Ascoltate Josè Saramago intervistato da Serena Dandini

mercoledì 22 ottobre 2008

Reportage siciliano

Considerazioni di un campano in Sicilia


Rilevo dalla mia agenda che sono ben due gli anni di assenza dalla terra che fu di Peppino Impastato. Eccola Palermo che in tanti considerano “capoluogo dimenticato da una classe politica che sembra non voglia governarla”. Nell’agosto del 2006 erano gli ex detenuti che avevano goduto dell’indulto ad occupare la Cattedrale, giustamente chiedevano alle autorità un reinserimento nel mondo del lavoro perché non avrebbero voluto ritornare al collocamento della criminalità organizzata che senz’altro gli avrebbe trovato in poche ore una “nuova” sistemazione. Adesso, invece, a trovare asilo tra le mura sacre sono i senza tetto, un gruppo numeroso di famiglie sgomberato da abitazioni che occupavano senza titolo. Sostengono di cercare semplicemente “un riparo, un tetto e nulla più”.

“Palermo è piena di appartamenti confiscati alla mafia –sottolinea Umberto Santino del Centro Impastato- perché non procedere all’assegnazione di tali beni in favore di queste famiglie?” Di tutti gli interventi registrati in queste ore questo risulta essere senz’altro il più interessante una provocazione, però, che da queste parti difficilmente potrebbe trovare proseliti.

A Palermo, insomma, la Cattedrale, il maggior Tempio Cristiano rappresenta un simbolo che supera ogni aspettativa di chi non conosce le vicende del luogo.

Il mio alloggio è in via Cusmano, di fronte c’è un pensionato gestito da suore che apre le porte anche alla cittadinanza soprattutto in estate per concedere l’utilizzo di una piscina. Alle suore, però, non bastano cinque piani dove sono collocati gli alloggi, hanno deciso di farne costruire ancora un altro. Gli agenti dell’antiabusivismo della polizia giudiziaria, dopo svariate segnalazioni, sono intervenuti ponendo i sigilli che sono stati prontamente rimossi dalla ditta esecutrice dei lavori. “A qualcuno – riferiscono gli abitanti della zona- le suore hanno risposto di seguire solamente la legge di Dio”.

Qui a Palermo nessuno crede che a Napoli e in Campania il governo Berlusconi abbia risolto l’emergenza rifiuti, tutti mi chiedono di raccontare qualcosa in più. La gente non crede a ciò che gli racconta un certo tipo di informazione anche perché qui in Sicilia pare che ci si possa ritrovare da un momento all’altro nella medesima ecatombe campana. Le cronache locali scrivono di un incendio avvenuto in una discarica abusiva a Campobello, nella Valle del Belice, dove “da una decina d’anni vengono indiscriminatamente abbandonati rifiuti di ogni genere compresi quelli altamente inquinanti.” Non è Napoli, non è Campania, ma i presupposti non sono del tutto confortanti. Anzi questa terra, ed in particolar modo la città di Palermo, continua ad intrattenere saldi rapporti con il capoluogo partenopeo. Ad affermarlo sono le indagini portate a termini dalla sezione narcotici della squadra mobile palermitana che ha sgominato una banda, dedita al traffico di sostanze stupefacenti composta da 6 napoletani, cinque palermitani, un bulgaro ed un algerino.

Il quartiere Brancaccio mantiene con Palermo una linea di confine “naturale”: un passaggio a livello che segna una precisa demarcazione facendo de quartiere un’ “appendice che differenzia le identità”. Gli abitanti del quartiere, infatti, abitualmente dicono, quando si spostano, “di andare a Palermo”. Nel quartiere che fu di Don Pino Puglisi le fogne sono insufficienti, basta qualche pioggia per far comparire un fiumiciattolo di fango che minaccia le abitazioni ubicate a fronte strada. Ognuno pensa per se e ad allontanare il fango con delle scope. Tutte questa abitazioni, che a Napoli chiamano bassi, sono delle ex stalle o locali che un tempo venivano adibite a deposito. Sono tutte abusive e nessuna di esse può godere del certificato di abitabilità. Ma a soli pochi metri dalle porte di ingresso si alza la polvere dei cantieri della metropolitana. La modernità, sotto certi aspetti, sta per arrivare anche a Brancaccio.

Il Centro di Accoglienza Padre Nostro è stato fondato da Don Pino Puglisi nel gennaio del 1993 ed oramai rappresenta un punto di riferimento insostituibile nelle attività sociali di questo territorio tra le quali va evidenziata quella svolta nell’ambito delle “Case famiglia” dove trovano ospitalità le donne che denunciano maltrattamenti subiti nell’ambito familiare o ragazzi le cui famiglie non possono più badare alle proprie esigenze. Un’attività coraggiosa svolta in un territorio difficile e spesso ostile agli operatori del Centro: “Più di una volta –mi riferiscono- abbiamo trovato tantissimo sterco nel campetto di calcio e poi in pieno giorno, approfittando della nostra momentanea assenza, eressero dinanzi alla porta d’ingresso un muretto alto cinquanta centimetri circa lasciando sul posto gli attrezzi adoperati insieme ad alcuni chiodi che fuoriuscivano dal cemento”. In piazza Anita Garibaldi, dove don Pino abitava e dove venne barbaramente assassinato, il monumento che ne ricorda l’uccisione è abbandonato a se stesso, non curato e offeso dai graffitari mentre alcune fioriere sono state divelte. Anche la poesia di Mario Luzi risulta illeggibile. Il luogo esatto dove Don Pino cadde sul selciato non è indicato un’autovettura ne offende la sacralità.

