Ascoltate Josè Saramago intervistato da Serena Dandini

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mercoledì 25 novembre 2009

L’Italia respinge altri 80 esseri umani nelle mani dei carcerieri libici

Il 23 e il 24 Novembre i ministri dei paesi del Mediterraeno Occidentale (tra cui Malta (dove si viene imprigionati per più di un anno anche se si è bambini, anche se si è dei rifugiati), la Libia (che nelle sue prigioni finanziate dal governo italiano, dove l’Italia respinge illegalmente i richiedenti asilo politico, le persone vengono torturate, a volte uccise, deportate , la Tunisia, la Mauritania, ma anche la Spagna e il Marocco (che hanno collaborato nell’uccisione a freddo di decine di migranti alla frontiera tra le enclaves di Ceuta e Melilla), si sono riuniti a Venezia, barricati sull’isola di San Servolo per parlare di sicurezza e di contrasto all'imigrazione.

Le associazioni veneziane antirazziste avevano chiesto l’autorizzazione ad esprimere il loro pacifico dissenso.
Dall’Accademia sarebbe dovuta partire una barca verso San Giorgio, per una simbolica performance di sensibilizzazione e denuncia.

Tutto era autorizzato fino alle sette della sera prima; a quell’ora, infatti, chi aveva chiesto l’autorizzazione è stato riconvocato d’urgenza in questura per sentirsi dire che le cose erano cambiate, che il Ministro degli Interni, in modo perentorio, diretto e insindacabile, aveva vietato la parte acquea della manifestazione.
Ok, niente barca, niente bacino, ma il presidio sì, con le concordate forme pacifiche e creative.

Questi gli accordi presi fino alla sera prima.

Ma ieri all’Accademia la polizia era di altro avviso:
"se tirate fuori i manichini dobbiamo intervenire" dice subito il dirigente Digos, mentre degli "inviati" romani, mandati direttamente dal Ministero, restano ai margini a controllare, a valutare anzi, la condotta dei loro colleghi della Questura di Venezia, visibilmente imbarazzati di fronte ad ordini così ingiustificabili: caricare una manifestazioni autorizzata perché a Maroni danno fastidio tre manichini di cartapesta e tutto quello che possono evocare e rappresentare.




Una donna incinta, un bambino e un padre, il più alto misura un metro e venti. Una famiglia di carta pesta

I manifestanti, società civile di tutte le età, a volto completamente scoperto, signore e studenti, con le mani alzate, si ritrovano nella grottesca, incredibile situazione di dovere difendere coi loro corpi dei manichini di carta.

La polizia si avvicina, schiaccia i manifestanti dopo averli circondati da tutti i lati.





Si cerca di impedire che le telecamere della Rai e i giornalisti locali possano filmare o fotografare i tre manichini. Tanto fastidio danno questi simboli di dissenso e solidarietà, di "pietas" e di denuncia. La polizia si avvicina, hanno l’ordine chiaro di caricare. Alzano i manganelli, si mettono i caschi, schiacciano i corpi dei manifestanti con i loro scudi. parte qualche colpo, viene strappato il microfono a chi stava denunciando questo ingiustificabile attacco alla democrazia, alla libertà di pensiero e parola.
Ma la parte coraggiosa e civile di una Venezia che difende i suoi veri valori riesce a mostrare cosa significa veramente disobbedire a delle imposizioni ingiustificabili. Troppi giornalisti esterrefatti, troppa gente che si ferma in solidarietà vedendo quella violenza scagliarsi addosso a una manifestazione del genere. La polizia deve allontanarsi, il microfono torna in mano a chi sta conducendo questa battaglia di civiltà. I manichini vengono salvati e fotografati. Solo uno, il papà, è stato "arrestato", forse per reato di immigrazione clandestina commesso da un cadavere di carta pesta.
Alla fine sono i manifestanti stessi a consegnare alla polizia i manichini: li volevate tanto? Noi adesso, decidiamo di consegnarveli. Questo è un bambino morto di fame, freddo e disidratazione il 10 agosto del 2009, su una barca, sotto gli occhi del Ministro che voi oggi avete difeso anche a costo di mettervi contro le più elementari norme di democrazia di questo paese alla deriva.

Per la galleria fotografica e l'articolo completo vai su globalproject.info


Era il 20 agosto del 2009 quando la guardia di finanza italiana riportava a terra cinque eritrei intercettati in mare, a largo di Lampedusa. Erano una donna, due uomini e due ragazzini. Nei loro occhi restava l’orrore di una tragedia appena vissuta. Raccontavano, con un filo di voce, che nella loro barca c’erano tante, tante altre persone. Rimasti in mezzo al mare per giorni e giorni, mentre i governi europei discutevano su chi dovesse occuparsi di loro e i pescherecci di tutti i paesi del Mediterraneo facevano finta di niente. Morti uno ad uno, 73 cadaveri scivolati nel mare, anche quattro donne incinte, e i loro figlioletti nati prematuri e senza vita.

Non si è trattato di un incidente, ma di un omicidio indiretto e con moltissimi responsabili.

Non si è trattato di un caso isolato, ma solo di uno di quei pochi che emergono all’attenzione mediatica mentre infiniti altri rimangono nel silenzio.


ATTENZIONE !!!!

Ancora un respingimento collettivo verso la Libia.



Nella mattina del 24 novembre si è appreso dai notiziari Rai regionali che un gommone con 80 migranti che navigava in direzione di Lampedusa è stato intercettato in acque internazionali e ricondotto in Libia da due motovedette appartenenti al gruppo di imbarcazioni che nel mese di maggio l’Italia aveva donato alla guardia costiera libica, garantendo la formazione degli equipaggi e instaurando un comando centrale di coordinamento delle operazioni di respingimento, sulla base dei protocolli firmati a Tripoli nel 2007, poi finanziati dal Trattato di amicizia firmati da Berlusconi nell’agosto del 2008.
All’operazione di respingimento avrebbero partecipato anche due unità della marina maltese che avrebbe la competenza per il salvataggio ed il soccorso in quella zona del canale di Sicilia. Malta ha concluso da tempo un accordo con la Libia che prevede i respingimenti collettivi delle imbarcazioni cariche di migranti provenienti da quel paese ed adesso presta la sua fattiva collaborazione alle operazioni di respingimento disposte dal comando centrale italo-libico.

Un respingimento che rigetta verso le prigioni di Gheddafi, nelle mani di forze di polizia che sono ben note per gli abusi e la corruzione, ma con le quali i nostri agenti di collegamento collaborano quotidianamente, migranti che avrebbero avuto diritto ad entrare nel nostro territorio per presentare una domanda di asilo, come afferma anche la Corte di Cassazione che comprende nel diritto di asilo previsto dalla Costituzione anche il diritto di ingresso nel territorio.
Un respingimento delegato alle motovedette libiche, ma al quale hanno certamente partecipato, a livello di tracciamento e individuazione del gommone in rotta verso Lampedusa, anche la marina militare italiana, e la guardia di finanza, inserite nel sistema unico di coordinamento previsto dal protocollo d’intesa con la Libia richiamato nel Trattato di amicizia del 2008.

Nessun giornale, ancora una volta, darà notizia di questo respingimento, mentre uno spazio minimo viene dedicato dalla stampa locale all’arresto di cinque eritrei colpevoli di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni per essersi allontanati dal centro di accoglienza di Pozzallo, mentre altri naufraghi venivano arrestati con l’accusa di essere scafisti. Questo è il solo volto che l’Italia mostra oggi ai migranti, con la chiusura delle strutture e dei progetti di accoglienza e con l’inasprimento della sanzione penale dell’ingresso irregolare, l’univa via per entrare nel nostro paese per tante persone in fuga da guerre e persecuzioni.

