l’immagine di un uomo non più giovane ma non ancora anziano, che pur sotto la canicola, che già ad aprile attanagliava questa contrada di Sicilia, non smetteva una giacca grigia, concedendo a se stesso solo l’eliminazione della cravatta e il colletto della sua camicia candida allargato con un gesto quasi disperato. Stava su un palco mentre, sotto, gli Inti Illimani accordavano strumenti andini. Stava a spiegare ad una folla che arrivava a perdersi sotto le colline coperte di serre, che in quella terra grassa andavano piantati i pomodori e i peperoni, che erano la vera ricchezza e che quell’aeroporto doveva servire a farli arrivare nei mercati più lontani, che quelle piste non dovevano servire ad ingrassare le imprese mafiose e a far da rampa di lancio ai missili atomici in quell’ultimo feroce scampolo di guerra fredda.
Quell’uomo in grigio aveva la faccia asciutta come un legno d’olivo scavato dal tempo. Ci spiegava che quella era la battaglia vera per cambiare quel mondo che pareva non si potesse cambiare, che sulla nostra strada avremmo trovato i manganelli certo, ma anche le coppole storte degli uomini d’onore che, diceva, non sarebbero rimasti a guardare.
Quella faccia scavata, asciutta come un legno antico mi guarda muta. Coperta da un sottile velo che sembra ammorbidirne la severità contadina. Un velo come quelli che usano le spose nei paesi dell’interno. Come quello con cui nei giorni prima delle nozze le amiche avvolgono i confetti da lanciare agli invitatati. Un velo che pare coprire un scultura pronta ad essere svelata. Ma la faccia non è la stessa che vedevo tra i viottoli di Comiso. Aveva un piccolo insignificante dettaglio. Un foro, sotto la guancia. Un foro piccolo, scuro. L’unica traccia visibile della raffica del Thompson che lo aveva schiacciato con furia vigliacca. Una raffica che lui, quell’uomo con la giacca grigia e il volto secco di un contadino, aveva preso a calci, quasi un ultimo sprezzante segno di disprezzo e di orgoglio gettato in faccia a chi gli dava la morte.
Pio sembrava non si curasse di noi che ci mangiavamo lacrime, paura e rabbia facendogli corona funebre attorno. Sembrava che, con quell’aria distratta, ci dicesse di andar a fare cose più serie e non perdere tempo con tutte quelle formalità.
Comiso mi rilancia un'altra mattinata di canicola. Stavamo sotto le ali gigantesche di un Galaxi per cercare scampo al tormento del sole, mentre nel ventre dell’aereo scomparivano tante lunghe bare d’acciaio, ognuna con dentro due coppie di Cruise a testata atomica. Non ci ero mai entrato dentro l’aeroporto di Comiso, nonostante i molteplici tentativi naufragati tutti sotto i manganelli o gli idranti.
Mi feci mandare a posta per girare il servizio per il telegiornale. Spiegai al mio direttore che volevo godermela quella scena, dopo le tante legnate prese. E lui fu d’accordo.
A Comiso pensavo di tornarci una di queste mattine a godermi il nome di quell’uomo dalla giacca grigia e dalla camicia candida scritto sull’insegna. Il nome di un sogno, ieri spento a raffiche di mitra e oggi cancellato dall’arroganza stupida di un piccolo sindaco di provincia che pensa di poter far dimenticare la Storia.
Forse quel nome sull’insegna non lo troverò più, ma forse ci incontrerò un vecchio amico che, quasi certamente, di tanto in tanto ancora passeggia per quei sentieri e magari avrà ancora voglia di far due chiacchiere con uno di quegli scapestrati che lo facevano arrabbiare e che inutilmente tentava di rimettere in riga. Se sarà così, forse gli chiederò se, con quella sua giacca sulle spalle non ha caldo, magari ci siederemo a berci un bicchiere di Cerasuolo in quella piccola bettola che sta all’incrocio con la via che porta in paese. Sarà comunque una bella mattina.
( di Domenico Valter Rizzo )

*(Giornalista – gia membro della segreteria regionale della FGCI siciliana negli anni ’80)

Io voglio ricordare
Pio La Torre, comunista,
ammazzato dalla mafia


mercoledì 27 agosto 2008

Questa volta il nemico è l’insegnante meridionale (e la scuola al Sud è un miracolo)


Forse non è il caso di scomodare Adolph Hitler ed il nazionalismo estremo del XX secolo che, nell’individuare in una minoranza interna (in quel caso con l’antisemitismo) il nemico, il problema della modernità, il piombo nelle ali di una società in crisi, giunse a teorizzare e realizzare il genocidio.

Forse non è il caso di rammentare il fascismo, come fa perfino Famiglia Cristiana, per commentare le uscite della carneade Mariastella Gelmini contro gli insegnanti meridionali che una volta di più nascondono quanto di grave si sta per abbattere sul paese, quel federalismo contro il quale è necessario opporsi.

