Ascoltate Josè Saramago intervistato da Serena Dandini

Visualizzazione post con etichetta Vignette. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Vignette. Mostra tutti i post

domenica 18 aprile 2010

L'attacco di Silvio Berlusconi a Saviano è disgustoso

Octopus vulgaris

18 aprile 2010 - Fabio Magnasciutti

Presidente Silvio Berlusconi, le scrivo dopo che in una conferenza stampa tenuta da lei a Palazzo Chigi sono stato accusato, anzi il mio libro è stato accusato di essere responsabile di "supporto promozionale alle cosche". Non sono accuse nuove. Mi vengono rivolte da anni: si fermi un momento a pensare a cosa le sue parole significano. A quanti cronisti, operatori sociali, a quanti avvocati, giudici, magistrati, a quanti narratori, registi, ma anche a quanti cittadini che da anni, in certe parti d'Italia, trovano la forza di raccontare, di esporsi, di opporsi, pensi a quanti hanno rischiato e stanno tutt'ora rischiando, eppure vengono accusati di essere fiancheggiatori delle organizzazioni criminali per il solo volerne parlare. Perché per lei è meglio non dire.
è meglio la narrativa del silenzio. Del visto e taciuto. Del lasciar fare alle polizie ai tribunali come se le mafie fossero cosa loro. Affari loro. E le mafie vogliono esattamente che i loro affari siano cosa loro, Cosa nostra appunto è un'espressione ancor prima di divenire il nome di un'organizzazione.
Io credo che solo e unicamente la verità serva a dare dignità a un Paese. Il potere mafioso è determinato da chi racconta il crimine o da chi commette il crimine?...........................







Accusare chi racconta il potere della criminalità organizzata di fare cattiva pubblicità al paese non è un modo per migliorare l'immagine italiana quanto piuttosto per isolare chi lo fa. Raccontare è il modo per innescare il cambiamento. Questa è l'unica strada per dimostrare che siamo il paese di Giovanni Falcone, di Don Peppe Diana, e non il paese di Totò Riina e di Schiavone Sandokan. ...........




Pensiero Unico

16 aprile 2010 - Paolo Lombardi

giovedì 15 aprile 2010

La Lega vuole denunciare chi si fa curare senza documenti

"Ogni volta che entrerà uno straniero noi chiameremo le forze dell’ordine chiedendo che verifichino i documenti. Se si tratta di un irregolare pretenderemo che venga applicata la norma. Lo ripeto non si tratta di negare le cure a chi sta male, perché il pronto soccorso è sempre aperto. Si tratta, invece, di rispettare le regole. Altro che razzismo: i veri discriminati in realtà non sono gli stranieri, ma la nostra gente".
(28 marzo, Danilo Narduzzi,leghista)


Oggi Danilo Narduzzi torna alla carica e annuncia che chiederà, con una mozione, personale amministrativo nei pronto soccorso per denunciare gli immigrati clandestini che vanno a farsi curare. L’annuncio ricorda l’emendamento del Carroccio, abrogato, per l’abolizione del principio di non segnalazione alle autorità degli immigrati irregolari che si rivolgono al Servizio sanitario nazionale.

"Se i medici non possono segnalare non vedo perché i clandestini debbano continuare a raggirare leggi di Stato, spadroneggiando sul territorio ". Narduzzi precisa che, se viene accolta la mozione leghista," gli immigrati irregolari continueranno ad essere curati negli ospedali della nostra Regione, ma il personale amministrativo a cui non verranno consegnati documenti d’identità e tessera sanitaria, dopo aver inviato il paziente dal medico, provvederà a segnalare la ‘mancanza’ alle autorità competenti".



In Friuli Venezia Giulia prosegue la crociata della Lega per la chiusura degli ambulatori destinati ai migranti irregolari e contro il loro accesso alle cure sanitarie. E la tragica vicenda di Rachel Odiase, morta per una tessera sanitaria scaduta, non ha cambiato di una virgola la posizione dei leghisti. Tratto da :http://clandestino.carta.org/


La vignetta è di ZURUM



Girodivite pubblica questo scritto di Adriano Todaro

Rachel Odiase ha 13 mesi. Nigeriana, vive con la famiglia a Carugate, lembo a pochi chilometri da Monza e una ventina da Milano, famosa perché è in una zona di grandi centri commerciali, fra cui l’Ikea dove la domenica migliaia di macchine si riversano in questo “Carosello” consumistico intasando e inquinando tutta la zona. Ma tutto questo alla famiglia di Rachel non interessava di certo. Il 3 marzo scorso, i genitori, di notte, chiamano il 118 perché la bambina ha violenti attacchi di vomito. L’ambulanza trasporta Rachel all’ospedale. Secondo le testimonianze, il medico di turno visita la bambina in 6 minuti e la dimette prescrivendole tre farmaci. Il referto parla di “Buone condizioni generali”. Talmente buone che poco tempo dopo muore.

Continuiamo però il nostro racconto perché questa vicenda è un po’ la cartina di tornasole di questo nostro burocratico Paese. La bambina è arrivata in ospedale alle 00,39 ed è uscita alle 00,45. Il padre, Tommy Odiasse, 40 anni, in Italia dal 1997, con la moglie Linda e un’altra figlia di due anni e mezzo, si mettono subito alla ricerca di una farmacia. Le medicine, però sono inutili. Alle 2 di notte la famiglia ritorna all’ospedale. Tommy Odiasse impreca, grida, vuole attenzione per sua figlia. La risposta è di una violenza inaudita: “La bambina ha la tessera sanitaria scaduta, non possiamo visitarla ancora o ricoverarla”.

E’ vero. La tessera sanitaria è scaduta. Tommy Odiasse è stato licenziato sei settimane prima e senza la presentazione dell’ultima busta paga non può rinnovare il permesso di soggiorno e quindi neppure la tessera sanitaria. Il padre di Rachel, esasperato, chiama i carabinieri i quali risolvono temporaneamente la questione. La bambina viene ricoverata in pediatria. Ormai sono le 3 di notte e nessun medico, secondo la testimonianza del padre, viene a visitarla sino alle 8 della mattina. La bambina ha attacchi di dissenteria. Il giorno passa così. La bambina si aggrava, le fanno flebo e monitorano il suo battito cardiaco attraverso un monitor. Poi il cuore della bambina si ferma.

Tutto sommato un piccolo episodio. Certo, una bambina è morta come, pochi giorni prima, era morto, a pochi chilometri da Carugate, a Melzo, un bambino albanese di un anno e mezzo rimandato a casa dal pronto soccorso. Ma in fondo sono stranieri e non possono certo rivendicare i nostri stessi diritti, non possono pretendere di essere curati negli ospedali cittadini, a nostre spese, se non hanno neppure la tessera sanitaria, se sono clandestini.