2. Si continua a registrare dunque un silenzio tombale sulla questione dei respingimenti nelle acque internazionali del canale di Sicilia e dalle frontiere portuali dell’Adriatico. Nella gestione quotidiana dei rapporti tra Italia, Libia e Tunisia in materia di contrasto dell’immigrazione irregolare, le scelte maturate negli anni passati, talvolta anche sulla base di accordi di “solidarietà nazionale”, fino alla approvazione del Trattato di amicizia con la Libia, stanno coprendo di vergogna e di ridicolo il governo italiano e le autorità militari che ne eseguono gli ordini. Vergogna per le gravissime violazioni dei diritti umani, anche ai danni di minori e vittime di violenza, ridicolo per la evidente sproporzione tra l’enfasi degli annunci ed i risultati conseguiti, soprattutto quando si parla di “blocco” della rotta di Lampedusa. Una misura che se ha fatto diminuire in modo significativo il numero degli immigrati che annualmente entrano in Italia “senza documenti”, ha sbarrato la strada a migliaia di richiedenti asilo o altre forme di protezione internazionale, la maggior parte di quelli fino ad oggi arrivati a Lampedusa, in fuga dai lager di Gheddafi.

Ma questo, per Maroni , è un “successo storico”, un risultato del quale vantarsi.

Non è bastata neppure ad interrompere i respingimenti in acque internazionali la denuncia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati che ha accusato la Marina militare di gravi abusi ai danni dei migranti recuperati nel Canale di Sicilia da unita militari battenti bandiera italiana, e dunque territorio nazionale, prima di riconsegnarli alle autorità libiche. Le autorità italiane si sono limitate a modificare le procedure ed a riconsegnare i naufraghi alle motovedette libiche ai confini delle acque territoriali, senza arrivare più a sbarcare i migranti entrando direttamente nel porto di Tripoli come avvenuto nei giorni 7 ed 8 maggio di quest’anno. Un caso nel caso, sul quale dovrà pronunciarsi adesso la Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Anche le critiche tardive giunte dall’attuale opposizione sono state ignorate. Non si può dimenticare del resto, proprio alla luce di quanto sta facendo l’attuale governo italiano, un autentico massacro preordinato di esseri umani, che la collaborazione con la Tunisia e la Libia, con la esternalizzazione dei controlli di frontiera, ed il blocco a mare delle imbarcazioni dei migranti, risale a molti anni fa, e precisamente al 1998 con Napolitano come ministro dell’interno, autore dei primi accordi di riammissione con la Tunisia, e poi dal 2003 in poi con Prodi, presidente della commissione Europea e quindi capo del governo italiano nel 2006, sempre con l’appoggio di Napolitano, allora sostenitore degli accordi con la Libia, come documentato da un articolo del Corriere della sera del 19 settembre 2004, pochi mesi dopo il caso Cap Anamur, e appena qualche giorno prima dei respingimenti collettivi da Lampedusa verso la Libia, poi condannati dal Parlamento Europeo. Il governo Prodi non era riuscito neppure ad abrogare quell’infame decreto ministeriale del 14 luglio del 2003 che, in attuazione delle modifiche introdotte nel 2002 con la legge Bossi-Fini, prevedeva il “respingimento” delle imbarcazioni cariche di migranti “ verso i porti di provenienza”, una legalizzazione dei respingimenti collettivi vietati da tutte le convenzioni internazionali, oltre che una violazione palese dell’art. 10 della Costituzione italiana. Ed il Trattato di amicizia con la Libia è stato approvato nel febbraio del 2009 con il voto di quasi tutta l’attuale opposizione.

3. Gli attuali governanti italiani si sentono forti di un consenso elettorale “estorto” sull’onda della paura e dell’egoismo sociale, alimentando le peggiori fobie di una parte ( di fatto) minoritaria della popolazione, sfruttando le conseguenze di una crisi economica di cui sono i primi responsabili e che invece si vuole scaricare sugli ultimi arrivati. Ed adesso questi rappresentanti di un Italia sempre più chiusa e razzista, si sentono autorizzati a violare Costituzione, Convenzioni internazionali, ed anche Regolamenti Comunitari, come il Codice delle Frontiere Schengen del 2006, normativa vincolante nel nostro paese, ma elusa sistematicamente non solo nelle acque del Canale di Sicilia, ma anche alle frontiere portuali dell’Adriatico ( Venezia, Ancona, Bari, Brindisi) con i respingimenti “informali” di minori e potenziali richiedenti asilo verso la Grecia. I sondaggi valgono ormai più della Costituzione e degli impegni internazionali. E gli appelli del Presidente della Repubblica alla “coesione nazionale” rafforzano l’arroganza di chi gestisce la politica dei respingimenti sapendo di potere contare su una parte dell’opposizione che ha spianato la strada agli accordi di respingimento collettivo verso i paesi nordafricani.

Nelle acque del canale di Sicilia l’arretramento delle posizioni della Marina militare italiana, prima dislocata più a sud, anche in funzione di salvataggio dei barconi carichi di migranti, e il maggiore ambito di azione nelle acque internazionali, riconosciuto alle motovedette a bandiera libica ( ma a bordo non dovevano esserci anche militari italiani?) stanno chiudendo la via di fuga ai potenziali richiedenti asilo, ma stanno anche tagliando le possibilità di pesca e dunque di sopravvivenza dell’intera marineria di Mazara del Vallo, alla quale partecipano, tra gli altri, numerosi lavoratori tunisini. I militari libici si sono permessi una facile ironia, ricordando alcuni mesi fa agli ultimi pescatori mazaresi vittima di un sequestro, bloccati anche durante il viaggio di ritorno in Italia, che i mezzi che condurranno in futuro nei porti libici le unità da pesca italiane che dovessero essere sorprese a più di 73 miglia a nord del confine libico, saranno proprio le motovedette fornite dall’Italia alla Libia per contrastare l’immigrazione clandestina.

4. I respingimenti “informali” in acque internazionali, come la pratica delle “riammissioni” verso la Grecia, denunciata da tempo alle frontiere portuali dell’Adriatico violano il diritto a entrare o a rimanere ( se a bordo di una nave battente bandiera italiana) nel territorio italiano per il tempo necessario per l’accertamento dell’età, per il tempo necessario per l’esame della domanda di protezione internazionale, per verificare se comunque la persona si trova in una situazione di inespellibilità, alla quale va equiparato il divieto di respingimento (refoulement).

Le pratiche di respingimento da parte della polizia marittima, a terra come a mare, al di là della ambigua formulazione dell’art. 10 del T.U. sull’immigrazione del 1998, violano diverse disposizioni della Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia del 1989, delle Direttive comunitarie in materia di accoglienza (2003/9/CE), di qualifiche (2004/83/CE) e di procedure di asilo( 2005/85/CE) relative ai richiedenti protezione internazionale, il Regolamento delle frontiere Schengen del 2006, oltre che le disposizioni interne di attuazione. Presto anche la Commissione Europea potrebbe aprire una procedura di infrazione a carico dell’Italia per la violazione reiterata del diritto comunitario in materia di asilo, protezione internazionale e controllo delle frontiere.

Ma le condanne più gravi arriveranno ( e in qualche caso sono già arrivate) dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. E’ bene che i nostri governanti sappiano che per quanto siano lunghi i tempi per la conclusione dei processi, queste condanne stabiliranno la responsabilità di mandanti politici ed esecutori militari, malgrado i tentativi dilatori posti in essere per eludere le richieste di informazione da parte della Corte. Potranno fare sparire i corpi delle vittime degli abusi, ma questo non potrà che aggravare le responsabilità di chi ritiene di potere violare impunemente la Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo.

Ma quello che è più grave, e che non si era mai verificato in precedenza, è che oggi viene messa in discussione dal governo italiano, oltre alla giurisdizione della CEDU, anche la stessa possibilità effettiva di presentare un ricorso individuale alla Corte di Strasburgo. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, seconda Sezione, il 18 novembre 2008, ai sensi dell’articolo 39 CEDU ha ravvisato la possibile violazione dell’art. 34 CEDU intimando allo Stato italiano di sospendere l’espulsione di un cittadino afghano verso la Grecia fino al 10 dicembre 2008 (CEDH-LF2.2R, EDA/cbo, Requete n°55240/08, M. c. Italie). Lo stesso diritto di ricorso effettivo viene negato ai migranti bloccati nelle acque del canale di Sicilia e riconsegnati alle motovedette libiche, esattamente come ai migranti afghani ed irakeni respinti “senza formalità” dalle frontiere portuali dell’Adriatico verso la Grecia.