Una volta di più, l’infantile idiosincrasia non solo italiana dell’individuare un diverso, inferiore, al quale dar la colpa di colpe proprie, emerge come l’essenza di quel concentrato di grettezza, opportunismo, luoghi comuni, egoismo, vigliaccheria, rapacità, arretratezza mascherata da modernità, che è alla base dell’ideologia che per comodità chiamiamo berlusconismo.

Berlusconismo che si conforma su due ali. Da una parte vi è quella leghista, che è la variante più gretta e recessiva, fatta di milioni di Mastro don Gesualdo padani, che temono di essere fregati più di quanto aspirino a fregare il prossimo. Dall’altra c’è quella italoforzuta che del leghismo è la variante ottimista, che le studia tutte per conquistare meschini vantaggi per sé e per i suoi, anche minimi, anche a costi umani altissimi, anche a costo della disgregazione del paese. Entrambe le ali hanno bisogno del nemico.

In principio i nemici furono i lavoratori meridionali, che puzzavano, perché costruivano col sudore del loro lavoro salariato a basso costo la ricchezza della nazione. Quindi fu Roma ladrona, che succhiava il sangue alla società padana perfetta, quella che risciacquava i panni nel dio Po e metteva le insegne delle strade in bergamasco come antidoto alla propria chiusura mentale. Poi furono gli immigrati extracomunitari, i negri. Quindi gli albanesi da incolpare dei più efferati delitti familiari. Ricordate Erica e Omar o Roberto Spaccino e tanti altri assassini che beneficiarono di fiaccolate col pilota automatico in loro difesa.

Quindi è stato il turno dei cinesi, quelli che violando i diritti dei lavoratori obbligavano controvoglia gli imprenditori padani (perfino gli assessori leghisti, come abbiamo appreso in questi giorni) a fare altrettanto e a modificare in peggio i rapporti di produzione a quegli stessi docili lavoratori che poi votano Lega. E se non ci credevano allora la colpa era dell’Europa, e dell’Euro di Prodi. Gestito da Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi l’Euro di Prodi divenne il più grande trasferimento di risorse della storia dai lavoratori salariati a quelli autonomi. Tra poco sarà il secondo più grande, superato dal federalismo fiscale. Basta dar la colpa ad altri e ripeterlo goebblesianamente all’infinito.

Quindi è toccato ai romeni, i nuovi meridionali, i nuovi negri, i nuovi albanesi, che hanno l’aggravante di confondersi con i rom, gli zingari, i rapitori di bambini che mai nella storia hanno rapito un solo bambino. E se ricordi che la responsabilità penale resta personale il leghista medio ti disprezza con un sorriso beota come fossi l’ultimo Azzeccagarbugli.

Al di sopra dei romeni ci sono solo loro: i più odiati, i musulmani, tutti terroristi, che non meritano nemmeno la costituzionale libertà di culto. Ma non importa chi è il nemico. Un nemico è necessario, un nemico serve sempre, come per George Bush. Un nemico qualsiasi, che fosse Saddam Hussein, Osama Bin Laden, Fidel Castro, Vladimir Putin o le patate fritte (alla francese, french fries, per gli statunitensi che le boicottavano). La logica è sempre quella, noi contro loro, mori e cristiani, noi i paesani di Pietro Maso siamo quelli sani, loro, i concittadini di Nicolae Mailat (l’assassino di Giovanna Reggiani), sono la malapianta da estirpare.

Noi contro loro perché è più facile da capire. Noi contro loro perché altrimenti non scatta la macchina del consenso. Noi contro loro perchè altrimenti i nodi del fallimento del neoliberismo verrebbero al pettine. Noi contro loro perché altrimenti dovremmo interrogarci sui limiti della nostra modernità, sulla perdita di valori, cultura, coscienza civile. Noi contro loro nell’illusione che il problema possa essere espulso e noi si possa riprendere la nostra età dell’oro bucolica interrotta dall’irruzione dello straniero.

Noi contro loro perfino quando la logica si ribalta, politica contro antipolitica e viceversa. Noi lavoratori autonomi che, come vuole Renato Brunetta, mandiamo avanti la baracca, contro loro, gli statali, i lavoratori dipendenti, i mangiapane a tradimento, i fannulloni da colpire, come se poi ci fossero famiglie dove entrambe le tipologie, autonomi e dipendenti, non convivano come convivevano serbi e croati prima di essere indotti a scannarsi tra loro.

Adesso, che l’obbiettivo è imporre il federalismo, si ritorna all’antico: tra tutti quanti, gira gira, è sempre il meridionale l’invasore più odiato, anche a costo di perdere qualche voto al Sud. Non sono i tagli del governo all’educazione a far diminuire la qualità della scuola -ha sostenuto Mariastella Gelmini- ma è la carta d’identità dei docenti la tara ereditaria, il cromosoma impazzito che segna il destino della scuola pubblica da smantellare.