E’ il nuovo credo leghista che ha attecchito in profondità nella cultura del popolo del Nord, in quella zona che chiamano Padania, la zona dove in qualche asilo si lasciano senza mangiare alcuni bambini stranieri perché le famiglie non possono pagare la retta, la zona dell’efficienza, della laboriosità, del mito del “fare da sé”, dei “padroni a casa nostra”, del lavoro nero, delle tasse evase, dei fuoristrada, delle lampade abbronzanti.

E’ anche un po’ la cultura masochistica di coloro che si lamentano di come vanno le cose e danno il voto alla Lega o al Pdl. C’è un altro episodio che può far sorridere solo a prima vista, ma che forse spiega molto cose di questo popolo. A pochi chilometri da dove io abito, nella nuova provincia di Monza e Brianza, in una cittadina di 40 mila abitanti, lo scorso anno vince la Lega. Sindaco diventa una donna la quale comincia a tagliare tutto ciò che è possibile: meno il 12% all’Istruzione, meno l’11,77% ai Servizi alla persona, meno il 50,85% allo Sport, meno il 52,64% alle Politiche giovanili, e, naturalmente, meno il 55,85 per cento alla Cultura. I cittadini, ovviamente, si lamentano.

Poco dopo l’insediamento, la Giunta nomina un dirigente per i Servizi del Territorio: stipendio 70 mila euro l’anno. Nell’ufficio tecnico del comune lavorano 4 architetti e un ingegnere ma il sindaco decide per un esterno il quale è anche vicesindaco di un altro comune. Per quale partito? Naturalmente la Lega.

Il nuovo dirigente però non è solo vicesindaco, ma ha anche altre qualità. Ha partecipato e vinto, ai giochi Celtici, ben due discipline. Quali? Lancio del sasso e mangiata dell’anguria. Il 28 e 29 marzo si è votato per la Regione. La Lega, in quella città, è aumentata di 9 punti!

C’è chi muore perché è straniero e chi ha il doppio incarico. Si ciancia contro la pillola del giorno dopo, si tuona contro chi vuole affossare le famiglie, contro l’aborto, si scende in piazza per difenderla questa famiglia e poi si fanno morire i bambini già nati. Sepolcri imbiancati, cialtroni senza morale e senza dignità, ciarlatani che affollano gli schermi televisivi invece di affollare il Parlamento e fare il proprio dovere di eletti. Schifo e vergogna di abitare in questo Paese. Si muore perché respinti dagli ospedali e si muore perché si perde il lavoro. Ci si uccide perché non si possono più pagare i lavoratori e si fanno gli scudi fiscali. I lavoratori sono costretti a stare sulle gru o vanno nelle isole a fare l’isola dei cassintegrati.

Ma che Paese è mai diventato? A quale grado di aberrazione siamo giunti? Una volta i sindacalisti andavano nelle piazze e tuonavano contro i padroni. Prendevano tanti applausi. Oggi vanno al convegno della Confindustria e ricevono gli applausi, o meglio per essere moderni come hanno scritto i giornali, una standing-ovation, dagli industriali. Come mai? Perché hanno promesso loro di abolire lo Statuto dei lavoratori, di rendere ancora più flessibile il lavoro, di dare, in pratica, più margini di guadagno agli industriali. Il sindacalista fa un duetto con il ministro del Lavoro, un ex socialista il quale parla della necessità di liberare il lavoro dal conflitto.

Ecco la vera grande riforma. Mettere il sindacato conflittuale alle corde, avere ancora più mano libera sui contratti, far diventare i lavoratori ancora più marginali, ricattabili, disposti a tutto pur di lavorare. Ecco allora l’arbitrato, lo stravolgimento dell’articolo 18 dello Statuto a cui, purtroppo, tanti che si dicono di sinistra hanno ormai accettato. In realtà il progetto di stravolgimento dell’articolo 18 è stato rimandato alle Camere. Napolitano non ha firmato. Ma è un piccolo intoppo momentaneo tanto è vero che Sacconi ha fatto subito sapere che cambierà qualcosa. E, naturalmente, il presidente della Repubblica firmerà.

Anche qua grandi dibattiti, grandi cortine fumogene per occultare, sopire, anestetizzare gli italiani. Firmerà o non firmerà? Domanda che rimbalza per intere settimane. La risposta, salvo rari casi, è che firmerà. Ormai firma tutto. Il presidente della Repubblica è, o dovrebbe essere, il garante della Costituzione. Ma quando firma il cosiddetto legittimo impedimento garantisce i cittadini o un solo cittadino? Se siamo tutti uguali di fronte alla legge, perché mai uno deve essere più uguale degli altri? La realtà è che quella legge è un’altra porcata, con quella firma (e con le altre) Napolitano avalla di fatto, i trucchi da venditore di tappeti di Berlusconi che dovrebbe stare in galera e invece dirige un Paese. Napolitano auspica “riforme condivise” e dichiara di essere “sereno”. Beato lui.

Una serenità che non tocca milioni di famiglie che hanno avuto il loro reddito decurtato, nel quarto trimestre del 2009 del 2,8% rispetto allo stesso periodo del 2008. Il tasso d’investimento per i beni strumentali è diminuito dell’8,8%, i consumi dell’1,4%.

Sono sereni i grandi speculatori non la famiglia di Sergio Capitani il lavoratore di 34 anni morto alla centrale Enel di Civitavecchia. Sono sereni coloro che non pagano le tasse e portano i soldi all’estero, i mafiosi in guanti bianchi, la nomenclatura politica, coloro che stanno affondando definitivamente questo Paese. E sono sereni anche i “trombati” alle ultime regionali: prenderanno 455.000 euro. Non le famiglie dei due operai precipitati da una gru a Peschiera Borromeo (MI).

No, in tanti non sono sereni. Eppure in tanti votano Lega o Pdl e credono che l’Italia stia meglio di altri Paesi. E come mai, allora, ci sarà una manovra (“correttiva”, per carità!) di 4-5 miliardi di euro? Molti credono al TG1 quando afferma che Berlusconi è stato “assolto” e non “prescritto”, molti si beano ancora delle idiozie televisive e non si accorgono che ci stanno scippando l’acqua e imponendo le centrali nucleari.

E a sinistra? Litigano su presidenzialismo o semipresidenzialismo. Se deve essere alla francese o in salsa piccante. Veltroni ritorna (non dall’Africa!) e si dice d’accordo con Maroni mentre ancora più a sinistra, la Federazione della sinistra vedrà la nascita a Natale, ma nel frattempo fra Rifondazione e Comunisti italiani si litiga sull’assessore che dovrà entrare in Regione Liguria.

Se continua così, Berlusconi andrà al Quirinale, la sinistra sarà sempre meno presente nel Paese, i lavoratori e gli stranieri continueranno a morire. Ma Napolitano, il migliorista, è sereno.

