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lunedì 1 settembre 2008

Italia - Libia: Ancora sulla pelle dei migranti

Si chiude il contenzioso coloniale tra Italia e Libia.
Previsti rimborsi miliardari al governo di Qaddafi.
Porte aperte agli investimenti italiani a Tripoli e via libera ai pattugliamenti congiunti anti immigrati.

L'accordo è stato firmato a Benghazi il 30 agosto 2008 dal primo ministro italiano Silvio Berlusconi e dal leader libico, il colonnello Mu'ammar Qaddafi.
Nel dettaglio, il testo prevede un rimborso di cinque miliardi di dollari in 20 anni e la realizzazione di un'autostrada costiera che attraversi la Libia dall'Egitto alla Tunisia. Saranno inoltre finanziate borse di studio per giovani libici e un risarcimento per i mutilati dalle mine dell'epoca coloniale. La firma dell'accordo servirà inoltre a sbloccare i pattugliamenti congiunti anti immigrazione previsti dal protocollo siglato dall'allora ministro dell'interno Giuliano Amato, a Tripoli, lo scorso 29 dicembre 2007, in nome della continuità tra centro-destra e centro-sinistra in materia di controllo delle frontiere, e non solo... Dietro la partita dell'immigrazione infatti, si gioca una partita molto più grande: quella degli idrocarburi.

L'accordo ha una portata storica. Da un lato riconosce le responsabilità italiane per i crimini commessi durante la guerra in Libia, specialmente dopo l'invio in Libia, nel 1921, del generale Rodolfo Graziani, responsabile di massacri di civili, e deportazioni di intere popolazioni in campi di concentramento. E, caso unico nella storia del colonialismo, stanzia un importante risarcimento a una ex colonia. Dall'altro lato però riabilita a livello internazionale un regime come quello di Qaddafi, all'unico fine di aprire una nuova stagione di rapporti commerciali tra i due Paesi. La Libia giace su un mare di petrolio e ha bisogno di investimenti e infrastrutture. L'Italia ha bisogno di idrocarburi e non vuole certo farsi sfuggire un così ghiotto boccone.

Da tempo Italia e Libia sono legate da stretti rapporti economici, soprattutto nel settore energetico. Tra gennaio e aprile del 2008, secondo l'Ice (Istituto nazionale per il commercio estero) l'Italia ha importato dalla Libia petrolio e gas per un valore complessivo di 5,23 miliardi di euro, con un aumento del 50% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Allo stesso tempo, l'Italia ha esportato in Libia prodotti petroliferi raffinati per 367 milioni di euro nei primi quattro mesi del 2008. L'Eni è presente in Libia dal 1959 e ha recentemente rinnovato i suoi contratti di esplorazione e produzione su petrolio e gas fino al 2042. Nel 2006, la produzione di idrocarburi in quota Eni in Libia è stata l'equivalente di circa 222.000 barili al giorno. Italia e Libia sono strettamente connesse anche grazie al gasdotto di 520 km Green Stream, tra Mellitah e Gela, la cui capacità passerà presto da 8 a 11 miliardi di metri cubi l'anno. Altri affari milionari riguardano Bnl nel settore bancario, Alenia Aermacchi e Agusta-Westland nella fornitura di 24 elicotteri, e infine Sirti e la milanese Prysmian Cable & Systems nel settore delle telecomunicazioni.

Montagne di denaro che copriranno in modo più che sufficiente le accuse mosse contro la polizia di Qaddafi, accusata da Human Rights Watch, Amnesty International e Fortress Europe di abusi e torture ai danni di migranti e rifugiati di transito in Libia. Fatti di cui lo stesso prefetto del Sisde, Mario Mori, parlava già nel 2006 in una audizione al del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti: in Libia – dichiarava - i clandestini vengono accalappiati come cani, messi su furgoncini pick-up e liberati in centri di accoglienza dove i sorveglianti per entrare devono mettere i fazzoletti intorno alla bocca per gli odori nauseabondi...

L'Italia sapeva e sa tuttora cosa succederà alle migliaia di migranti che saranno riammessi in Libia dai pattugliamenti congiunti. Ma sulla bilancia commerciale, il loro destino vale zero virgola zero. E su quella dell'ipocrisia vale ancora meno. Il governo ha già annunciato che chiederà l'ingresso di 170.000 lavoratori stranieri entro fine anno. In Sicilia nel 2007 ne sono sbarcati circa 20.000. Meno di un ottavo. Molti si sono imbarcati unicamente per trovare un lavoro migliore. Ma niente si fa, a livello europeo, per garantire canali legali di mobilità per far incontrare domanda e offerta di lavoro. E niente si fa per garantire un corridoio umanitario a quelle migliaia di rifugiati – somali, eritrei, sudanesi – bloccati in Libia, i quali per vedere riconosciuti i propri diritti dalla civile Europa, devono prima rischiare la vita tra le onde del Mediterraneo. Non avendo altra scelta, continueranno a partire. E dovendo evitare i nuovi dispositivi di pattugliamento, navigheranno su rotte più lunghe e pericolose, andando ad allungare la lista dei morti nel Mediterraneo.

( Dal blog di Gabriele Del Grande- Fortress Europe )

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Nuove intese tra Italia e Libia - Ancora sulla pelle dei migranti

di Fulvio Vassallo Paleologo - Università di Palermo

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