Gli insegnanti meridionali sono cattivi, quelli settentrionali sono buoni, ne sono convinti in tutti i bar di Gallarate. Come per le medaglie olimpiche, che i meridionali alla fine hanno vinto in proporzioni simili ai settentrionali, nonostante abbiano meno piscine, meno palestre, meno stadi e meno opportunità, fa capolino la razza. La razza padana è più sana, più atletica, più lavoratrice, ed è circondata da popoli inferiori da schiavizzare nei capannoni, e da dominare, slavi, napoletani, africani, arabi. Mancano solo gli ebrei, ma per ora. Questo si chiama razzismo; smentite e fraintendimenti non contano.

E’ così idiota la pretesa della Ministra Mariastella Gelmini di classificare i docenti in base alla carta d’identità e non in base ai titoli e al lavoro, che non varrebbe neanche la pena di essere commentata, se non con una richiesta in aula di dimissioni immediate da parte dell’opposizione. Richiesta di dimissioni che non arriverà. E’ così idiota ma è l’ennesima cortina di fumo che abbiamo già segnalato, per nascondere i tagli e lo smantellamento della scuola pubblica. Chi scrive ha più volte denunciato come emergenza nazionale il fatto che un numero importante di insegnanti (meridionali e settentrionali) non meritino la cattedra, precaria o di ruolo, sulla quale siedono ed ha anche indicato un rimedio così drastico che nessun ministro metterà mai in pratica: giudicare ed espellere dalla scuola gli inefficienti. Ciò perché il paese forse si può permettere degli impiegati fannulloni, ma non può permettersi degli insegnanti seduti e senza stimoli.

Ammettiamo pure, ma non concediamo, che gli insegnanti meridionali delle scuole settentrionali siano migliori degli insegnanti meridionali delle scuole meridionali ma, proprio i dati OCSE-Pisa che cita il Ministro (disponibili a p. 2 del quotidiano la Repubblica) la smentiscono. Offro pochi numeri cercando di non complicare il ragionamento. Nello studio della matematica la media nazionale ha un coefficiente di 462 punti. La provincia di Bolzano è in testa con 513 punti e la Sicilia in coda con 423 punti. A guardar bene questi dati ciò vuol dire che la provincia di Bolzano, la migliore, ha una media di appena l’11% migliore di quella nazionale mentre quella peggiore, la Regione Sicilia è dell’8% inferiore alla media nazionale. Ovvero sono dati notevolmente coesi, molto più coesi della maggior parte dei dati che dividono Nord e Sud. Se parlassimo di reddito, per esempio, la questione meridionale in queste proporzioni sarebbe un ricordo o quasi.

Le conclusioni che se ne possono trarre sono varie, compresa quella che sono gli insegnanti meridionali a frenare le scuole settentrionali, ma emerge invece soprattutto il valore unificante che persiste nella scuola pubblica. Nonostante le differenze di reddito, di disponibilità di libri, di computer, di connessioni Internet, di occasioni di cultura, di strutture, laboratori, palestre siano tutte abissalmente a favore degli studenti del Nord, proprio la scuola meridionale, che fa le nozze con i fichi secchi, se non ancora con doppi turni e altre carenze croniche, tampona e rende minimo il ritardo, solo l’8% in meno nel caso peggiore (ma appena -4% la Lucania, -4.5% la Campania). Un vero miracolo questa scuola pubblica meridionale, che non abbassa la testa, sulla quale investire per ripartire e non tagliare, come invece vuol fare il governo coloniale padano installato a Roma con il beneplacito di quasi tutti gli italiani.

A parità di risorse e di contesto, la scuola meridionale è dunque paradossalmente più efficiente di quella settentrionale. Faceva notare il preside di un Liceo trentino che invitò un paio d’anni fa chi scrive per una conferenza, che la sua scuola aveva un bilancio triplo (1.5 milioni contro 0,5 milioni di Euro) rispetto a strutture equivalenti nel resto d’Italia. Se questo triplo di risorse si converte in appena un +11% allora è mal speso e chi invece fa nozze con i fichi secchi e riesce a restare indietro di appena una spanna, ha tutta la mia ammirazione.

La rozzezza della Gelmini serve una volta di più a nascondere il dramma: la scuola italiana va male perché ha sempre meno soldi, risorse, strutture, di quelle dei paesi dell’Europa Occidentale con i quali dovremmo competere, non perché gli insegnanti sono nati a Sud del Garigliano e del Tronto. Quella meridionale ha ancora meno soldi e viene tenuta in piedi da migliaia di eroici docenti (dai quali sottrarre una percentuale di sciagurati, che ci sono anche al Nord e verso i quali non si dovrebbero fare prigionieri). La scuola italiana e meridionale va male e andrà peggio perché la Ministra, che non conta nulla, è lì solo per coprire gli ulteriori tagli imposti all’educazione da chi veramente conta, Giulio Tremonti.