Basta così. Di brutture ne ho detto anche troppe. Un’ultima cosa però voglio dirvela. Nel sito del comune di Carugate, il paesotto dove vive la famiglia nigeriana di Tommy Odiasse, c’è un dizionario carugatese-italiano. Una “simpatica” idea come loro stessi scrivono. Come in tutti i dizionari, ad una determina voce risponde la conseguente traduzione. Tommy voleva tradurre in carugatese-lombardo la parola assassini. Non l’ha trovata.

lunedì 12 aprile 2010

Il popolo del web si mobilita a favore di Emergency

«hanno confessato», scrivono sulle prime pagine dei giornali.

Hanno confessato cosa? È veramente scandaloso!!!


Scrive Pino Cabras alla fine del suo articolo:


"...Facce di italiani puliti e coraggiosi vengono così lordate vergognosamente da ipotesi complottistiche inverosimili, timbrate da cancellerie paranoiche. Il ministro Frattini fa la sua parte per intimidire Strada con un «qui non si parla di politica» da ufficetto anni trenta.

Bisogna invece con forza parlare di politica e denunciare ORA le stragi e i massacri, a questo punto chiaramente pianificati, che ci saranno DOMANI, in aggiunta a quelli terribili di ieri.

Perché, o uno crede a Frattini, che ha steso tappeti rossi davanti ai bugiardi che hanno massacrato Iraq e Afghanistan, oppure crede a Gino Strada, che ha denunciato le bugie di guerra nelle strutture che ora Frattini manda allo sbaraglio, mentre cuciva come poteva il 40% delle vittime di quelle bugie:
i bambini".




Intanto il popolo del web si mobilita a favore di Emergency,
nonostante qualcuno (MAYBLOG)censura gli appelli a sostegno di Emergency.
Voi mi chiederete : Che fastidio può dare un appello a favore di Emergency ?
Provate per credere! Leggete questo post.


Chi arresta Emergency? scritto da Giulietto Chiesa

In una farsa senza capo né coda i servizi segreti afghani hanno arrestato ieri tre medici dell'ospedale di Emergency, insieme a sei operatori afghani che stavano lavorando a Lashkar-gah, nella provincia di Helmand (là dov'è in corso la più vasta offensiva della Nato e americana dall'inizio del conflitto in Afghanistan).
Solo spioni sprovveduti e prezzolati, al servizio della potenza occupante o dei manutengoli che esercitano - si fa per dire - il potere a Kabul , possono fingere di credere che l'accusa contro gli arrestati abbia una qualche parvenza di verità.
Avrebbero complottato - pensate un pò prima di incazzarvi - per "assassinare" il governatore locale Gulab Mangal.
Ma di questo non vale nemmeno la pena di parlare.
Importa invece parlare di come ha reagito il ministro degli esteri Frattini, di fronte all'arresto di tre cittadini italiani (che egli ha il dovere istituzionale di proteggere).
Due dichiarazioni, una più irresponsabile dell'altra. Eccole: ""I tre arrestati non fanno parte della cooperazione italiana". Come dire ai servi di Karzai: fate pure, non sono dei nostri.
E, infatti Emergency non ha mai fatto parte delle schiere di collaboratori del regime di Kabul, tant'è che non ha mai preso un centesimo dal governo italiano, che quel regime inqualificabile sostiene.
Seconda dichiarazione, se possibile peggiore della prima: "il governo italiano conferma la sua linea di assoluto rigore contro qualsiasi attività di sostegno diretto o indiretto al terrorismo in Afghanitstan, così come altrove". Come dire: questi sono sospetti di sostenere il terrorismo, quindi procedete pure tranquillamente.
Avviso ai naviganti italiani fuori dalle frontiere italiane. Con un ministro come questo, varcata la frontiera, siete in balia di chi vi prende e vi sbatte in galera, a prescindere.
Che la guerra afghana fosse sporca lo sapevamo. Sporca come la coscienza del ministro Frattini.







“Si tratta di una sporca e oscura manovra. La possibilità che siano stati trovati esplosivi non è da escludere a priori. Se volessi anch’io potrei portare esplosivi in qualsiasi ospedale italiano e poi chiamare la polizia. Qualcuno dello staff afgano può averli di certo portati. Cosa ci vuole a corrompere qualcuno? Ma da lì ad avallare in qualche modo l’ipotesi che medici italiani possano essere i capi di questo complotto mi sembra una cosa che va al di là del pensabile. Quello che è successo è solo una intimidazione contro Emergency. L’ennesimo attacco che subiamo. La nostra neutralità dà fastidio a troppi..” ( Gino Strada )


Banner 120x60

Firma l'appello sul sito di Emergency


Il 5 per mille a Emergency è una prima risposta forte che tutti possiamo dare proprio in queste settimane.



giovedì 31 dicembre 2009

BUON ANNO


L'umanità si trova oggi ad un bivio.
Una via conduce alla disperazione, l'altra all'estinzione totale.
Speriamo di avere la saggezza di scegliere bene.

(W. Allen)

Buon Anno Glitter a Tutti

La vignetta è di Roberto Mangosi


sabato 19 dicembre 2009

I potenti della Terra hanno fallito l´obiettivo di impedire cambiamenti climatici disastrosi

Nessun obiettivo vincolante, nessun tetto di emissioni per ciascun paese, nessun serio obiettivo per il futuro.

Numerosi i Paesi ( Africa, Oceania e America Latina ) che a Copenhagen si sono rifiutati di firmare l’accordo definendolo “una vergogna”.



“Un pezzo di carta scritto da un club esclusivo per i suoi interessi”, così il keniamo Mohammed Adow definisce il documento di tre pagine stilato nella capitale danese.“Io vengo dal Nord Est del Kenya, dove la gente soffre la fame e la sete, perché non piove più. I paesi ricchi non sono stati capaci di fare un accordo che desse sicurezza al mondo. Il risultato saranno milioni di morti. Saranno questi numeri a dare la misura del fallimento”, aggiunge Adow.


Significative le parole del Direttore Esecutivo di Greenpeace International, Kumi Naidoo:

Oggi, i potenti della Terra hanno fallito l´obiettivo di impedire cambiamenti climatici disastrosi.
La città di Copenhagen è la scena di un crimine climatico, con i colpevoli che scappano verso l´aeroporto, coperti di vergogna. I leader mondiali hanno avuto un´occasione unica per cambiare il pianeta in meglio, evitando i cambiamenti climatici. Alla fine hanno prodotto un accordo debole, pieno di lacune abbastanza grandi da farci passare attraverso tutto l´Air Force One.

Per concludere in bellezza


I tre attivisti di Greenpeace entrati nel Palazzo Reale danese, nel corso della cena ufficiale dei capi di Stato, aprendo un banner con la richiesta di una vera azione per il clima, ieri notte, sono stati condannati dal Giudice a 3 SETTIMANE DI GALERA.