Nelle concrete modalità di esecuzione delle misure di “riammissione” in Grecia ed in Libia si riscontra infine una violazione del divieto di espulsioni collettive (nelle quali vanno compresi anche i casi di respingimento collettivo) sancito dall’art. 4 del Protocollo 4 allegato alla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo. Lo stesso divieto è ribadito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Certo, si tratta di casi nei quali non è facile fornire prove documentali, e appunto per questo i respingimenti vengono effettuati “senza formalità”, e in ogni caso non è agevole trovare nei paesi di transito come la Libia o la Tunisia avvocati indipendenti, in modo da far sottoscrivere una procura per una denuncia o per un ricorso. Per questo sollecitiamo la responsabilità di tutte le agenzie internazionali preposte alla prevenzione, oltre che alla sanzione, delle violazioni dei diritti fondamentali della persona, che operano nei paesi di transito.

Di fronte alla gravità ed al ripetersi delle procedure di riammissione verso la Libia e la Grecia occorre individuare forme di rappresentanza collettiva delle tante vittime delle procedure amministrative di immediato respingimento verso i porti di provenienza che sarebbero eseguite ai sensi dell’art. 10 comma 1 del Testo Unico sull’immigrazione del 1998, una norma che dovrebbe essere spazzata via da un rigoroso controllo di costituzionalità.

Vanno costruiti rapporti con le famiglie delle vittime dell’immigrazione clandestina, anche al fine di garantire la prosecuzione dei processi davanti alle corti internazionali, una volta che i migranti, magari dopo avere fatto ricorso, vengano fatti sparire” dalle autorità di polizia, per cancellare gli abusi che sono stati commessi e sui quali stanno indagando i giudici internazionali.
Per queste ragioni spetta alle organizzazioni non governative ed alle reti nazionali dei migranti presenti in Italia, creare una rete diffusa sul territorio nazionale, ed anche nei paesi di origine e di transito, in modo da garantire un monitoraggio continuo, raccogliere la documentazione, diffondere le informazioni su quanto accade e ricorrere a tutti gli strumenti legali interni ed internazionali per denunciare quanto sta avvenendo alle frontiere marittime dell’Adriatico e nel Canale di Sicilia.

Questo articolo è stato scritto da : Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo pubblicato sul sito www.meltingpot.org


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sabato 13 giugno 2009

Agrigento: Agenti in borghese aggrediscono extracomunitari, poco prima che iniziasse la manifestazione contro i respingimenti

Vi riporto quanto è accaduto ad Agrigento durante la manifestazione di adesione alla campagna nazionale, indetta da Fortress Europe, contro i respingimenti dei clandestini attuata dal governo italiano.
L' articolo è di Vincenzo Campo ,le fotografie sono state scattate da Tano Siracusa.

“Tutto pare assolutamente normale; è un pomeriggio di giugno, già estate, con le sue consuete lentezze e sonnolenze.

Armeggiamo intorno a una pedana e guardiamo il tecnico che combatte con cavi, fili, spine, prese, amplificatori… quello che servirà, fra poco, alla nostra manifestazione contro la cosiddetta linea dura del governo nei confronti degli immigrati, contro i respingimenti in mare, contro la consegna degli sventurati che tentano di venire qui al colonnello Gheddafi e ai suoi torturatori.

Poco più avanti i “vucumprà” con la loro mercanzia fatta delle solite cianfrusaglie: cinture , borsette, occhiali da sole, braccialetti, occhiali per presbiti… loro sono là, come sempre, davanti alle loro cose, pronti a mercanteggiare per spuntare il prezzo migliore intanto che chiacchierano e ridono.

Tutto secondo la norma
Poi d’un tratto la normalità finisce e la flemma delle inconsapevoli comparse d’uno spettacolo assolutamente inatteso e decisamente fuori luogo s’interrompe e si fa attenzione stupita a quello che accade; tutto s’arresta e gli sguardi si rivolgono verso i neri rivenditori di cianfrusaglie, mentre il normale brusio delle chiacchiere di ognuno vie sopraffatto dal rumore d’un’azione repentina e inattesa.
Lo spettacolo comincia d’improvviso e ci mostra un’aggressione in piena regola su quegli sventurati colpevoli di vendere cianfrusaglie, ma senza la licenza e forse pure senza il permesso di soggiorno… delinquenti neri, extracomunitari, da respingere subito, senza por tempo in mezzo, proprio in quel momento,giusto mezz'ora prima che cominciasse la manifestazione contro i respingimenti.



Lo spettacolo è magnifico e d’un realismo incredibile: è la forza dell’autorità che si scatena sugli ultimi: una decina di uomini all’apparenza normali, bianchi, vestiti come noi, con gli abiti informali d’un ordinario pomeriggio d’estate, si avventano sui neri… non si capisce che accade…. La gente è preoccupata e sbigottita… i neri scappano, tentano di scappare, lasciando sul marciapiede la loro impresa abusiva, la loro piccola-grande ricchezza fatta di quelle quattro cose.
Ne acchiappano uno, forse altri due o tre più avanti ma non si vede, lo tengono in due e se lo portano…. a terra un paio di sandali lasciati da qualcuno in fuga, e
padre Gaspare, il missionario comboniano principale organizzatore della manifestazione che da lì a poco si svolgerà, che protesta a voce alta, grida il suo sdegno a quelli che sapremo dopo essere carabinieri, giustamente indignato e forse anche forte dell’abito che porta:
“Se arrestate lui dovete arrestare anche me
", urla.



Ci spostiamo dall’altra parte dei giardini, al comando dei carabinieri, e padre Gaspare entra e parla coi militari; Tano Siracusa viene identificato e invitato a rimanere lì, ma s’allontana spiegando che se non è sottoposto a un fermo può andare dove vuole.

Arrivano notizie contraddittorie: dicono, i militari, di non aver saputo della manifestazione, pur comunicata al questore e perciò consentita, dicono di avere eseguito non meglio precisati ordini superiori, di aver coordinato l’operazione con la polizia di stato, che la loro azione è necessitata dalle continue denunce dei commercianti regolari contro gli abusivi neri e forse clandestini…

Ce ne andiamo e torniamo alla nostra manifestazione; naturalmente, a parte quella decina di extracomunitari che è venuta lì con noi, non se ne vede uno di quelli che abitualmente stanno lì a Porta di ponte, a discorrere o a vendere braccialetti di perline infilate; naturalmente la paura ha avuto la meglio sul diritto e la ragione; ancora una volta, naturalmente, al presunto pericolo nero, all’incalcolabile danno che l’abusivismo del commercio di cianfrusaglie fa a quello regolare dei bei negozi della via Atenea, abbiamo saputo contrapporre la forza dell’autorità, i muscoli della legalità formale.

Quella stessa che non sappiamo o non vogliamo esercitare nei confronti degli autori palesi delle grandi frodi, dei brogli, degli scandali nazionali.

Giustizia è stata fatta: quel disgraziato è rimasto in caserma e ha lasciato sulla strada la ricchezza del suo piccolo commercio; sarà rilasciato e se non è regolare rimpatriato e il segnale è stato dato a chi ha la pretesa di solidarizzare coi neri, cogli arabi, coi berberi, coi magrebini irregolari e abusivi”.

(Vincenzo Campo)





Vi ricordo che dal 10 al 20 giugno : si svolgeranno 93 eventi in 57 città italiane, per dire no ai respingimenti.