Questo deve disperatamente far cassa per quell’enorme piano Marshall in favore dei ricchi che sarà il federalismo fiscale con il quale Berlusconi pagherà la sua tangente a Umberto Bossi e al Nord contro il Centro e il Sud del paese. La cortina di fumo federalista è già pronta. Siamo tutti federalisti e sempre più spesso trovi conversi progressisti dialoganti sulla via di Garlasco: “sì, dateci solo la metà dei soldi, solo così impareremo a gestirli meglio”, come se davvero credessimo che i trasferimenti Stato-Regioni fossero una concessione del Nord al Sud, e come se facessimo finta di non capire che la conseguenza sarebbe in molte regioni la chiusura di scuole e ospedali e la scomparsa dello Stato dal territorio.

La Gelmini è costretta ad alzare un polverone alla settimana per far polemizzare sul nulla o quasi nulla destra e sinistra, come per il grembiule o il 7 (o 5) in condotta. E’ un gioco che abbiamo già scoperto. E invece bisognerebbe parlare di cose serie, per esempio di un partito unionista, apertamente antifederalista, che rivendichi le ragioni unitarie di un’Italia che dal federalismo ha solo da perdere. Siamo davvero così sicuri di essere tutti federalisti? Per contarci si potrebbe cominciare dal non dialogare con chi vuole distruggere la scuola pubblica, chiedendo le dimissioni della razzista Gelmini. ( di Gennaro Carotenuto )

La Vignetta è di kanjano

venerdì 22 agosto 2008

Clandestini nel suo capannone: nei guai un assessore leghista

I leghisti urlano contro l'immigrazione clandestina e nel frattempo sfruttano gli immigrati.

Predicano bene, ma razzolano molto male. I leghisti urlano contro l'immigrazione clandestina e nel frattempo sfruttano gli stessi immigrati per arricchirsi.

Faceva così anche Roberto Zanetti, assessore della Lega alle Attività produttive e presidente degli artigiani di Cartigliano, comune in provincia di Vicenza. Nel capannone di sua proprietà la Guardia di Finanza di Bassano del Grappa ha scoperto un laboratorio di confezionamento di abbigliamento con nove cinesi costretti a lavorare in condizioni pietose.

L'assessore adesso cerca di difendersi dicendosi sconcertato. «Questa storia mi toglie 10 anni di vita, io non ne sapevo niente»

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Dopo aver effettuato una serie di controlli nei giorni precedenti, i finanzieri della Compagnia di Bassano sono entrati in azione all'una di notte di mercoledì. Nell'immobile c'erano 9 asiatici. A finire in manette sono state la donna cinese che gestiva il laboratorio, immigrata regolarmente in Italia, e due operai sui quali pendeva già un provvedimento di espulsione, arrestati per violazione della legge (pensa un po') Bossi-Fini. Tre erano regolari, di altri tre non avevano documenti.

Gli operai lavoravano giorno e notte in mezzo a puzza e rumore. Ma nel capannone erano completamente segregati dormendo in due stanzette nascoste dietro un armadio con un solo e lurido wc. Gli otto vivevano come schiavi: lavoravano tutta la notte, non uscivano mai. La "direttrice", almeno, aveva una camera tutta per sè.

«Quando siamo arrivati hanno iniziato a correre e a gridare, ma la cosa che ci ha colpito di più - spiega il capitano Danilo Toma della compagnia di Bassano del Grappa - è stato il doppio fondo che abbiamo trovato su un muro. Da una botola si accedeva alle stanze, di cui una piccolissima, pochi metri quadri con i letti ammassati e un puzzo incredibile».

Per quanto riguarda la posizione dell'assessore, il capitano spiega: «Come il fratello, al momento non è indagato, anche perché il contratto di affitto era regolare». Difficile però credere che la famiglia Zanetti non fosse al corrente di cosa stesse accadendo nel capannone. «La casa dei Zanetti dista poche centinaia di metri», osserva il capitano. In più, non è la prima volta che nel profondo Nord est leghista vengono scoperti laboratori clandestini: «Di casi simili anche in zona ne abbiamo scoperti parecchi», ricorda il capitano.

Zanetti da parte sua cerca di difendesi. «La cinese titolare - spiega Roberto Zanetti - era venuta da noi la scorsa primavera; era stata costretta ad abbandonare la precedente sede, ne cercava un'altra e aveva saputo del nostro capannone. Era iscritta alla Camera di Commercio e, a quanto ci constava, i suoi dipendenti erano a posto con il permesso di soggiorno. Insomma, sembrava tutto in regola e abbiamo perfezionato la locazione, alla luce del sole».