Leggi la lettera integrale di Kumi Naidoo quì


Un ringraziamento particolare va alla nostra bella-ministra, per il contributo dato (l’Italia ha bloccato la decisione UE di tagliare le emissioni del 30%, al 2020.
Forse l'Italia non è esposta a rischi come gli altri Paesi del mondo? O alla ministra non interessa se aumenta la desertificazione e il rischio incendi, se aumentano gli effetti disastrosi di frane e alluvioni, se il Mediterraneo mostra già segni d’impatto evidenti, se il delta del Po affonda, rispetto al mare che si alza, di 3 centimetri l’anno, in media ?
Penso che abbiamo bisogno di un ministro dell’Ambiente che se ne occupi sul serio e un Governo meno irresponsabile (tagli sulle rinnovabili, autorizzazioni alle centrali a carbone e rilancio del nucleare).







Fonte: www.greenpeace.org - www.terranauta.it

La vignetta è di Roberto Mangosi

venerdì 12 giugno 2009

L’accoppiata Berlusconi-Gheddafi.

La visita di Gheddafi in Italia sta offrendo l’occasione di vedere in faccia gli autori diretti o indiretti delle violenze e degli abusi che i migranti subiscono in Libia. Le agghiaccianti immagini televisive, che vanno ben oltre il ridicolo dei protocolli ufficiali, mandano in onda gli incontri del dittatore libico accolto con abbracci e sorrisi dal governo




Con le seguenti parole il disumano Gheddafi, non ha tradito le aspettative ed ha palesemente ricordato quale sia la sua posizione in materia di asilo politico:"l’asilo politico? Una menzogna diffusa. Chiedono asilo politico? GLi africani non ne hanno bisogno, è gente che vive nella foresta o nel deserto. E poi ancora: Se dovessimo ascoltare Amnesty International tutti potrebbero muoversi e vi trovereste tutta l’Africa in Europa.

Detto, fatto!

Il 6 Maggio per la prima volta tre navi italiane hanno riportato in Libia dei migranti soccorsi in mare.

Ecco il racconto, dei due giornalisti di Paris Match che erano a bordo del guardiacoste Bovienzo:

La scaletta! Per lasciare il gommone in panne bisogna afferrare questo pezzo di ferraglia attaccato alla fiancata della nave. Intanto il gommone continua a sgonfiarsi e a ondeggiare, sbattendo contro l’imbarcazione della guardia di finanza. Questa scaletta è la strada più breve tra l’Africa e l’Europa, tra la miseria e la speranza. In fondo al gommone alla deriva c’è una ragazza stremata e immobile, di cui si vedono solo gli occhi spalancati per il terrore. Gli spintoni per salire sulla scala, la lotta per uscire dal relitto: quest’abbordaggio della disperazione ha qualcosa di dantesco. È terribile anche per i marinai del Bovienzo, che non sono certo al primo salvataggio in mare. “Aspettate, uno alla volta!”, grida uno di loro. Gli ordini del comandante Christian Acero non ottengono nulla di più. Ma che disciplina ci si può aspettare dai sopravvissuti? La sua voce roca è coperta dal rumore di un elicottero che sorvola la zona. Acero è esasperato: “Ma quando se ne va?”. Un membro dell’equipaggio picchia con il manganello sulle sbarre della scaletta per far capire ai naufraghi che non devono attaccarsi tutti insieme. Ma loro se ne fregano: è il mare che fa paura, non gli uomini e i manganelli. Cercano di salire come meglio possono, gli uni sugli altri, rischiando di cadere in mare e affogare. L’angoscia si impadronisce dell’equipaggio del Bovenzio. I primi naufraghi che arrivano a bordo si mettono a sedere contro il telo del pozzetto cercando di stendere le gambe. Hanno il fiato corto e le braccia che tremano. Saud Adill rimane un momento immobile, poi crolla. Si avvicina piangendo ad Amal, un suo amico, anche lui scampato al naufragio. Amal lo abbraccia e lo stringe a sé. Adill ci guarda, le sue labbra tremano. “Acqua”, chiede Amal. Gli diamo una bottiglia. Con delicatezza bagna Adill, poi la bottiglia passa di mano in mano. In pochi secondi è vuota. Intanto i naufraghi continuano a invadere il ponte. Quanti sono? Dieci, venti, trenta. E continuano a salire. I marinai ordinano agli altri di stringersi per fare posto. Alla fine sono 68. A poppa ci sono altre dodici donne.

