Ascoltate Josè Saramago intervistato da Serena Dandini

martedì 31 marzo 2009

Tragedia davanti alle coste libiche

Ieri, 30 marzo si è forse consumata l’ennesima tragedia dell’immigrazione “clandestina”.


Nello stesso giorno in cui il ministro Maroni annunciava che dal 15 maggio saranno avviati i pattugliamenti congiunti di unità italiane e libiche per impedire ai migranti di raggiungere Lampedusa e le coste meridionali della Sicilia, il Corriere della sera riferisce che un peschereccio su cui erano stipate 257 persone che si dirigevano verso l’Italia sarebbe affondato al largo delle coste libiche: “soltanto 23 persone sono state salvate dalla marina libica”. Secondo l’agenzia egiziana Mena, il naufragio è avvenuto a 30 chilometri dalla costa, poco dopo la partenza dalla località di Sidi Bilal, nei pressi di Tripoli.

Di altre due imbarcazioni partite, secondo le stesse fonti, dalla costa libica, non si sa nulla, ma una nave cisterna italiana avrebbe “ salvato 350 immigrati clandestini che erano a bordo di una imbarcazione che si trovava in difficoltà a largo delle coste della Libia”. Secondo altre fonti libiche i pescherecci dispersi sarebbero addirittura due.
Non si sa verso quale porto farà rotta la nave italiana carica di naufraghi.

Speriamo che sia offerta a tutti coloro che lo chiedano la possibilità di richiedere asilo o protezione internazionale in Italia, e che non si ripeta un altro caso Cap Anamur, la nave tedesca alla quale nel 2004, dopo avere tratto in salvo 37 naufraghi, venne impedito di entrare nelle acque italiane, e che solo dopo due settimane di blocco navale riuscì ad entrare a Porto Empedocle con il conseguente arresto del suo comandante, del secondo e del (allora) responsabile della organizzazione umanitaria Cap Anamur. Il processo è ancora in corso davanti al Tribunale di Agrigento.

Queste tragedie, dalle dimensioni ancora imprevedibili, confermano come le rotte dell’immigrazione clandestina si siano ulteriormente allungate, forse per effetto dei maggiori controlli dei tradizionali punti di partenza dei migranti dalla Libia occidentale, come la città di Zuwara, al confine con la Tunisia. In fondo i libici devono dimostrare all’Italia che fanno la loro parte, per incassare i cospicui finanziamenti previsti dal trattato di amicizia italo-libico firmato lo scorso anno da Berlusconi e Gheddafi. Maggiori controlli, ma non troppo. Una autentica manna per le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di clandestini. Si parte sempre dalla costa libica, ma dai porti più ad oriente, a nord di Tripoli ed i viaggi costano sempre di più. E le imbarcazioni arrivano forse anche dall’Egitto.

Le “carrette del mare” usate dalle organizzazioni dei trafficanti sono adesso più grandi, ma sempre stracolme di persone, e qualunque mutamento improvviso di rotta, o un peggioramento delle condizioni del mare, ne può causare il rovesciamento. Immaginiamoci cosa può significare l’intervento di pattugliatori che dovrebbero sbarrare la strada a queste “carrette del mare” per costringerle a rientrare nei porti di partenza, nell’inferno libico, descritto dalle agghiaccianti testimonianze dei migranti raccolte da Fabrizio Gatti nel 2004 e, come allora, ancora pochi giorni fa.

All’inizio dell’anno Maroni aveva dichiarato che «entro gennaio entrerà in vigore l’accordo con la Libia che prevede il pattugliamento delle coste del paese africano». In questo modo, affermava il ministro, si concluderanno «gli sbarchi prima della stagione turistica e Lampedusa tornerà ad essere conosciuta come una delle più belle isole del Mediterraneo e non come la porta di ingresso dei clandestini in Europa». La stagione turistica è arrivata ed il numero di arrivi di migranti, a Lampedusa e nel sud della Sicilia è ancora cresciuto, malgrado le statistiche di comodo diffuse dal ministero.
Non sappiamo quale sarà adesso l’effetto annuncio dell’ennesimo “avvertimento” di Maroni, che promette per il 15 maggio l’avvio del pattugliamento congiunto delle unità navali italo-libiche al limite delle acque internazionali, e forse anche più vicino alla costa, di fronte ai porti di partenza. Esattamente dove è affondata oggi l’imbarcazione carica di migranti, molti dei quali sono morti o ancora dispersi.

Potrebbe anche darsi che le pattuglie di Frontex, agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne, siano già al lavoro nella stessa zona. Di fronte a questa ennesima tragedia chiediamo di sapere se e dove sono attualmente operanti le motovedette di Frontex dislocate nel Mediterraneo centrale e quale siano le regole d ingaggio decise dall’agenzia, che ne dovrebbe sempre rispondere agli organi dell’Unione Europea, il Consiglio, la Commissione ed il Parlamento, e non continuare invece ad operare come un corpo separato, una sorta di super-polizia internazionale.

La vita umana in mare è comunque un valore assoluto, garantito da tutte le convenzioni internazionali, si tratti di migranti economici o di potenziali richiedenti asilo, o ancora di donne o di minori.