Peccato che "alla luce del sole" però non lavorassero i cinesi. E Zanetti ne era al corrente. «Parevano invisibili - continua l'assessore vicentino - lavoravano di notte, come formiche, non disturbavano. Cosa combinassero là dentro, non lo sapevamo: avevano messo subito le tende alle finestre e non aprivano a nessuno. Consideravamo l'affitto che ci pagavano una sorta di compensazione: in fondo, è proprio per colpa della Cina che abbiamo cessato la nostra attività originaria».

È rimasto «sorpreso e sconcertato» anche il sindaco leghista di Cartigliano, Germano Racchella, nell'apprendere che il capannone dove è stato scoperto un laboratorio cinese clandestino è di proprietà di un suo assessore. «Una bella mazzata - commenta il primo cittadino - Sono sorpreso più come leghista che come sindaco», dice orgogliosamente. Racchella non ha ancora sentito il suo assessore e collega di partito Roberto Zanetti e non lo farà prima di sera. «Ho convocato una riunione - spiega il sindaco - vedremo cosa uscirà dall'incontro».

( di Massimo Franchi )

mercoledì 20 agosto 2008

Catania: 16enne tolto alla madre La motivazione: «È comunista»


Ed ora la militanza di sinistra diventa una discriminante sociale, anche per i fatti di famiglia. L'iscrizione al circolo Tienanmen dei Giovani comunisti (organizzazione giovanile del Prc) è tra le motivazioni del provvedimento con cui la prima sezione civile del Tribunale di Catania ha affidato sedicenne al padre anziché alla madre.

L'adesione del ragazzo al Tienanmen era stata segnalata dagli assistenti sociali, che hanno definito il circolo giovanile di Rifondazione un «gruppo di estremisti». Secondo il rapporto dei servizi sociali citato nella sentenza del Tribunale, ci sarebbe un adescatore maggiorenne, il segretario del circolo studentesco appunto, «che convince i ragazzi minorenni all’attivismo politico e all’iscrizione al gruppo». Peccato che nel circolo giovanile del Prc Tienanmen di Catania c’è una regola per la quale una volta compiuti i 18 anni bisogna iscriversi al circolo territoriale del partito. Come ci dice Pier Paolo Montalto, Segretario della federazione catanese del Prc, «l’attuale segretario ha 16 anni ed è un bravissimo ragazzo che ha fatto dell’antimafia e delle battaglie per la legalità una scelta di vita». «Se quello che è scritto sulla sentenza fosse confermato si tratterebbe di una discriminazione pesantissima – prosegue Montalto che tra l’altro è un avvocato – oltre ad essere una falsità disumana».

Il segretario provinciale del Prc continua: «La cosa più grave è che i servizi sociali hanno collegato la militanza politica all’uso di droghe e di sostanze psicotrope. Questo per noi è un insulto all’impegno quotidiano che i nostri ragazzi ogni giorno mettono in campo contro la mafia e le disparità sociali del nostro territorio, che sono tantissime – continua Montalto». Secondo il dirigente di Rifondazione «Il circolo studentesco è un “oasi felice” in una città dove forte è la criminalità giovanile e il disorientamento sociale». Conclude il segretario: «I giovani attivisti del circolo sono tutti ottimi ragazzi. Hanno tutti ottimi voti a scuola e sono impegnati nel volontariato sociale, altro che sbandati e pericolosi estremisti come li ha definiti il rapporto del Tribunale».

«Stiamo ancora cercando di capire i motivi che hanno spinto il tribunale a prendere questa decisione. Il ragazzo non si droga, non ha commesso reati. La cosa che ci ha colpiti è che viene citato come appartenente ad un gruppo estremista. Secondo noi è stato montato un caso sul nulla». Lo afferma l'avvocato Mario Giarrusso, legale di Agata Privitera, madre del ragazzo. Secondo il quotidiano "La Repubblica", che ha rivelato il caso, nelle loro relazioni gli assistenti sociali avrebbero affermato che il giovane «frequenta luoghi di ritrovo giovanili dove è diffuso l'uso di sostanze alcoliche e psicotrope», e definito i comunisti «estremisti». La vita del sedicenne inoltre sarebbe «senza regole». Nelle relazioni dei servizi sociali e nell'ordinanza del Tribunale inoltre si rimprovera alla madre di aver nascosto al marito che il ragazzo ha avuto «una irregolare frequenza scolastica» e di avere dato il suo beneplacito a «mancati rientri a casa». Il padre è un impiegato comunale, la madre è un medico. La donna è stata obbligata a versare 200 euro al mese al marito per il mantenimento dei figli e a lasciare la casa.