Solo stracci senza valore
Per giorni queste ottanta persone sono andate alla deriva su un gommone che i marinai del Bovenzio lasciano affondare senza cercare di recuperare gli oggetti che sono a bordo. Del resto, non c’è niente di valore: qualche straccio, delle magliette sporche, una bottiglia vuota. Non è rimasto nulla: né acqua né cibo né benzina. Per arrivare in Sicilia mancano più di cento miglia marine: non ce l’avrebbero mai fatta. “Gli abbiamo salvato la vita”, mormora un membro dell’equipaggio. Il comandante rimane in silenzio, si accende una sigaretta e torna al timone.
Sul ponte, Amal aiuta Adill a riprendersi. Adill è nato nel 1983. “Il 1 Aprile” racconta. “So disegnare. Voglio lavorare, andare a scuola in un paese europeo. Farò tutto quello che volete”. Gesticola, Amal lo calma. Amal è ghanese e ha 26 anni. Ha vissuto e lavorato in Libia per quattro anni, cercando di guadagnare i 1.500 dollari necessari per la traversata. Vuole raggiungere il fratello in Spagna. Non gli va di parlare del viaggio e bisogna strappargli le parole di bocca. È stato uno sconosciuto incontrato al mercato di Tripoli a offrirgli la possibilità di imbarcarsi. Così, una notte è salito su un pickup con altri africani. Lo hanno bendato, portato in una casa e gli hanno preso i soldi. Poi la spiaggia, la partenza e il gommone. Quanto tempo avete passato in mare? Amal non lo sa. “Tre notti, poi la benzina è finita” dice uno dei suoi compagni. Si chiama Franck, ha gli occhi arrossati, le labbra gonfie e screpolate. Come gli altri, è confuso. Qualcuno afferma che il viaggio è durato cinque giorni. Impossibile, risponde un marinaio: “Dopo cinque giorni in queste condizioni non avrebbero la forza di parlare.” Nessuno sembra in grado si stabilire con esattezza il tempo passato in mare. Hanno tutti una storia già pronta – imparata per bene durante la traversata – da raccontare alla polizia e ai giudici: è la storia incredibile di un lungo viaggio e della loro guida che è caduta in mare. Me la racconta Gift, una giovane nigeriana che indossa un paio di jeans scoloriti e ha i capelli arruffati. Mi chiede cosa le succederà. Le racconto quello che ho già visto in passato, quello che sono convinto le succederà. Stiamo navigando verso il molo di Porto Nuovo, a Lampedusa, dove la Croce Rossa, la Caritas e l’Acnur si occuperanno di loro: gli daranno tè e biscotti, coperte e vestiti. E poi assistenza legale, cure e anche una carta telefonica. Gli africani sanno che chi arriva a Lampedusa è trattato come un naufrago, non come un clandestino. Anche se sull’isola non tutti sono d’accordo: gli abitanti non amano vedersi sfilare davanti la miseria del mondo e non vogliono che le loro coste si trasformino in un cimitero a cielo aperto. Nessuno, però, rifiuta un minimo di umanità, di solidarietà, di carità.
Così dico ai naufraghi: “Non vi preoccupate”.
Poi, però, comincio io a preoccuparmi: quando torno in cabina, scopro che la destinazione è cambiata. Lampedusa è a un’ora di navigazione in direzione ovest. Il guardiacoste della guardia di finanza invece sta andando a sud. Cala la notte. I profughi stremati hanno freddo, fame e sonno. “Ieri ha piovuto”, racconta Amal, “siamo ancora tutti bagnati”. Aspira il fumo dalla sigaretta che qualcuno gli ha dato e la passa ai compagni. Un uomo esile chiede da mangiare, ma non avrà nulla. Un altro, che indossa la maglia di Francesco Totti della Roma, chiede dei vestiti asciutti, ma non ce ne sono. Non ci sono neanche le coperte. Sul ponte si vedono le sagome di uomini e donne seduti o sdraiati, avvolti in lembi di stroffa sporca. S’intravedono dei piedi. L’odore è forte, nauseante. Meglio non pensare alle condizioni igieniche in cui queste persone hanno trascorso gli ultimi giorni. Qualcuno si alza per andare a vomitare, accompagnato da un membro dell’equipaggio. Intanto un marinaio napoletano distribuisce alle donne bottiglie d’acqua, biscotti al cioccolato e ovatta per le orecchie. Il gruppo delle donne è seduto sopra i motori: fa meno freddo che a prua ma c’è un rumore insopportabile.
Gift è accucciata, ha lo sguardo perso nel vuoto. Sulla testa porta uno scialle e tiene le mani nelle tasche della giacca. Ha mal di denti e non riesce a mangiare. Per un momento si rianima, guarda il cielo, la luna a babordo e la stella polare che brilla a prua. “Where are we going?”chiede. Nessuno le risponde. È mezzanotte. Incrociamo due barche della guardia costiera. Anche loro trasportano dei clandestini. Per radio il comandante del Bovienzo chiede delle coperte isotermiche e l’aiuto di un medico. Qualche minuto dopo un dottore sale a bordo, senza coperte però. Basso e corrucciato, il dottor Arturo indossa l’uniforme rossa del Corpo italiano di soccorso dell’ordine di Malta. Ha con sé una valigetta piena di medicine e parla solo italiano. Io ed Enrico, il fotografo, facciamo da interpreti.
Due malati si sono rifugiati in un gommone di salvataggio del Bovienzo. “Fuel burn”, dice uno di loro indicandosi i genitali. “Ho i guanti sporchi”, risponde il medico. Mi chiede di tirare fuori dalla borsa uno spray e lo spruzza sui genitali del paziente, che fa una smorfia prima di riabbottonarsi i jeans. Gli altri immigrati capiscono che il medicinale allevia il dolore. Sul fondo del gommone si era sparsa della benzina e loro sono rimasti per ore a mollo nel carburante. Tutti hanno delle bruciature sul sedere. Si alzano uno dopo l’altro, abbassano i pantaloni. Quelli che ne hanno ancora la forza, ridono. Un senegalese che indossa un giubbotto con la chiusura lampo spiega in francese che ha la nausea e vomita in continuazione. “Vediamo un po’” risponde il medico. Qualcuno ha mal di testa. “Da quanto tempo?” “Due mesi” “Non posso farci nulla. Sono qui solo per le urgenze.” Un altro apre un vecchio sacco di plastica e mostra due fialette vuote. “Le mie medicine” dice. “Sono asmatico e nel mio paese questa medicina non si trova più. Mio padre mi ha detto di andare…” “Di cosa soffre esattamente?”, lo interrompe il medico prima di girarsi. “Andiamo a vedere le donne”. Una sta male: si tocca i fianchi e il petto facendo dello smorfie. Non parla inglese e Gift non ha più la forza per tradurre. Il dottore l’ausculta, sospira e passa alla vicina, che abbassa i pantaloni. “Fuel burn”. Gift parla del suo mal di denti. “Vediamo dopo”, dice il medico. Dopo cosa? Non risponde. Gift piange. Il medico finisce il suo giro: “Non posso occuparmi di tutti!”. Si volta verso di me e aggiunge: “È sempre così, si lamentano delle irritazioni dovute all’acqua di mare. Ma questi sembrano in buona salute.” Gli restituisco la valigetta, siringhe e medicinali che non sono serviti a nulla. Almeno il dottore ha portato dei secchi della spazzatura. I marinai li distribuiscono e gli immigati li indossano come giubotti. A poppa le donne, rannicchiate le une contro le altre, li usano come coperte.