LA LISTA COMPLETA DEGLI EVENTI IN PROGRAMMA




domenica 31 maggio 2009

La laurea honoris causa a uno che meriterebbe il carcere

La laurea honoris causa viene conferita dalle università a personalità che si sono distinte particolarmente e che, accettando il conferimento, ricevono e nello stesso tempo danno onore all’ateneo che li celebra.
Ebbene, l’Università di Sassari conferirà la laurea honoris causa in diritto, al Colonnello Gheddafi, AMICONE di Silvio Berlusconi, nonchè alleato nella politica di respingimento dei migranti messa in atto da Maroni.



La proposta viene dal professor Giovanni Lobrano, preside di Giurisprudenza, ed è stata approvata dal Consiglio di facoltà.

Giovanni Lobrano: "Il conferimento della laurea honoris causa al presidente Gheddafi da parte di una facoltà che si pone certamente in un contesto diverso da quelle islamico, contribuisce a un processo già in corso di dialogo e di conoscenza reciproca fra sistemi giuridici diversi ma convergenti nel Mediterraneo".

“Anche se ho proposto io la cosa e ho votato a favore - precisa il preside all’ADNKRONOS - e’ mia abitudine scientifica non attribuirmi meriti che non ho. Non posso definirla come una mia iniziativa ma sicuramente la proposta in facolta’ l’ho fatta io. Prima ne ho parlato con alcuni colleghi anziani e poi con il Magnifico rettore, Alessandro Maida. In particolare, ci siamo fatti carico di renderci conto se ci poteva essere una disponibilita’, una attenzione politico diplomatica per l’iniziativa. Poi veramente di piu’ non posso dire perche’ non si tratta di questioni personali di cui posso disporre. Su alcune cose sono veramente impegnato alla riservatezza”.

Insomma, Lobrano ammette che l’iniziativa non è interna alla facoltà, ma frutto di molti contatti in alto loco.

Del resto l’Italia si sta adeguando al sistema giuridico libico:
  • lo stesso trattamento indegno dei migranti
  • il non riconoscimento del diritto d’asilo
  • l'uso della tortura.
Rimandare i profughi in Libia significa riservare loro i diritti e le "libertà" del regime libico!

I 40 anni di regime del Colonnello Gheddafi, sono macchiati di sangue e gravi restrizioni delle libertà dei 6,3 milioni di cittadini libici.
A dirlo sono i rapporti sulla Libia firmati Amnesty International e Human Rights Watch, che parlano di prigionieri politici, di reati di opinione, di una diffusa impunità e di torture .

Nonostante la tortura in Libia è proibita dalla legge, di 32 detenuti libici intervistati da Human Rights Watch nel 2005, 15 erano stati torturati per estorcere confessioni poi utilizzate nei processi. Sarebbe pratica comune incatenare i detenuti per ore al muro, picchiarli con bastonate sulla pianta del piede, e sottoporli a scariche elettriche. Altre sevizie sarebbero le ferite inferte con i cavatappi sulla schiena, la rottura delle articolazioni delle dita, il versamento di succo di limone sulle ferite aperte, il tentato soffocamento con sacchetti di plastica, la privazione del sonno e del cibo, lo spegnimento di sigarette sulla pelle e la minaccia ravvicinata di cani ringhiosi.

La notizia ha fatto talmente scandalo che sta girando un appello tra i docenti contro la decisione dell'ateneo di Sassari.
Per aderire all'iniziativa, promossa dai Radicali, che sulla questione hanno anche presentato una interrogazione parlamentare, basta scrivere a info@radicali.it



Gheddafi visiterà l’Italia dal 10 al 12 giugno. Una tappa storica, che segna il riallineamento di Roma e Tripoli. Gheddafi parlerà di affari, ma anche e soprattutto di immigrazione, e di respingimenti in mare. Chi conosce quale destino attende gli emigranti e i rifugiati respinti al largo di Lampedusa e imprigionati nelle carceri libiche, non può rimanere indifferente e complice. Per questo siamo tutti invitati a manifestare il nostro dissenso, per non rimanere indifferenti, e per essere migliori di chi ci rappresenta.
Partecipiamo alla campagna nazionale :





venerdì 8 maggio 2009

"Li avete mandati al massacro, in quei lager stupri e torture"

Le lacrime di Hope e Florence per i disperati riportati in Libia: i nostri mesi all’inferno

da Repubblica.it dell’8 maggio 2009

di Francesco Viviano
Il racconto. Tra le reduci del Pinar: meglio morire che tornare lì "Voi italiani siete buoni, come potete fare una cosa del genere?"

"Li hanno mandati al massacro. Li uccideranno, uccideranno anche i loro bambini. Gli italiani non devono permettere tutto questo. In Libia ci hanno torturate, picchiate, stuprate, trattate come schiave per mesi. Meglio finire in fondo al mare. Morire nel deserto. Ma in Libia no". Hanno le lacrime agli occhi le donne nigeriane, etiopi, somale, le "fortunate" che sono arrivate a Lampedusa nelle settimane scorse e quelle reduci dal mercantile turco Pinar. Hanno saputo che oltre 200 disgraziati come loro sono stati raccolti in mare dalle motovedette italiane e rispediti "nell’inferno libico", dove sono sbarcati ieri mattina. Tra di loro anche 41 donne. Alcuni hanno gravi ustioni, altri sintomi di disidratazione. Ma la malattia più grave, è quella di essere stati riportati in Libia. Da dove "erano fuggite dopo essere state violentati e torturati. Non solo le donne, ma anche gli uomini".

I visi di chi invece si è salvato, ed è a Lampedusa raccontano una tragedia universale. La raccontano le ferite che hanno sul corpo, le tracce sigarette spente sulle braccia o sulla faccia dai trafficanti di essere umani. Storie terribili che non dimenticheranno mai. Come quella che racconta Florence, nigeriana, arrivata a Lampedusa qualche mese fa con una bambina di pochissimi giorni. L’ha battezzata nella chiesa di Lampedusa e l’ha chiamata "Sharon", ma quel giorno i suoi occhi, nerissimi, e splendenti come due cocci di ossidiana, erano tristi. Quella bambina non aveva un padre e non l’avrà mai.

"Mi hanno violentata ripetutamente in tre o quattro, anche se ero sfinita e gridavo pietà loro continuavano e sono rimasta incinta. Non so chi sia il padre di Sharon, voglio soltanto dimenticare e chiedo a Dio di farla vivere in pace". Accanto a Florence, c’è una ragazza somala. Anche lei ha subito le pene dell’inferno. "Quando ho lasciato il mio villaggio ho impiegato quattro mesi per arrivare al confine libico, e lì ci hanno vendute ai trafficanti e ai poliziotti libici. Ci hanno messo dentro dei container, la sera venivano a prenderci, una ad una e ci violentavano. Non potevamo fare nulla, soltanto pregare perché quell’incubo finisse". Raccontano il loro peregrinare nel deserto in balia di poliziotti e trafficanti. "Ci chiedevano sempre denaro, ma non avevamo più nulla. Ma loro continuavano, ci tenevano legate per giorni e giorni, sperando di ottenere altro denaro".

Il racconto s’interrompe spesso, le donne piangono ricordando quei giorni, quei mesi, dentro i capannoni nel deserto. Vicino alle spiagge nella speranza che un giorno o l’altro potessero partire. E ricordano un loro cugino, un ragazzo di 17 anni, che è diventato matto per le sevizie che ha subito e per i colpi di bastone che i poliziotti libici gli avevano sferrato sulla testa. "È ancora lì, in Libia, è diventato pazzo. Lo trattano come uno schiavo, gli fanno fare i lavori più umilianti. Gira per le strade come un fantasma. La sua colpa era quella di essere nero, di chiamarsi Abramo e di essere "israelita". Lo hanno picchiato a sangue sulla testa, lo hanno anche stuprato. Quel ragazzo non ha più vita, gli hanno tolto anche l’anima. Preghiamo per lui. Non perché viva, ma perché muoia presto, perché, finalmente, possa trovare la pace".