«Mio figlio va al mare e studia - dice la madre - ha avuto tre debiti al penultimo anno del classico in greco, latino e filosofia. Come può essere sereno con questa guerra in atto?». La coppia ha altri due figli, una ragazza che ha appena compiuto i 18 anni, che viveva con il padre ma che ora dopo aver compiuto la maggiore età è andata a vivere con la madre, ed un maschio di 12 anni, che è stato assegnato anch'egli al padre ma che vuole andare a vivere con la madre. «In questo momento il Tribunale per i minorenni di Catania sta decidendo se mandare il ragazzo in comunità, come richiesto dagli assistenti sociali. Con l'aiuto di alcuni consulenti - ha aggiunto il legale - stiamo cercando di preparare una richiesta al Tribunale per un riesame della vicenda»

Sulla vicenda è intervenuto anche il leader di Rifondazione Paolo Ferrero, ex ministro della Solidarietà sociale: «Nell'esprimere la mia piena a totale vicinanza e solidarietà a M.P. e a sua madre, ritengo necessario che venga affrontata e risolta la gravissima violazione costituzionale che si è verificata a Catania». E chiede l'intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «Che, nella loro relazione, i servizi sociali del comune di Catania trattino la militanza in Rifondazione Comunista come un fatto sostanzialmente illecito e negativo per un ragazzo è gravissimo e testimonia di pregiudizi incompatibili con l'espletamento di un pubblico servizio. Che la Prima Sezione Civile del Tribunale di Catania motivi una sentenza con le stesse argomentazioni non è solo gravissimo ma inaccettabile in uno stato di diritto», afferma Ferrero in un comunicato. «Ho quindi scritto al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano affinché nella sua veste di garante della Costituzione e di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura intervenga per porre rimedio a questa situazione inaccettabile».
(
di Marco Fillippetti )


Quando all’avvocato siciliano Mario Giarrusso è arrivata l’ordinanza del Tribunale di Catania che accusava il suo assistito di appartenenza a «gruppi estremisti», ha subito pensato a frange ultras di estrema destra o a movimenti neofascisti, in una città come Catania dove due anni fa lo stadio si trasformò in un teatro di guerra tra tifoserie, con dentro anche gruppi di estrema destra, che finì con l'omicidio del commissario Raciti. Invece in questo caso, il riferimento alle frange politiche più estreme era nientemeno che a Rifondazione Comunista, un partito che sarà pure finito fuori dal Parlamento ma che resta con una solida presenza nel territorio catanese e con solide tradizioni democratiche.

Il provvedimento in causa è un'ordinanza provvisoria del Tribunale civile di Catania che riguarda l'affidamento di un ragazzo di 16 anni conteso tra due genitori. Il giudice, decidendo di dare la tutela esclusiva del figlio al padre del ragazzo si è basato essenzialmente sul rapporto fatto dai servizi sociali comunali. E in base a quello ha anche assegnato la casa di proprietà della coppia ora "scoppiata" al genitore affidatario, cioè al padre, togliendo anche questa alla madre. Il tutto perchè la donna è stata giudicata non una buona educatrice, troppo permissiva o debole. Al punto da non opporsi a quelle "pericolose" frequentazioni del figlio, iscritto al circolo studentesco "Tienanmen", organizzazione di "facinorosi" giovani comunisti, del Prc.

«È incredibile come il giudice abbia tolto il figlio dalle braccia della madre esclusivamente basandosi sul rapporto dei servizi sociali senza che il giovane abbia mai avuto problemi con la droga o con l’alcool», dice l’avvocato catanese Mario Michele Giarrusso dopo aver letto l’ordinanza. «In più, ed è la cosa più grave, il giudice ha chiesto “in via d’urgenza” l’internamento in una comunità terapeutica se il giovane si rifiutasse di andare in affidamento dal padre – continua Giarrusso - il tutto senza alcun precedente giuridico per possesso di stupefacenti. Anzi – aggiunge l’avvocato – l’unico atto ufficiale di questa vicenda è un “drug test” (esame specifico per verificare la presenza di sostanze stupefacenti nel sangue ndr) fatto dal figlio alla Asl locale». E risultato negativo.

Nonostante il figlio si sia sottoposto al drug test proprio per dimostrare al padre che non si drogava, il rapporto dei servizi sociali accusa il giovane «di frequentare luoghi dove si fa uso di sostanze psicotrope ed alcool». E il più «estremista» di questi luoghi, a dire dal rapporto, è proprio il circolo studentesco di Rifondazione Comunista “Tienammen”.

Strana coincidenza. Perché anche il padre, secondo le dichiarazioni rilasciate dal figlio alla stampa, «odia i comunisti e pensa che se uno sia comunista faccia uso di droghe e sia uno sbandato». Come dire, se fosse un gioco di strategia lo slogan potrebbe essere: “come passare dal pregiudizio di un genitore al giudizio di un tribunale in poche mosse”.