Inutili preghiere
Alle sette del mattino il sole è ormai alto. La nave continua a fare rotta verso sud. I naufraghi tremano dal freddo. Alcuni sono immobili, rigidi come manichini. Poi un uomo si alza e grida: “Guardate che bella giornata! Pregate il Signore, è un giorno felice, il Signore è buono”. In mano ha una Bibbia. Tre suoi amici si mettono a cantare. Voci basse e una melodia lenta. Un coro di schiavi. L’uomo con la Bibbia grida: “Noi amiamo Gesù e io sono un vincente!”. Dove trovi l’energia, dopo tre giorni in nave, è un mistero. La maggior parte dei passeggeri è cristiana e porta una croce al collo. “Pray the Lord! Alleluia! Voglio vedere delle persone felici” continua il prete, che ringrazia Dio per averli salvati. I passeggeri pregano: “Gesù è mio padre e non mi abbandonerà mai!”.
Ma molti di loro cominciano ad avere dei dubbi. “Dove stiamo andando?” chiedono. Sono passate dodici ore dal salvataggio e la terra all’orizzonte non è Lampedusa. Si scorgono gli edifici del lungomare di Tripoli. Non è la democrazia, la carità, l’umanità. È la Libia. A bordo cala il silenzio. La preoccupazione aumenta, ma nessuno dei clandestini riconosce Tripoli dal mare: quando sono partiti non l’hanno vista. Anche i marinai sono preoccupati. Come reagiranno gli immigrati quando si accorgeranno di non essere in Italia? All’improvviso un passeggero indica il recinto del vecchio mercato, dove si riparano gli africani in partenza per l’Europa.
Il Bovienzo entra in porto, in un molo isolato, nascosto da alcune grandi navi mercantili. A terra c’è un funzionario libico con i baffetti e un vestito bianco a dirigere le operazioni. Amal si gira verso di noi: “Ma siamo a Tripoli! Perché ci trattano così?”. Qualcuno mi prende per la mano. “Mi servono dei soldi” dice un uomo con la giacca di jeans guardandomi negli occhi. Con pochi euro riuscirebbe a evitare la polizia libica. La passerella è stata calata. Un camion bianco si ferma sul molo. Ha due finestrini minuscoli con le grate e, all’interno, due panche di ferro. All’improvviso comincia la rivolta. Durerà un’ora: un’ora di urla, di pianti e di lotte. I clandestini che scendono a terra spontaneamente sono pochi. Bisogna andarli a prendere uno per uno. Tirarli, spingerli, minacciarli. Ci vogliono quattro o addirittura sei persone per sollevarli e portarli a terra. Un uomo prende una corda e mima la propria impiccagione. Un italiano lo minaccia col manganello. In un angolo c’è una persona svenuta. “Portate dell’acqua!” grida qualcuno. Il medico non ha tempo per visitarlo. Il malato è portato sul molo.
I marinai italiani non ne possono più. Uno di loro mormora: “Non è possibile”. Ma a poco a poco la barca si svuota. Adill e Amal se ne vanno senza protestare. Scrivono il loro nome su un foglio e salgono sul furgone. Ci rimarrano per ore, senza bere né mangiare. A salvarli forse è stato Dio, non certo gli europei. Alle nove e mezzo sulla barca della guardia di finanza rimangono solo quattro persone. Gli italiani non sanno come calmarli.
L’uomo che gridava “Alleluia”durante la messa, adesso ulra di rabbia. Si è tolto la camicia arancione, la maglia e le mutande. È nudo e mostra le ferite che gli hanno inflitto i poliziotti libici, i suoi aguzzini. “Libia is not our country, me go Nigeria”, grida un altro uomo. Loro due esguono una specie di danza macabra sul ponte, mentre gli altri mostrano il petto ai mitra libici. “Shoot us!” gridano. Poi crollano e si mettono a piangere. Il funzionario libico sorride: “Gheddafi ama gli africani”. L’uomo nudo si rende conto di aver perso. È solo e nudo, davanti a dieci italiani che non sanno cosa fare e a una trentina di militari e poliziotti libici impassibili. Si infila le mutande e scende dalla passerella. Anche lui scrive il suo nome su un foglio e sale sul camion.
Gli ottanta naufraghi sono sbarcati. Sono i primi “beneficiari” della nuova politica contro l’immigrazione illegale adottata dal governo Berlusconi in collaborazione con la Libia. Il Bovienzo riprende il mare verso Lampedusa. “Brutto lavoro” dice un membro dell’equipaggio che era rimasto in silenzio. Sì, sono proprio costretti a fare un brutto lavoro.

Visto che l’asilo è una menzogna allora le torture, la carcerazione, le violenze, i traffici organizzati dalla Polizia libica, gli spari sulle barche in partenza ed i respingimenti illegali dell’Italia, sarebbero legittimi, sempre secondo l’accoppiata Berlusconi-Gheddafi.
I "respingimenti", la cattiveria promossa a metodo di governo


FONTE: Meltingpot.org
La vignetta è di: bandanas

sabato 9 maggio 2009

Peppino Impastato, una vita contro la mafia

Peppino Impastato era una delle persone più attive della regione Sicilia per la lotta contro la mafia, pur avendo alle spalle una famiglia collusa con la stessa. Peppino fu fondatore di una delle prime radio libere ed indipendenti d'Italia, RADIO AUT, tramite la quale denunciava i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini. Alla mafia, Peppino si ribellò con le armi che i boss odiano di più: l'ironia e lo sfottò






Oggi a Cinisi per la Commemorazione di Peppino Impastato, sarà presentato il libro di Giovanni Impastato con il giornalista Franco Vassia, edito da Stampa Alternativa
“Resistere a Mafiopoli. La storia di mio fratello Peppino Impastato”
.


Il libro si può acquistare anche on line quì

Vi riporto l' ultima parte dell'introduzione al libro, di Umberto Santino

Oggi, a Cinisi e dintorni Giovanni parla di Cinisi degli ultimi anni e parla di mafia. Non sono più i tempi d’oro del traffico di droga diretto da Badalamenti ma non è affatto vero che a Cinisi e dintorni la mafia non ci sia più e si sia imboccata la strada della legalità. [A proposito: legalità è un termine ampiamente abusato, non solo nelle attività all’interno delle scuole, e che rischia di essere un alibi e un bluff se ci si ferma al solo aspetto formale: anche le leggi razziste di Hitler e Mussolini erano legalità e lo sono anche le leggi ad personam di Berlusconi. Se proprio non si vuole cambiar termine bisognerebbe almeno aggiungervi «democratica», a sottolineare la prevalenza dei contenuti sulle forme, la rispondenza delle leggi ai principi fondamentali della Costituzione, a cominciare dall’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge]. Dopo gli arresti dei Lo Piccolo e le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia il quadro risulta chiaro: la mafia da quelle parti c’è sempre e la rete di collusioni e di complicità è abbastanza fitta ed estesa. E ci sono nomi nuovi ma pure vecchi, come i Lipari di cui parlava Peppino. Il guaio è che con la morte di Peppino e le riflessioni di alcuni compagni subito dopo, l’attività che una volta si diceva di «controinformazione» si è data alla latitanza. Lì, come altrove. Fa bene Giovanni a riprendere un discorso in larga parte interrotto, ma il quadro in questi trent’anni è profondamente mutato. Se Cosa nostra, l’ala propriamente criminale della mafia, dopo il delitto Dalla Chiesa e dopo le stragi del ’92 e ’93, ha ricevuto dei colpi abbastanza duri, il modello mafioso che lega crimine, accumulazione e potere, il sistema di rapporti, su cui di fonda un blocco sociale egemonizzato dai soggetti illegali e legali che formano la borghesia mafiosa, gode di ampio consenso. Il voto per personaggi come Cuffaro e dell’Utri, nonostante le condanne che hanno avuto anche se solo in primo grado, lo dimostra e getta un ponte dalla Sicilia alla Lombardia. La responsabilità politica di cui parlava una relazione della Commissione antimafia del 1993, a ridosso delle stragi, è rimasta sulla carta e le forze politiche si sono ben guardate dal darsi dei codici di autoregolamentazione. Da anni la Democrazia cristiana, che Peppino e noi con lui indicavamo come il partito più compromesso con la mafia, ha ceduto il passo a Berlusconi che ha introdotto un sistema di potere fondato sulla legalizzazione dell’illegalità e sulla garanzia dell’impunità. Il programma della P2 si è realizzato, anzi è stato scavalcato. E nonostante l’evidente appropriazione del potere a fini di interesse personale il consenso non è mancato, e continua a crescere. Evidentemente la maggioranza degli elettori si specchia in quel modello e considera le regole un intralcio e la Costituzione un ferrovecchio. Le destre italiane mancano della più elementare cultura liberal-democratica, la Lega è una centrale di barbarie razzista e a sinistra c’è aria di smobilitazione e di svendita. Le grandi narrazioni hanno lasciato solo macerie. Il movimento noglobal raccoglie un dissenso diffuso ma non riesce a spostare di un millimetro le politiche dominanti che hanno diviso il pianeta in due: un supermercato di iperconsumo per pochi, una fabbrica di emarginazione per tutto il resto. In questo contesto proliferano le mafie e guerre e terrorismi si fronteggiano come facce di un’unica medaglia coniata dal fanatismo identitario e dalla violenza. La crisi finanziaria ha svelato tutti i vizi del mercato e fatto riscoprire lo Stato. Cioè: i profitti sono privati e le perdite si socializzano. Oggi un personaggio come Peppino si troverebbe ancora più spaesato di quanto lo era al suo tempo, in cui c’erano ancora scampoli di certezze e si progettavano strategie di mutamento. Quel che ci rimane è la sua volontà di farcela anche quando le difficoltà rischiano di sommergerci. E l’interesse che suscita la sua storia, che è la storia di Giovanni, di sua madre, dei suoi compagni, la nostra storia, sta a dimostrare che la lucidità dell’analisi può andare a braccetto con la pratica quotidiana in una prospettiva di resistenza. ( Quì tutta l'introduzione)