Le settimane, i mesi, trascorsi nelle "prigioni" libiche allestite vicino alla costa di Zuwara, non le dimenticheranno mai. "Molte di noi rimanevano incinte, ma anche in quelle condizioni ci violentavamo, non ci davano pace. Molti hanno tentato di suicidarsi, aspettavano la notte per non farsi vedere, poi prendevano una corda, un lenzuolo, qualunque cosa per potersi impiccare. Non so se era meglio essere vivi o morti. Adesso che siamo in Italia siamo più tranquille, ma non posso non stare male pensando che molte altre donne e uomini nelle nostre stesse condizioni siano state salvate in mare e poi rispedite in quell’inferno, non è giusto, non è umano, non si può dormire pensando ad una cosa del genere. Perché lo avete fatto?".

"Noi eravamo sole, ma c’erano anche coppie. Spesso gli uomini morivano per le sevizie e le torture che subivano. Le loro mogli imploravano di essere uccise con loro. La rabbia, il dolore, l’impotenza, cambiavano i loro volti, i loro occhi, diventavano esseri senza anima e senza corpo. Aiutateci, aiutateli. Voi italiani non siete cattivi. Non possiamo rischiare di morire nel deserto, in mare, per poi essere rispediti come carne da macello a subire quello che cerchiamo inutilmente di dimenticare". Hope, 22 anni, nigeriana è una delle sopravvissute ad una terribile traversata. Con lei in barca c’era anche un’amica con il compagno. Viaggiavano insieme ai loro due figlioletti. Morirono per gli stenti delle fame e della sete, i corpi buttati in mare. "Come possiamo dimenticare queste cose?". Anche loro erano in Libia, anche loro avevano subito torture e sevizie, non ci davano acqua, non ci davano da mangiare, ci trattavano come animali. Ci avevano rubati tutti i soldi. Per mesi e mesi ci hanno fatto lavorare nelle loro case, nelle loro aziende, come schiavi, per dieci, venti dollari al mese. Ma non dovevamo camminare per strada perché ci trattavano come degli appestati. Schiavi, prigionieri in quei terribili capannoni dove finiranno quelli che l’Italia ha rispedito indietro. Nessuno saprà mai che fine faranno, se riusciranno a sopravvivere oppure no e quelli che sopravviveranno saranno rispediti indietro, in Somalia, in Nigeria, in Sudan, in Etiopia. Se dovesse accadere questo prego Dio che li faccia morire subito".


Questa notte non ho chiuso occhio, ho pensato a tutte quelle persone che manifestavano davanti alla clinica dove era ricoverata Eluana Englaro, sostenendo "La vita a tutti i costi", gli antiabortisti, i comitati per la vita.


Ho pensato a tutti i ferventi cattolici che la sera prima di addormentarsi, ringraziano il loro DIO per ciò che gli ha dato ( che non è certo il Dio della misericordia)


Ho pensato al Papa e alla sua chiesa misericordiosa dei "poveri, degli ultimi, dei siamo tutti fratelli"


Ho pensato a tutte quelle persone che hanno votato questi politici affidando loro il ruolo di "angeli custodi", cosicchè la sera possono dormire sonni tranquilli al riparo dalla minaccia dello straniero.


Ho pensato a tutti i politici (
nessuno escluso) che si trovano seduti sui banchi della maggioranza, che permettono, l'approvazione di leggi inique, scandalose, inumane, razziste, assassine da dittature del terzo mondo.

Ho pensato....VI DISPREZZO CON TUTTE LE MIE FORZE. FATE SCHIFO TUTTI!!!!!!

Cosa accadrà ai 227 emigranti respinti a Tripoli?

Né a Malta, né a Lampedusa. Sono stati riportati in Libia i 227 emigranti e rifugiati – tra cui 40 donne - soccorsi a circa 35 miglia a sud est di Lampedusa dalle autorità italiane.La tragedia di questi migranti abbandonati per un giorno in mare aperto senza ricevere soccorso non è ancora finita

«Vorrei confermare una notizia che è apparsa oggi e che è davvero molto importante perché rappresenta una svolta nel contrasto all'immigrazione clandestina: per la prima volta nella storia siamo riusciti a rimandare direttamente in Libia i clandestini che abbiamo trovato ieri in mare su tre barconi. Non è mai successo. Fino ad ora dovevamo prenderli, identificarli e rimandarli nelle nazioni di origine. Per la prima volta la Libia ha accettato di prendere cittadini extracomunitari che non sono libici, ma che sono partiti dalle coste libiche. Proprio in questi minuti le nostre motovedette stanno attraccando nei porti libici, restituendo alla Libia 227 cittadini extracomunitari clandestini che sono partiti dai porti libici. Ci abbiamo lavorato per un anno intero e mi pare che questo sia un risultato veramente storico. Mi auguro che prosegua così, naturalmente, questo comportamento leale della Libia nei confronti nostri. Merito degli accordi che abbiamo fatto, merito dell'intensa attivitá diplomatica che abbiamo svolto. Nei prossimi giorni partirá anche quel famoso pattugliamento con le motovedette italiane. Ad un anno esatto dalla nascita del Governo Berlusconi possiamo dire, che su questo tema, la lotta all'immigrazione clandestina, abbiamo realizzato esattamente quello che volevamo realizzare ».
Lo ha affermato il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ospite della rubrica di Maurizio Belpietro, "Panorama del giorno", su Canale 5.



Maroni ha rivendicato quanto accaduto come “un risultato storico” e annunciato che sarà la prassi della prossima stagione di sbarchi


Nessuno dei passeggeri è stato identificato, nessuno degli eventuali minori non accompagnati è stato tutelato, nessun rifugiato è stato messo nelle condizioni di chiedere asilo politico, e nessun medico ha verificato le condizioni di salute dei naufraghi. Prassi che sulla terra ferma sono obblighi previsti dalla legge. Ma non in mare aperto, fuori dalle frontiere e dallo stato di diritto.
  • Che ne sarà del soccorso in mare, quando la priorità non è più la vita dei naufraghi, ma le trattative sul dove portarli?
Nel Canale di Sicilia sono morte almeno 3.467 persone negli ultimi dieci anni. Ora che la nostra Guardia costiera ha ricevuto l'ordine di non intervenire in alto mare, senza autorizzazione del ministero dell'Interno, previa consultazione-scontro con Malta, rischiano di raddoppiare. Ieri è andata bene perché il mare era calmo. Ma col mare in tempesta e onde altre quattro metri, bastano pochi minuti di ritardo a decidere la morte di centinaia di persone

  • Che cosa succederà ora, ai migranti respinti in Libia?

A seconda delle nazionalità, alcuni saranno rimpatriati in pochi giorni (ad esempio verso Tunisia e Egitto), altri saranno tenuti a marcire nelle carceri libiche per mesi, o per anni.


In che condizioni?




La porta di ferro è chiusa a doppia mandata. Dalla piccola feritoia si affacciano i volti di due ragazzi africani e un di egiziano. L’odore acre che esce dalla cella mi brucia le narici. Chiedo ai tre di spostarsi. La vista si apre su due stanze di tre metri per quattro. Vedo 30 persone. Sul muro hanno scritto Guantanamo. Ma non siamo nella base americana. Siamo a Zlitan, in Libia. E i detenuti non sono presunti terroristi, ma immigrati arrestati a sud di Lampedusa... CONTINUA





Stipati come animali, dentro container di ferro. Così gli immigrati arrestati in Libia vengono smistati nei centri di detenzione nel deserto libico, in attesa di essere deportati. Siamo i primi giornalisti autorizzati a vederli. Le condizioni dei centri sono inumane. I funzionari italiani e europei lo sanno bene, visto che li hanno visitati. Ma si astengono da ogni critica, alla vigilia dell'avvio dei pattugliamenti congiunti...CONTINUA





Di notte, quando cessano il vociare dei prigionieri e gli strilli della polizia, dal cortile del carcere si sente il rumore del mare. Sono le onde del Mediterraneo, che schiumano sulla spiaggia, a un centinaio di metri dal muro di cinta del campo di detenzione. Siamo a Misratah, 210 km a est di Tripoli, in Libia. E i detenuti sono 600 richiedenti asilo politico eritrei, arrestati al largo di Lampedusa o nei quartieri degli immigrati a Tripoli...CONTINUA

Nel 2005 l’Italia era stata condannata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo proprio perché aveva effettuato dei respingimenti collettivi dei migranti sbarcati a Lampedusa a partire dall’ottobre del 2004, con voli, prima militari e poi charter, decollati dall’aeroporto di Lampedusa con destinazione Tripoli e Misurata. Un precedente che il ministro dell’interno Maroni sottovaluta, o meglio, sembra ignorare del tutto. Come sembra ignorare che la Libia non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951 e dunque non riconosce il diritto di asilo, soprattutto a coloro che non sono di fede musulmana, come somali, eritrei e nigeriani, vittime di ogni tipo di abusi in quel paese.