Altro aspetto sconcertante dell’ordinanza è la totale mancanza di motivazioni reali che hanno portato all’esclusione della madre dall’affidamento. «Al primo posto il provvedimento riporta la posizione lavorativa della donna – dice l’ avvocato -. La signora è medico e nell’ordinanza c’è scritto che lavorando la notte non può badare in maniera adeguata al figlio. In più – dice Giarrusso – e questo è l’aspetto più inquietante, viene contestato alla madre che una volta ha portato il figlio a donare il sangue. Questo per il giudice – continua l’avvocato - sarebbe un gesto “non moralmente sano” per il giovane». «Aspetteremo le relazioni del giudice – conclude il legale - e chiederemo la revoca del provvedimento».

Il Tribunale di Catania nega di aver affidato il figlio al padre per motivi politici. «Nel provvedimento non c'è alcun riferimento diretto indiretto alla militanza politica del ragazzo o a luoghi di ritrovo riconducibili a movimenti politici», si difende Massimo Esher, giudice della prima sezione civile del Tribunale di Catania che ha firmato l'ordinanza di affidamento al padre del sedicenne. Il giudice aggiunge che «l'unico riferimento contenuto nel provvedimento riguarda la frequentazione del ragazzo relativa a luoghi di ritrovo giovanili dove è diffuso l'uso di sostanze alcoliche e psicotrope. Ma questi non sono riconducibili a partiti». Esher dice di non ricordare traccia della tessera comunista e che questa comunque, assicura, «non è stata presa in considerazione».

«È possibile - ammette il magistrato - che il padre abbia prodotto fotocopia di una tessera di appartenenza a un partito ma per noi questo è assolutamente indifferente». Nella patria di Lombardo e Scapagnini, degli ultrà con le croci celtiche, non si può far altro che credergli. Ma il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero, ex ministro, continua a nutrire un ragionevole dubbio che ci sia una discriminazione politica in questa decisione del giudice catanese. E chiede l'intervento nientemeno che del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

(di Marco Filippetti)



sabato 16 agosto 2008

Berlusconi III, già 100 giorni a difesa degli interessi. Suoi


Sono cento giorni che il Berlusconi III è al governo.
Tempo di celebrazioni per il Pdl, forse di pentimento per qualche suo elettore.



Chi, se non il Giornale (quello di famiglia, s'intende), poteva dedicare un'esaltante intervista a piena pagina al cavalier Silvio per festeggiare il ferragosto e i primi cento giorni di Berlusconi III? E così il direttore Mario Giordano è volato a Porto Cervo per farci sapere che il presidente del Consiglio quest'anno ancora non si è fatto vedere al Bar del Molo, la sua gelateria preferita. È impegnatissimo con i nipotini, ci riferisce lo stesso Giordano.

D'altronde lo ha spiegato lo stesso Cavaliere qualche giorno fa. Adesso ha un sacco di tempo libero, non passa più il sabato con i suoi avvocati a preparate memorie e trappole per i magistrati che lo indagano. Merito di una leggina che ha tenuto banco per due mesi, bloccando il Parlamento e il dibattito politico. Una leggina che, per salvare Berlusconi dai suoi processi, avrebbe bloccato decine di migliaia di processi pendenti. Alla fine il ministro Angelo Alfano (era assistente di Berlusconi in una delle sue aziende, adesso è ministro della Giustizia) si è inventato il "lodo" che porta il suo nome e Berlusconi ha la sua perfetta leggina ad personam (estesa, tanto per non incorrere nella Corte costituzionale, al Presidente della Repubblica e a quelli di Camera e Senato) che lo tiene al riparo da qualsiasi processo, passato, presente e futuro.

Naturalmente della leggina di Angelino (Alfano) non c'è traccia nell'intervista di Giordano, anche se Berlusconi si lancia in uno sperticato elogio dello stesso ministro, opportunamente servito da una domanda del direttore del Giornale. «Alla riforma della Giustizia sta lavorando il ministro Alfano. Qualcuno dice che, insieme con la Gelmini, è una delle migliori sorprese di questo governo», suggerisce Giordano ad un Berlusconi che non vede l'ora di rispondere: «Angelino Alfano non è una sorpresa, e non lo sono neppure la Gelmini, la Carfagna, Raffaele Fitto e gli altri "giovani". Nel governo con i ministri di esperienza e competenza ci sono questi giovani capaci, entusiasti, appassionati che si stanno mettendo in luce».

Naturalmente Berlusconi si fa grandi elogi per Napoli, per l'Alitalia e per la politica della sicurezza. Peccato che nessuno gli abbia detto che per tutte e tre queste cose la Commissione europea abbia avviato delle procedure di infrazione e che non abbia nessuna intenzione di accontentarsi delle parole di Berlusconi per fermarle. Per Napoli resta aperta la procedura davanti alla Corte di giustizia, per l'Alitalia è in corso l'indagine sul prestito ponte (senza parlare dei settemila licenziamenti ai quali dovrebbe portare i piano del Governo, contro i meno dei duemila dell'ipotesi Air France che era stata percorsa da Romano Prodi e sabotata dallo stesso Berlusconi). Mentre per la politica della sicurezza e per le impronte ai rom, anche ai bambini, oltre all'indagine europea per verificare che non vi siano politiche razziste o discriminatorie vi è una risoluzione di condanna del Parlamento europeo. Dei bellissimi cento giorni.