Vi prego di ascoltare attentamente l'intervento di Giovanni Impastato, al dibattito pubblico "Mafia e potere a Milano. A 100 passi dal Duomo" tenutosi a Milano, nella sala Alessi di Palazzo Marino, il 16 settembre 2008





PARTE [2]




PARTE [3] In questo video potete ascoltare la voce originale di Peppino Impastato




Due giovani autori siciliani, Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso, hanno disegnato, nel vero senso della parola, il "giullare contro la mafia" Peppino Impastato, pubblicando questo nuovo testo per la Beccogiallo editore. Centoventi pagine in bianco e nero, con la prefazione di Lirio Abbate, per raccontare ai giovani, i fatti e gli orrori di quegli anni che portarono il 9 maggio del 1978 all´assassinio di Impastato. ( http://www.beccogiallo.it/)

La Vignetta è di VESDAN

venerdì 8 maggio 2009

Cosa accadrà ai 227 emigranti respinti a Tripoli?

Né a Malta, né a Lampedusa. Sono stati riportati in Libia i 227 emigranti e rifugiati – tra cui 40 donne - soccorsi a circa 35 miglia a sud est di Lampedusa dalle autorità italiane.La tragedia di questi migranti abbandonati per un giorno in mare aperto senza ricevere soccorso non è ancora finita

«Vorrei confermare una notizia che è apparsa oggi e che è davvero molto importante perché rappresenta una svolta nel contrasto all'immigrazione clandestina: per la prima volta nella storia siamo riusciti a rimandare direttamente in Libia i clandestini che abbiamo trovato ieri in mare su tre barconi. Non è mai successo. Fino ad ora dovevamo prenderli, identificarli e rimandarli nelle nazioni di origine. Per la prima volta la Libia ha accettato di prendere cittadini extracomunitari che non sono libici, ma che sono partiti dalle coste libiche. Proprio in questi minuti le nostre motovedette stanno attraccando nei porti libici, restituendo alla Libia 227 cittadini extracomunitari clandestini che sono partiti dai porti libici. Ci abbiamo lavorato per un anno intero e mi pare che questo sia un risultato veramente storico. Mi auguro che prosegua così, naturalmente, questo comportamento leale della Libia nei confronti nostri. Merito degli accordi che abbiamo fatto, merito dell'intensa attivitá diplomatica che abbiamo svolto. Nei prossimi giorni partirá anche quel famoso pattugliamento con le motovedette italiane. Ad un anno esatto dalla nascita del Governo Berlusconi possiamo dire, che su questo tema, la lotta all'immigrazione clandestina, abbiamo realizzato esattamente quello che volevamo realizzare ».
Lo ha affermato il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ospite della rubrica di Maurizio Belpietro, "Panorama del giorno", su Canale 5.



Maroni ha rivendicato quanto accaduto come “un risultato storico” e annunciato che sarà la prassi della prossima stagione di sbarchi


Nessuno dei passeggeri è stato identificato, nessuno degli eventuali minori non accompagnati è stato tutelato, nessun rifugiato è stato messo nelle condizioni di chiedere asilo politico, e nessun medico ha verificato le condizioni di salute dei naufraghi. Prassi che sulla terra ferma sono obblighi previsti dalla legge. Ma non in mare aperto, fuori dalle frontiere e dallo stato di diritto.
  • Che ne sarà del soccorso in mare, quando la priorità non è più la vita dei naufraghi, ma le trattative sul dove portarli?
Nel Canale di Sicilia sono morte almeno 3.467 persone negli ultimi dieci anni. Ora che la nostra Guardia costiera ha ricevuto l'ordine di non intervenire in alto mare, senza autorizzazione del ministero dell'Interno, previa consultazione-scontro con Malta, rischiano di raddoppiare. Ieri è andata bene perché il mare era calmo. Ma col mare in tempesta e onde altre quattro metri, bastano pochi minuti di ritardo a decidere la morte di centinaia di persone

  • Che cosa succederà ora, ai migranti respinti in Libia?

A seconda delle nazionalità, alcuni saranno rimpatriati in pochi giorni (ad esempio verso Tunisia e Egitto), altri saranno tenuti a marcire nelle carceri libiche per mesi, o per anni.


In che condizioni?




La porta di ferro è chiusa a doppia mandata. Dalla piccola feritoia si affacciano i volti di due ragazzi africani e un di egiziano. L’odore acre che esce dalla cella mi brucia le narici. Chiedo ai tre di spostarsi. La vista si apre su due stanze di tre metri per quattro. Vedo 30 persone. Sul muro hanno scritto Guantanamo. Ma non siamo nella base americana. Siamo a Zlitan, in Libia. E i detenuti non sono presunti terroristi, ma immigrati arrestati a sud di Lampedusa... CONTINUA





Stipati come animali, dentro container di ferro. Così gli immigrati arrestati in Libia vengono smistati nei centri di detenzione nel deserto libico, in attesa di essere deportati. Siamo i primi giornalisti autorizzati a vederli. Le condizioni dei centri sono inumane. I funzionari italiani e europei lo sanno bene, visto che li hanno visitati. Ma si astengono da ogni critica, alla vigilia dell'avvio dei pattugliamenti congiunti...CONTINUA





Di notte, quando cessano il vociare dei prigionieri e gli strilli della polizia, dal cortile del carcere si sente il rumore del mare. Sono le onde del Mediterraneo, che schiumano sulla spiaggia, a un centinaio di metri dal muro di cinta del campo di detenzione. Siamo a Misratah, 210 km a est di Tripoli, in Libia. E i detenuti sono 600 richiedenti asilo politico eritrei, arrestati al largo di Lampedusa o nei quartieri degli immigrati a Tripoli...CONTINUA

Nel 2005 l’Italia era stata condannata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo proprio perché aveva effettuato dei respingimenti collettivi dei migranti sbarcati a Lampedusa a partire dall’ottobre del 2004, con voli, prima militari e poi charter, decollati dall’aeroporto di Lampedusa con destinazione Tripoli e Misurata. Un precedente che il ministro dell’interno Maroni sottovaluta, o meglio, sembra ignorare del tutto. Come sembra ignorare che la Libia non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951 e dunque non riconosce il diritto di asilo, soprattutto a coloro che non sono di fede musulmana, come somali, eritrei e nigeriani, vittime di ogni tipo di abusi in quel paese.