Il direttivo del centro Padre Nostro chiese di fare della casa di Don Pino un luogo della memoria ma l’abitazione è stata venduta e anche la richiesta fatta alle autorità palermitane, “che qui a Brancaccio vengono solo per la commemorazione annuale del sacerdote”, di fare di questa piazzetta una piccola isola pedonale è stata dimenticata in fretta.

La casa del primo pentito di mafia Leonardo Vitale, che sua sorella Maria, entrata in monastero, ha donato ai frati minori conventuali di Palermo, diventerà un centro per la formazione spirituale e la prevenzione della devianza giovanile.

Alcuni occhi ci spiano dalle finestre e chissà che non si tratti degli stessi che videro Don Pino agonizzante sul selciato.

Pino Maniaci è un giornalista che sporca le sue scarpe non solo per rincorrere la notizia, per fare lo scoop come si suole dire, ma è uno di quelli che ancora crede nella corretta informazione. Un tipo tosto, uno che unisce i fatti alla morale, uno che non indietreggia mai. La sua piccola tv, Telejato, trasmette dagli studi, tre stanze, siti in Partinico un piccolo paese siciliano ad alta densità mafiosa. La Tv è a conduzione familiare insieme a lui vi è la moglie ed i suoi figli insieme a tre collaboratori.

Pino ha pagato sulla propria pelle lo scotto di questa sua professionalità. L’ultima aggressione l’ha subita qualche mese fa quando è stato picchiato mentre percorreva le strade del paese. Da allora è nata una campagna di solidarietà chiamata “Siamo tutti Maniaci”, chi vuole può andare negli studi di Telejato e leggere il tg in sostituzione di Pino. Ma la giornata è tutt’altro che statica. Pino è appena rientrato da Bologna, agli stati generali dell’informazione, dove gli hanno consegnato un premio per il suo impegno professionale. Lo hanno indicato come esempio da seguire nel settore della comunicazione e lui invece ha così licenziato la platea e gli organizzatori: “Se la mia attività quotidiana dev’essere un esempio da seguire allora lo stato della comunicazione in questo Paese è in una fase comatosa”. Parole profetiche visto il quasi totale silenzio che ha contraddistinto l’informazione, se si esclude un approfondimento di Salvo Palazzolo dalle colonne di Repubblica, a seguito di una lettera pubblicata dal quotidiano “La Sicilia” e firmata da Vincenzo Santapaola che al momento è sottoposto al regime carcerario regolato dall’art. 41 bis.

Con noi c’è anche un troupe francese, qui in Sicilia per realizzare un format per la tv del proprio Paese. Nonostante vi siano anche due tecnici italiani la loro meraviglia non trova sollievo, sembrano visitatori di un giardino zoologico.

A Partinico non si va solo per leggere il tg a Telejato perché senz’accorgersene ci si ritrova inviati sul territorio insieme a Pino. Questa volta è stato installato un ripetitore telefonico alimentato da un generatore a gasolio, in barba a tutti i regolamenti, a meno di trecento metri dalle abitazioni del centro abitato. L’artista Gaetano Porcasi vi appone uno striscione dove si legge:

“Si muore, Partinico, si muore”.

Nessuna protesta, anche dal circolo locale di Legambiente nessuna segnalazione.

Le voci che si levano contro la piovra mafia, che oramai anche qui in Sicilia ha levato la coppola e ha indossato l’abito blu e camicia con colletto bianco, anche dal mondo dell’associzionismo, sono tante ma un po tutte impegnate a seguire il proprio cammino.

Chi denuncia il racket si sente solo anche se l’impegno delle forze dell’ordine sembra costante. Proprio in questi giorni sono stati effettuati cinque arresti nel siracusano tutti, riferiscono gli inquirenti, appartenenti della cosca Nardo. Nonostante questo continuo impegno delle forze dell’ordine gli imprenditori chiedono, definitivamente una presenza sostanziale dello Stato. Non è caso che negli ultimi sei mesi si sono registrate solamente 22 denunce di estorsione. Va comunque ricordato che a tre anni dalla sua denuncia Vincenzo Conticello, titolare del’antica focacceria San Francesco di Palermo, non ha ricevuto ancora un euro di indennizzo.

Segnali inquietanti come quelle cisterne azzurre presenti in tutte le abitazioni: a Palermo l’acqua non è sempre corrente e per questo bisogna attrezzarsi per sopperire ad ogni esigenza. Ad Agrigento, invece, oltre questa ormai consolidata “emergenza”, si registra la bolletta più cara d’Italia per usufruire di questo servizio.

Palermo affoga nel caos di un traffico rumoroso e disordinato, è sera e a via Notarbartolo anche l’albero di Falcone, quello dove il giudice assassinato dalla mafia abitava, appare un corpo estraneo mentre la piccola guardiola utilizzata dalla vigilanza sembra uno scheletro di una fabbrica dismessa, un manufatto troppo ingombrante per i passanti. (di Pietro Nardiello)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Senti Rosa,
ma se ieri sera ad Annozero, (vai a vedere la puntata sul sito se non l'hai visto) l'On. Castelli ha detto che l'emergenza rifiuti a Palermo è durata solo una settimana per via dello sciopero degli addetti, e che tutto è tornato pefettamente normale....
E poi è così, se Denunci sei solo... lo sappiamo...
Purtroppo quando parliamo di mafia oggi, non parliamo piu' dei mafiosi rappresentati nei vecchi film con la coppola...oggi è un'altra storia!!
Un bacio
Ornella