Per il governo italiano, e per quello maltese, si tratta solo di clandestini, vite a perdere, non importa a nessuno dei due se questi muoino nelle carceri di Gheddafi o nelle acque del Canale di Sicilia.

VERGOGNATEVI, siete DISUMANI!





FONTE: Fortress Europe

La vignetta è di : Roberto Mangosi

venerdì 3 aprile 2009

Sono in carcere i superstiti del naufragio

I superstiti della tragedia avvenuta in mare, lunedì30 Marzo, si trovano nel centro di detenzione di Tuaisha, a Tripoli.
Alcuni saranno presto rimpatriati, altri invece rischiano di passare mesi o anni nelle carceri libiche ( note per le condizioni degradanti e inumane di detenzione).

Parecchi di loro hanno problemi di stomaco e reni, a causa dell’acqua salata che hanno bevuto.
Prima dell’arrivo dei soccorsi infatti, sono rimasti aggrappati per otto ore ai legni di poppa del peschereccio semiaffondato.




Non si conosce invece dove si trovino i 350 passeggeri del peschereccio soccorso domenica scorsa dal rimorchiatore italiano Asso 22. L’unica cosa certa è che anche loro si trovano in detenzione, in attesa del rimpatrio.



Nei canali di Otranto e Sicilia
migratori senz'ali, contadini di Africa e di oriente
affogano nel cavo delle onde.
Un viaggio su dieci si impiglia sul fondo,
il pacco dei semi si sparge nel solco
scavato dall'ancora e non dall'aratro.
La terraferma Italia è terrachiusa
Li lasciamo annegare per negare.

(Naufragi, di Erri De Luca, da Opera sull'acqua e altre poesie)


martedì 31 marzo 2009

Tragedia davanti alle coste libiche

Ieri, 30 marzo si è forse consumata l’ennesima tragedia dell’immigrazione “clandestina”.


Nello stesso giorno in cui il ministro Maroni annunciava che dal 15 maggio saranno avviati i pattugliamenti congiunti di unità italiane e libiche per impedire ai migranti di raggiungere Lampedusa e le coste meridionali della Sicilia, il Corriere della sera riferisce che un peschereccio su cui erano stipate 257 persone che si dirigevano verso l’Italia sarebbe affondato al largo delle coste libiche: “soltanto 23 persone sono state salvate dalla marina libica”. Secondo l’agenzia egiziana Mena, il naufragio è avvenuto a 30 chilometri dalla costa, poco dopo la partenza dalla località di Sidi Bilal, nei pressi di Tripoli.

Di altre due imbarcazioni partite, secondo le stesse fonti, dalla costa libica, non si sa nulla, ma una nave cisterna italiana avrebbe “ salvato 350 immigrati clandestini che erano a bordo di una imbarcazione che si trovava in difficoltà a largo delle coste della Libia”. Secondo altre fonti libiche i pescherecci dispersi sarebbero addirittura due.
Non si sa verso quale porto farà rotta la nave italiana carica di naufraghi.

Speriamo che sia offerta a tutti coloro che lo chiedano la possibilità di richiedere asilo o protezione internazionale in Italia, e che non si ripeta un altro caso Cap Anamur, la nave tedesca alla quale nel 2004, dopo avere tratto in salvo 37 naufraghi, venne impedito di entrare nelle acque italiane, e che solo dopo due settimane di blocco navale riuscì ad entrare a Porto Empedocle con il conseguente arresto del suo comandante, del secondo e del (allora) responsabile della organizzazione umanitaria Cap Anamur. Il processo è ancora in corso davanti al Tribunale di Agrigento.

Queste tragedie, dalle dimensioni ancora imprevedibili, confermano come le rotte dell’immigrazione clandestina si siano ulteriormente allungate, forse per effetto dei maggiori controlli dei tradizionali punti di partenza dei migranti dalla Libia occidentale, come la città di Zuwara, al confine con la Tunisia. In fondo i libici devono dimostrare all’Italia che fanno la loro parte, per incassare i cospicui finanziamenti previsti dal trattato di amicizia italo-libico firmato lo scorso anno da Berlusconi e Gheddafi. Maggiori controlli, ma non troppo. Una autentica manna per le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di clandestini. Si parte sempre dalla costa libica, ma dai porti più ad oriente, a nord di Tripoli ed i viaggi costano sempre di più. E le imbarcazioni arrivano forse anche dall’Egitto.

Le “carrette del mare” usate dalle organizzazioni dei trafficanti sono adesso più grandi, ma sempre stracolme di persone, e qualunque mutamento improvviso di rotta, o un peggioramento delle condizioni del mare, ne può causare il rovesciamento. Immaginiamoci cosa può significare l’intervento di pattugliatori che dovrebbero sbarrare la strada a queste “carrette del mare” per costringerle a rientrare nei porti di partenza, nell’inferno libico, descritto dalle agghiaccianti testimonianze dei migranti raccolte da Fabrizio Gatti nel 2004 e, come allora, ancora pochi giorni fa.

All’inizio dell’anno Maroni aveva dichiarato che «entro gennaio entrerà in vigore l’accordo con la Libia che prevede il pattugliamento delle coste del paese africano». In questo modo, affermava il ministro, si concluderanno «gli sbarchi prima della stagione turistica e Lampedusa tornerà ad essere conosciuta come una delle più belle isole del Mediterraneo e non come la porta di ingresso dei clandestini in Europa». La stagione turistica è arrivata ed il numero di arrivi di migranti, a Lampedusa e nel sud della Sicilia è ancora cresciuto, malgrado le statistiche di comodo diffuse dal ministero.
Non sappiamo quale sarà adesso l’effetto annuncio dell’ennesimo “avvertimento” di Maroni, che promette per il 15 maggio l’avvio del pattugliamento congiunto delle unità navali italo-libiche al limite delle acque internazionali, e forse anche più vicino alla costa, di fronte ai porti di partenza. Esattamente dove è affondata oggi l’imbarcazione carica di migranti, molti dei quali sono morti o ancora dispersi.

Potrebbe anche darsi che le pattuglie di Frontex, agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne, siano già al lavoro nella stessa zona. Di fronte a questa ennesima tragedia chiediamo di sapere se e dove sono attualmente operanti le motovedette di Frontex dislocate nel Mediterraneo centrale e quale siano le regole d ingaggio decise dall’agenzia, che ne dovrebbe sempre rispondere agli organi dell’Unione Europea, il Consiglio, la Commissione ed il Parlamento, e non continuare invece ad operare come un corpo separato, una sorta di super-polizia internazionale.

La vita umana in mare è comunque un valore assoluto, garantito da tutte le convenzioni internazionali, si tratti di migranti economici o di potenziali richiedenti asilo, o ancora di donne o di minori.