Per il governo italiano, e per quello maltese, si tratta solo di clandestini, vite a perdere, non importa a nessuno dei due se questi muoino nelle carceri di Gheddafi o nelle acque del Canale di Sicilia.

VERGOGNATEVI, siete DISUMANI!





FONTE: Fortress Europe

La vignetta è di : Roberto Mangosi

martedì 28 aprile 2009

Fermiamo il Ponte sullo Stretto

Roma, 7 apr.

Il ponte sullo stretto di Messina sarà portato avanti nei tempi stabiliti perchè resta un'opera fondamentale. Lo ha detto il Premier Silvio Berlusconi, intervenendo a L'Aquila per fare il punto della situazione del terremoto.

"La manderemo avanti nei tempi più veloci possibili", ha assicurato Berlusconi, sottolineando "non abbiamo preoccupazioni circa la possibilità di reperire i fondi necessari". ( la Repubblica.it)


*************************************


Dopo la distruzione de L’Aquila si è fatto un gran parlare della
prevedibilità dei terremoti.
I quali comunque tendono a tornare nei luoghi dove già hanno colpito: ed è terra ballerina praticamente l’intera Italia che
il Governo vorrebbe riempire di centrali nucleari.
Non solo Il ponte sullo Stretto di Messina, che costerà lacrime sudore e sangue ai contribuenti italiani e al quale Berlusconi non intende rinunciare nemmeno se le circostanze obbligheranno a fare a meno di qualcuna delle grandi opere cui tiene tanto.

Ebbene, ho scartabellato un po’ in rete.
Facendo i debiti scongiuri, sapete
quando è statisticamente probabile che si verifichi a Messina un violento terremoto?
Suppergiù negli anni in cui sarà finito il ponte.

Sempre che non cambino idea, come sarebbe auspicabile, dal momento che
lo Stretto è il peggiore dei posti possibili per costruire un ponte.
Lo dicono i geologi, ed ora provo a spiegarvi.

Un’analisi della situazione è stata pubblicata nel 2006 sul
*Giornale di Geologia Applicata, una rivista dell’AIGA, Associazione Italiana di Geologia Applicata e Ambientale.
Si intitola “Aspetti geologici e di stabilità per il Ponte sullo Stretto di Messina”
.
L’articolo è a firma di Alessandro Guerricchio e Maurizio Ponte, il primo ordinario di Geologia applicata e il secondo assegnista di ricerca all’Università della Calabria. Il loro lavoro prende in esame la stabilità geologica della sponda calabrese cui dovrebbe appoggiarsi il ponte, considerata dai più affidabile.
Secondo Guerricchio e Ponte invece la sponda calabrese è coinvolta da movimenti franosi “che potranno pregiudicare la corretta funzionalità del ponte” e “le analisi di stabilità eseguite hanno finora fornito risultati preoccupanti”.
Non solo. I due - geologi, ripeto, non Cassandre da strapazzo - pur con tutte le cautele del caso
hanno calcolato in circa 135 anni il probabile tempo di ritorno nella zona di terremoti particolarmente violenti, come quello che distrusse Messina nel 1908. Giungono ad ipotizzare quindi che “il prossimo evento di particolare energia”, eufemismo per indicare appunto il terremoto, capiterà fra il 2030 e il 2050. Cioè più o meno a partire dal momento in cui taglieranno il nastro inaugurale del ponte.
In seguito al terremoto del 1908,
le due coste della Sicilia e della Calabria si allontanarono di colpo di settanta centimetri.
Contemporaneamente la costa calabra sprofondò di 55 centimetri rispetto al livello del mare e quella siciliana di 75.
I movimenti della zolla africana e di quella euroasiatica dovrebbero spingere la Sicilia verso Nordovest e la Calabria verso Nordest a una velocità di circa un centimetro all’anno. Eppure, gli strumenti installati da decenni sulle due sponde non rilevano alcuno spostamento, perché sotto lo Stretto passa una faglia sismica, che assorbe la tensione e impedisce alle coste di allontanarsi. Quando la faglia sarà completamente carica, libererà improvvisamente tutta l’ energia accumulata e la sfogherà in un violento terremoto.
Le due coste dello Stretto si sposteranno quindi l’una rispetto all’altra, più o meno come nel 1908.

Hai voglia a
tener su un ponte in quelle condizioni. Neanche se lo costruissero con un chewing gum…

Giornale di Geologia Applicata

Aspetti geologici e di stabilità per il Ponte sullo Stretto di Messina

Il terremoto di Messina e la situazione dello Stretto di Messina


"Rinunciamo al ponte e mettiamo in sicurezza il 100% delle case dello Streto di Messina".

E' l'appello lanciato dal quotidiano Liberazione che promuove una campagna contro la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, per chiedere che " i soldi destinati a quest'opera faraonica e pericolosa siano reinvestiti nella messa in sicurezza di quell'area ad altissimo rischio sismico. E' una sfida, che se vinta, può contribuire ad una svolta generale nella politica e nella cultura sociale ed urbanistica dell'Italia"

''Mentre il Paese e' mobilitato per portare soccorso alle popolazioni terremotate e ricostruire le case, i servizi e l'economia dell'Aquilano - scrive il quotidiano comunista - dobbiamo fare tesoro della tragica lezione dando priorita' agli investimenti per l'adeguamento antisismico degli edifici delle aree geologicamente piu' a rischio. E' questa la vera emergenza sicurezza''.



Clicca quì per firmare,




In libreria
Il mostro sullo Stretto Il mostro sullo Stretto
Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte
5.80 euro, spese di spedizione incluse

Il libro si apre con l’analisi del “club delle grandi opere”. Prosegue con uno studio sull’impatto sociale, quindi il ruolo delle mafie. Fondamentale e trascurata, la questione conti pubblici. Si analizza poi l’impatto ambientale. Infine il capitolo sulle convergenze tra gli “amici del ponte” e i conflitti che insanguinano il pianeta.


La vignetta è di : Mauro Biani

FONTE: http://blogeko.libero.it/

.