Noi, per aiutarvi a farvi un'idea più precisa di che cosa sia stato fatto e non fatto nei cento giorni di Berlusconi, ecco un e-book che abbiamo preparato: in 64 pagine c'è tutto quello che avreste voluto sapere sul governo, ma nessuno vi ha mai raccontato (a parte noi de l'Unità)

La Vignetta è di :

domenica 3 agosto 2008

Lunedì arrivano i militari. La polizia: operazione di facciata

Lunedì mattina, anfibie divise invadono le nostre città.
È il grande giorno dei militari in strada, quelli che secondo il governo berlusconi dovrebbero risolvere ogni paura e insicurezza dei cittadini italiani. Tremila soldati sul piede di guerra, a sorvegliare non tanto obiettivi sensibili, visto che nessuno ci minaccia, ma a tener d’occhio piazze, stazioni, parchi e panchine.

Ad essere militarizzate saranno soprattutto le grandi città, Roma, Milano, Napoli. Ma i soldati gireranno anche per le strade di Bari, Catania, Padova, Palermo, Torino e Verona. I ministri Maroni e La Russa hanno siglato la loro intesa lo scorso 29 luglio: tempo sei mesi, dicono, è tutto tornerà tranquillo e controllato. Se qualcuno oserà ancora alzare la testa, aggiungono, lasceremo i militari in strada per un altro mezzo anno.
Il tutto alla modica cifra di sessanta milioni di euro
(trenta per quest’anno e altrettanti eventualmente per l’anno prossimo).

Peccato che, per trovare i soldi, il governo abbia fatto casa non solo con lo Stato sociale (scuola, sanità, garanzie per i precari, pensioni) ma con le stesse forze dell’ordine.
Alla faccia della sicurezza.

Dopo la manifestazione del 17 luglio scorso a cui hanno aderito per la prima volta tutti i sindacati delle forze di polizia e i Cocer del comparto Sicurezza e Difesa, ora è addirittura il Sap, il sindacato autonomo di polizia considerato vicino al centrodestra, ad attaccare l’operato del governo. «L'esecutivo di Berlusconi, Tremonti e Brunetta – scrive Nicola Tanzi, segretario generale del Sap – tira dritto per la propria strada e sbatte ancora una volta la porta in faccia alle forze dell'ordine e alle forze armate, con la conversione in legge al Senato, attraverso il meccanismo della fiducia, del decreto legge 112/2008».

Si tratta appunto della famigerata manovra economica che potrebbe essere approvata definitivamente già il prossimo martedì: «Per il comparto Sicurezza e Difesa non c'è niente – prosegue Tanzi – e lo diciamo con una delusione mista a rabbia, perché questo governo ha vinto le elezioni promettendo maggior sicurezza agli italiani e non inutili operazioni di facciata, come l'impiego dei militari». (Fonte:l'Unità.it)

La Vignetta è di : TOTO' CALI'

venerdì 1 agosto 2008

Ma il Partito Democratico esiste?

Governa regioni, ha centinaia di deputati in parlamento, offre decine di migliaia di strapuntini di potere, di impieghi e impiegucci a uomini, ominicchi e a tanti quaquaraqua (ed equivalenti femminili) ma il Partito Democratico non esiste. Nello specifico mi riferisco al caso drammatico di Eluana Englaro,


sul mantenimento in stato vegetativo del povero corpo della quale la classe politica (per compiacere il Vaticano, ovvio) sta tenendo un comportamento analogo allo squadrismo.
Chi scrive non prende alla leggera il problema, e come per
Piergiorgio Welby, non pensa che ci siano soluzioni facili né ovvie a questioni così drammatiche concernenti l’essenza della nostra modernità.
Resto del tutto sconcertato nell’apprendere la decisione del PD di astenersi nel merito del conflitto creatosi tra Parlamento e Cassazione che è in realtà un conflitto non di attribuzione ma tra chi vuole permettere un scelta (la Cassazione) e chi (il Parlamento) invece vuole -impedendo di scegliere- prolungare indefinitamente l’agonia e compiacere così l’altra sponda del Tevere.
Neanche sottotraccia resta il conflitto tra laici e teocons del PD che la pensano all’opposto su quasi tutto e il prodotto è quest’astensione laddove lo stato di diritto (non la mera laicità) viene difeso solo da Antonio di Pietro e dai radicali.
C’è quasi da gioire che governi Silvio Berlusconi. Un PD incapace di scegliere su qualunque questione etica semplicemente non è abile a governare e si condanna da solo a una novella Conventio ad excludendum.
Ma un partito incapace di scegliere esiste?
(Questo articolo è di Gennaro Carotenuto)