Chiunque brandisce lo spauracchio del “pattugliamento congiunto” per respingere indietro le imbarcazioni cariche di migranti potrà forse guadagnare consensi elettorali, ma si macchia per sempre di una gravissima violazione dei diritti fondamentali delle persone migranti, a partire dal diritto alla vita, una responsabilità che dovrebbe essere sanzionata dai tribunali internazionali. Una volta portate le persone in salvo in un porto sicuro e garantito l’accesso ad una procedura di asilo o di protezione internazionale equa e tempestiva, ciascun paese potrà applicare la propria legislazione in materia di espulsione e di accompagnamento in frontiera, nel rispetto delle garanzie di libertà e di difesa previste dallo stato di diritto.

Non sono certo le iniziative di contrasto militare in alto mare che potranno ridurre significativamente l’immigrazione clandestina in Italia, come insegna l’esperienza di questi ultimi anni.

Semmai, potrà solo aumentare, e ancora di molto, il numero delle vittime.

Il Parlamento italiano ha ratificato in bianco, senza neppure avere certezza dei costi e delle modalità di impiego delle sei unità navali concesse alla Libia, un accordo con quel paese che prevede i “pattugliamenti congiunti” e contrasta con il diritto internazionale del mare generalmente riconosciuto e con gli obblighi di salvataggio imposti a tutti i paesi firmatari della Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare. Non si sa quali effetti concreti potrà produrre il dispiegamento di sei motovedette sulla costa settentrionale della Libia, lunga migliaia di chilometri. Ne si può prevedere cosa potrà succedere quando si tratterà di procedere ad interventi di salvataggio.

Di certo, il recente accordo tra Libia e Malta per la ripartizione delle zone SAR ( Soccorso e salvataggio) nel Canale di Sicilia non sembra garantire alcuna concreta possibilità di salvezza per i migranti che si troveranno costretti ad attraversare il Canale di Sicilia, per gli scarsi mezzi di cui dispongono i due paesi, e per la scarsa disponibilità, già ampiamente dimostrata in passato, nel rispondere alle richieste di soccorso. Speriamo che le unità della Marina italiana siano ancora messe nelle condizioni di compiere quegli interventi di salvataggio in acque internazionali che hanno operato fino a ora. E impegniamoci anche perché non si continui a negare l’evidenza ed i cittadini italiani sappiano quali sono le conseguenze dirette ed indirette delle politiche di dissuasione violenta della “immigrazione clandestina”.

Il blocco dei flussi di ingresso regolare, la militarizzazione di Lampedusa e le pratiche ostruzionistiche nei confronti dei potenziali richiedenti asilo, non potranno che accrescere nei prossimi mesi il numero di “clandestini” che si troveranno comunque sul territorio italiano, se riusciranno ad arrivare, e che nessuno riuscirà ad espellere, come sta dimostrando l’esperienza fallimentare degli accordi con la Tunisia e come viene provato ancora una volta dalle posizioni che la Libia di Gheddafi sta assumendo sulla scena internazionale. Posizioni che, aggiunte alla diffusa corruzione delle forze di polizia di quel paese, non lasciano certo percepire né una maggiore collaborazione con le autorità italiane né, soprattutto, un qualche rispetto dei diritti umani delle persone migranti che vi transitano, o che da lì si imbarcano dirette verso l’Italia.

( di Fulvio Vassallo Paleologo)


Forse più in la, come già è avvenuto in passato, brandelli di corpi umani rimarranno impigliati nelle reti dei pescatori, perchè questo mare è diventato un cimitero.Il Canale di Sicilia, è ormai la tomba dei clandestini senza nome. Cadaveri che si vanno ad unire ai tanti altri cadaveri strappati all’esistenza, cancellati per sempre, come se non fossero mai stati su questa terra. MAI!

Ogni volta che dalla mia finestra guardo il mare, mi prende l'angoscia. Non ho più osato bagnarmi i piedi, non tanto per la paura di poter toccare un cadavere quanto per non profanare questo immenso incolpevole sepolcro.


Leggi quì tutti gli articoli sui Naufragi e tragedie nel mare pubblicate da Melting pot

La vignetta è di mauro biani

domenica 1 febbraio 2009

Libia: il 3 febbraio si vota. Scrivete ai capigruppo al Senato

Diffondete il più possibile tutto ciò.


Martedì 3 febbraio in Senato si aprirà la discussione sul Trattato Italia-Libia, la cui ratifica darà il via libera ai pattugliamenti congiunti e ai respingimenti nelle carceri libiche di migranti e rifugiati intercettati nel Canale di Sicilia. Fate sentire la vostra voce.
Insieme agli autori di "Come un uomo sulla terra", abbiamo lanciato un appello ai senatori. Lo hanno già firmato Dario Fo, Marco Paolini, Ascanio Celestini, Franca Rame, Marco Baliani, Gad Lerner, Emanuele Crialese, Erri De Luca, Felice Laudadio, Fausto Paravidino, Francesco Munzi, Goffredo Fofi, Francesca Comencini, Giuseppe Cederna, Luca Bigazzi, Maddalena Bolognini, Giorgio Gosetti, Gianfranco Pannone, Giovanni Piperno, Giovanna Taviani, Alessandro Rizzo, Andrea Segre, Dagmawi Yimer, Riccardo Biadene, Stefano Liberti, Marco Carsetti, Alessandro Triulzi, Gabriele Del Grande, Igiaba Sciego. E poi ci sono gli oltre 2.500 firmatari della petizione on line da Italia, Francia, Germania, Spagna, Inghilterra, Tunisia, Marocco, Senegal, Mali e altri paesi.

Copiate il testo dell'appello, di sotto, e speditelo per mail al Presidente del Senato schifani_r@posta.senato.it e ai capigruppo finocchiaro_a@posta.senato.it, dalia_g@posta.senato.it, gasparri@tin.it , bricolo_f@posta.senato.it, belisario_f@posta.senato.it e ai senatori che avete eletto, qui trovate l'elenco

Grazie a tutti
Autori e produzione COME UN UOMO SULLA TERRA

TRATTATO ITALIA-LIBIA
APPELLO AI SENATORI ITALIANI CONTRO LE DEPORTAZIONI E LE VIOLENZE A DANNO DEI MIGRANTI AFRICANI IN LIBIA

Il 3 febbraio si apre al Senato la discussione per l’approvazione del Trattato Italia-Libia.
Con questo appello vogliamo rilanciare la petizione contro le deportazioni dei migranti in Libia, promossa dagli autori del film COME UN UOMO SULLA TERRA e dall’osservatorio FORTRESS EUROPE ed oggi firmata già da oltre 2500 persone.

Nel Trattato Italia-Libia non è previsto per il governo di Gheddafi alcun obbligo concreto e verificabile di accoglienza, di tutela del diritto d’asilo, di rispetto della dignità umana: la Libia semplicemente li deve “fermare”, non importa come. Questa direzione non fa altro che confermare la riduzione dei migranti a “strumento politico” di cui poter liberamente predisporre. Gheddafi potrà continuare ad utilizzare i flussi di migranti come strumento di pressione per accrescere il suo potere contrattuale con l’Italia e l’Europa. I migranti, tra i quali vi sono anche molte donne e minori, continueranno a rischiare la vita, tanto nelle carceri, nei container e nei centri della polizia libica, quanto nel deserto e nel mare, che saranno spinti ancor più ad attraversare proprio a causa delle violenze da parte della polizia libica stessa.

In Libia si compiono continue violazioni dei diritti umani fondamentali: arresti indiscriminati, violenze, deportazioni di massa, torture, connivenze tra polizia e trafficanti. Ai migranti, molti dei quali in fuga da paesi in guerra o dittatoriali come Etiopia, Sudan, Eritrea, Somalia, non è garantito alcun diritto, a partire proprio da quelli di asilo e di protezione umanitaria, perché la Libia semplicemente non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra. Per questo alla Libia non può essere affidato con tanta noncuranza e superficialità il compito di “fermare i migranti”. Chiediamo pertanto che nella discussione al Senato sul Trattato si tenga presente quanto richiesto nella petizione, dove le centinaia di firmatari chiedono che Parlamento Italiano ed Europeo, insieme a Governo Italiano, CE e a UNHCR promuovano:

1. Una commissione di inchiesta internazionale e indipendente sulle modalità di controllo dei flussi migratori in Libia anche in seguito agli accordi bilaterali con il Governo Italiano.