Chiunque brandisce lo spauracchio del “pattugliamento congiunto” per respingere indietro le imbarcazioni cariche di migranti potrà forse guadagnare consensi elettorali, ma si macchia per sempre di una gravissima violazione dei diritti fondamentali delle persone migranti, a partire dal diritto alla vita, una responsabilità che dovrebbe essere sanzionata dai tribunali internazionali. Una volta portate le persone in salvo in un porto sicuro e garantito l’accesso ad una procedura di asilo o di protezione internazionale equa e tempestiva, ciascun paese potrà applicare la propria legislazione in materia di espulsione e di accompagnamento in frontiera, nel rispetto delle garanzie di libertà e di difesa previste dallo stato di diritto.

Non sono certo le iniziative di contrasto militare in alto mare che potranno ridurre significativamente l’immigrazione clandestina in Italia, come insegna l’esperienza di questi ultimi anni.

Semmai, potrà solo aumentare, e ancora di molto, il numero delle vittime.

Il Parlamento italiano ha ratificato in bianco, senza neppure avere certezza dei costi e delle modalità di impiego delle sei unità navali concesse alla Libia, un accordo con quel paese che prevede i “pattugliamenti congiunti” e contrasta con il diritto internazionale del mare generalmente riconosciuto e con gli obblighi di salvataggio imposti a tutti i paesi firmatari della Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare. Non si sa quali effetti concreti potrà produrre il dispiegamento di sei motovedette sulla costa settentrionale della Libia, lunga migliaia di chilometri. Ne si può prevedere cosa potrà succedere quando si tratterà di procedere ad interventi di salvataggio.

Di certo, il recente accordo tra Libia e Malta per la ripartizione delle zone SAR ( Soccorso e salvataggio) nel Canale di Sicilia non sembra garantire alcuna concreta possibilità di salvezza per i migranti che si troveranno costretti ad attraversare il Canale di Sicilia, per gli scarsi mezzi di cui dispongono i due paesi, e per la scarsa disponibilità, già ampiamente dimostrata in passato, nel rispondere alle richieste di soccorso. Speriamo che le unità della Marina italiana siano ancora messe nelle condizioni di compiere quegli interventi di salvataggio in acque internazionali che hanno operato fino a ora. E impegniamoci anche perché non si continui a negare l’evidenza ed i cittadini italiani sappiano quali sono le conseguenze dirette ed indirette delle politiche di dissuasione violenta della “immigrazione clandestina”.

Il blocco dei flussi di ingresso regolare, la militarizzazione di Lampedusa e le pratiche ostruzionistiche nei confronti dei potenziali richiedenti asilo, non potranno che accrescere nei prossimi mesi il numero di “clandestini” che si troveranno comunque sul territorio italiano, se riusciranno ad arrivare, e che nessuno riuscirà ad espellere, come sta dimostrando l’esperienza fallimentare degli accordi con la Tunisia e come viene provato ancora una volta dalle posizioni che la Libia di Gheddafi sta assumendo sulla scena internazionale. Posizioni che, aggiunte alla diffusa corruzione delle forze di polizia di quel paese, non lasciano certo percepire né una maggiore collaborazione con le autorità italiane né, soprattutto, un qualche rispetto dei diritti umani delle persone migranti che vi transitano, o che da lì si imbarcano dirette verso l’Italia.

( di Fulvio Vassallo Paleologo)


Forse più in la, come già è avvenuto in passato, brandelli di corpi umani rimarranno impigliati nelle reti dei pescatori, perchè questo mare è diventato un cimitero.Il Canale di Sicilia, è ormai la tomba dei clandestini senza nome. Cadaveri che si vanno ad unire ai tanti altri cadaveri strappati all’esistenza, cancellati per sempre, come se non fossero mai stati su questa terra. MAI!

Ogni volta che dalla mia finestra guardo il mare, mi prende l'angoscia. Non ho più osato bagnarmi i piedi, non tanto per la paura di poter toccare un cadavere quanto per non profanare questo immenso incolpevole sepolcro.


Leggi quì tutti gli articoli sui Naufragi e tragedie nel mare pubblicate da Melting pot

La vignetta è di mauro biani

6 commenti:

Gianna ha detto...

Rosa mia, che altra immane tragedia. Ne sono a conoscenza e non mi so dare pace...
Urliamo? E chi ci sente?...
Un abbraccio.

Unknown ha detto...

Io tempo fa mi feci questo pensiero:"se qui sono destinato a morire,allora sfido la morte"

Rosa ha detto...

@stella: Cara, urlerò finchè avrò fiato in corpo, perchè non si può restare indifferenti quando si incontra lo sguardo di uno di loro, appena sbarcato. Non si può far finta che non esistono quando li vedi fuggire disperatamente in aperta campagna, sperando che nessuno li riacciuffi. Perchè questa terra non è mia...perchè io sono più fortunata di loro...perchè spero che qualcuno alla fine ascolti queste urla...perchè nonostante tutto credo che tutto questo un giorno finirà

Unknown ha detto...

...non trovo le parole, sono addolorato

Gianna ha detto...

Rosa d'indole sono ottimista, ma di fronte a queste terribili tragedie continue io mi sento male...

Damiano Aliprandi ha detto...

Bisogna urlare come stai facendo tu cara Rosa, se ci rassegniamo è finita.

Ti giuro ma le tue ultime parole mi hanno commosso.