2. L’avvio rapido, vista l’emergenza della situazione, di una missione internazionale umanitaria in Libia per verificare la condizione delle persone detenute nelle carceri e nei centri di detenzione per stranieri.

Invitiamo tutti gli italiani ed in particolare senatori e deputati, a vedere lunedì 2 febbraio alle 21.00, martedì 3 febbraio alle ore 9.30, 14.30 e 21.00 il film COME UN UOMO SULLA TERRA, che in questa delicata fase autori e produzione hanno deciso di mettere in onda via web sul sito del film:
http://comeunuomosullaterra.blogspot.com/

Firmatari dell’appello:
Dario Fo, Marco Paolini, Ascanio Celestini, Franca Rame, Marco Baliani, Gad Lerner, Emanuele Crialese, Erri De Luca, Felice Laudadio, Fausto Paravidino, Francesco Munzi, Goffredo Fofi, Francesca Comencini, Giuseppe Cederna, Luca Bigazzi, Maddalena Bolognini, Giorgio Gosetti, Gianfranco Pannone, Giovanni Piperno, Giovanna Taviani, Alessandro Rizzo, Andrea Segre, Dagmawi Yimer, Riccardo Biadene, Stefano Liberti, Marco Carsetti, Alessandro Triulzi, Gabriele Del Grande, Igiaba Sciego ed altri 2500 firmatari da Italia, Francia, Germania, Spagna, Inghilterra, Tunisia, Marocco, Senegal, Mali e altri paesi.

Per firmare la petizione

sabato 15 novembre 2008

Una petizione on line e cartacea indirizzata a Parlamento Italiano, Parlamento e Commissione Europea e Unhcr, per fare chiarezza sulle condizioni dei migranti africani in Libia e sulle responsabilità italiane. La petizione è promossa dai produttori del documentario Come un uomo sulla terra - Asinitas e Zalab - e sostenuta da Nigrizia e Fortress Europe, con il patrocinio della sezione italiana di Amnesty International



Per la prima volta in un film, la voce diretta dei migranti africani sulle brutali modalità con cui la Libia controlla i flussi migratori, su richiesta e grazie ai finanziamenti di Italia ed Europa.




Per saperne di più sulla Libia scarica il rapporto: Fuga da Tripoli 2007

( Fonte :Fortress Europe)

lunedì 1 settembre 2008

Italia - Libia: Ancora sulla pelle dei migranti

Si chiude il contenzioso coloniale tra Italia e Libia.
Previsti rimborsi miliardari al governo di Qaddafi.
Porte aperte agli investimenti italiani a Tripoli e via libera ai pattugliamenti congiunti anti immigrati.

L'accordo è stato firmato a Benghazi il 30 agosto 2008 dal primo ministro italiano Silvio Berlusconi e dal leader libico, il colonnello Mu'ammar Qaddafi.
Nel dettaglio, il testo prevede un rimborso di cinque miliardi di dollari in 20 anni e la realizzazione di un'autostrada costiera che attraversi la Libia dall'Egitto alla Tunisia. Saranno inoltre finanziate borse di studio per giovani libici e un risarcimento per i mutilati dalle mine dell'epoca coloniale. La firma dell'accordo servirà inoltre a sbloccare i pattugliamenti congiunti anti immigrazione previsti dal protocollo siglato dall'allora ministro dell'interno Giuliano Amato, a Tripoli, lo scorso 29 dicembre 2007, in nome della continuità tra centro-destra e centro-sinistra in materia di controllo delle frontiere, e non solo... Dietro la partita dell'immigrazione infatti, si gioca una partita molto più grande: quella degli idrocarburi.

L'accordo ha una portata storica. Da un lato riconosce le responsabilità italiane per i crimini commessi durante la guerra in Libia, specialmente dopo l'invio in Libia, nel 1921, del generale Rodolfo Graziani, responsabile di massacri di civili, e deportazioni di intere popolazioni in campi di concentramento. E, caso unico nella storia del colonialismo, stanzia un importante risarcimento a una ex colonia. Dall'altro lato però riabilita a livello internazionale un regime come quello di Qaddafi, all'unico fine di aprire una nuova stagione di rapporti commerciali tra i due Paesi. La Libia giace su un mare di petrolio e ha bisogno di investimenti e infrastrutture. L'Italia ha bisogno di idrocarburi e non vuole certo farsi sfuggire un così ghiotto boccone.

Da tempo Italia e Libia sono legate da stretti rapporti economici, soprattutto nel settore energetico. Tra gennaio e aprile del 2008, secondo l'Ice (Istituto nazionale per il commercio estero) l'Italia ha importato dalla Libia petrolio e gas per un valore complessivo di 5,23 miliardi di euro, con un aumento del 50% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Allo stesso tempo, l'Italia ha esportato in Libia prodotti petroliferi raffinati per 367 milioni di euro nei primi quattro mesi del 2008. L'Eni è presente in Libia dal 1959 e ha recentemente rinnovato i suoi contratti di esplorazione e produzione su petrolio e gas fino al 2042. Nel 2006, la produzione di idrocarburi in quota Eni in Libia è stata l'equivalente di circa 222.000 barili al giorno. Italia e Libia sono strettamente connesse anche grazie al gasdotto di 520 km Green Stream, tra Mellitah e Gela, la cui capacità passerà presto da 8 a 11 miliardi di metri cubi l'anno. Altri affari milionari riguardano Bnl nel settore bancario, Alenia Aermacchi e Agusta-Westland nella fornitura di 24 elicotteri, e infine Sirti e la milanese Prysmian Cable & Systems nel settore delle telecomunicazioni.

Montagne di denaro che copriranno in modo più che sufficiente le accuse mosse contro la polizia di Qaddafi, accusata da Human Rights Watch, Amnesty International e Fortress Europe di abusi e torture ai danni di migranti e rifugiati di transito in Libia. Fatti di cui lo stesso prefetto del Sisde, Mario Mori, parlava già nel 2006 in una audizione al del Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti: in Libia – dichiarava - i clandestini vengono accalappiati come cani, messi su furgoncini pick-up e liberati in centri di accoglienza dove i sorveglianti per entrare devono mettere i fazzoletti intorno alla bocca per gli odori nauseabondi...

L'Italia sapeva e sa tuttora cosa succederà alle migliaia di migranti che saranno riammessi in Libia dai pattugliamenti congiunti. Ma sulla bilancia commerciale, il loro destino vale zero virgola zero. E su quella dell'ipocrisia vale ancora meno. Il governo ha già annunciato che chiederà l'ingresso di 170.000 lavoratori stranieri entro fine anno. In Sicilia nel 2007 ne sono sbarcati circa 20.000. Meno di un ottavo. Molti si sono imbarcati unicamente per trovare un lavoro migliore. Ma niente si fa, a livello europeo, per garantire canali legali di mobilità per far incontrare domanda e offerta di lavoro. E niente si fa per garantire un corridoio umanitario a quelle migliaia di rifugiati – somali, eritrei, sudanesi – bloccati in Libia, i quali per vedere riconosciuti i propri diritti dalla civile Europa, devono prima rischiare la vita tra le onde del Mediterraneo. Non avendo altra scelta, continueranno a partire. E dovendo evitare i nuovi dispositivi di pattugliamento, navigheranno su rotte più lunghe e pericolose, andando ad allungare la lista dei morti nel Mediterraneo.

( Dal blog di Gabriele Del Grande- Fortress Europe )

Leggi anche:

Nuove intese tra Italia e Libia - Ancora sulla pelle dei migranti

di Fulvio Vassallo Paleologo - Università di Palermo