Forse non è il caso di scomodare Adolph Hitler ed il nazionalismo estremo del XX secolo che, nell’individuare in una minoranza interna (in quel caso con l’antisemitismo) il nemico, il problema della modernità, il piombo nelle ali di una società in crisi, giunse a teorizzare e realizzare il genocidio.
Forse non è il caso di rammentare il fascismo, come fa perfino Famiglia Cristiana, per commentare le uscite della carneade Mariastella Gelmini contro gli insegnanti meridionali che una volta di più nascondono quanto di grave si sta per abbattere sul paese, quel federalismo contro il quale è necessario opporsi.
Una volta di più, l’infantile idiosincrasia non solo italiana dell’individuare un diverso, inferiore, al quale dar la colpa di colpe proprie, emerge come l’essenza di quel concentrato di grettezza, opportunismo, luoghi comuni, egoismo, vigliaccheria, rapacità, arretratezza mascherata da modernità, che è alla base dell’ideologia che per comodità chiamiamo berlusconismo.
Berlusconismo che si conforma su due ali. Da una parte vi è quella leghista, che è la variante più gretta e recessiva, fatta di milioni di Mastro don Gesualdo padani, che temono di essere fregati più di quanto aspirino a fregare il prossimo. Dall’altra c’è quella italoforzuta che del leghismo è la variante ottimista, che le studia tutte per conquistare meschini vantaggi per sé e per i suoi, anche minimi, anche a costi umani altissimi, anche a costo della disgregazione del paese. Entrambe le ali hanno bisogno del nemico.
In principio i nemici furono i lavoratori meridionali, che puzzavano, perché costruivano col sudore del loro lavoro salariato a basso costo la ricchezza della nazione. Quindi fu Roma ladrona, che succhiava il sangue alla società padana perfetta, quella che risciacquava i panni nel dio Po e metteva le insegne delle strade in bergamasco come antidoto alla propria chiusura mentale. Poi furono gli immigrati extracomunitari, i negri. Quindi gli albanesi da incolpare dei più efferati delitti familiari. Ricordate Erica e Omar o Roberto Spaccino e tanti altri assassini che beneficiarono di fiaccolate col pilota automatico in loro difesa.
Quindi è stato il turno dei cinesi, quelli che violando i diritti dei lavoratori obbligavano controvoglia gli imprenditori padani (perfino gli assessori leghisti, come abbiamo appreso in questi giorni) a fare altrettanto e a modificare in peggio i rapporti di produzione a quegli stessi docili lavoratori che poi votano Lega. E se non ci credevano allora la colpa era dell’Europa, e dell’Euro di Prodi. Gestito da Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi l’Euro di Prodi divenne il più grande trasferimento di risorse della storia dai lavoratori salariati a quelli autonomi. Tra poco sarà il secondo più grande, superato dal federalismo fiscale. Basta dar la colpa ad altri e ripeterlo goebblesianamente all’infinito.
Quindi è toccato ai romeni, i nuovi meridionali, i nuovi negri, i nuovi albanesi, che hanno l’aggravante di confondersi con i rom, gli zingari, i rapitori di bambini che mai nella storia hanno rapito un solo bambino. E se ricordi che la responsabilità penale resta personale il leghista medio ti disprezza con un sorriso beota come fossi l’ultimo Azzeccagarbugli.
Al di sopra dei romeni ci sono solo loro: i più odiati, i musulmani, tutti terroristi, che non meritano nemmeno la costituzionale libertà di culto. Ma non importa chi è il nemico. Un nemico è necessario, un nemico serve sempre, come per George Bush. Un nemico qualsiasi, che fosse Saddam Hussein, Osama Bin Laden, Fidel Castro, Vladimir Putin o le patate fritte (alla francese, french fries, per gli statunitensi che le boicottavano). La logica è sempre quella, noi contro loro, mori e cristiani, noi i paesani di Pietro Maso siamo quelli sani, loro, i concittadini di Nicolae Mailat (l’assassino di Giovanna Reggiani), sono la malapianta da estirpare.
Noi contro loro perché è più facile da capire. Noi contro loro perché altrimenti non scatta la macchina del consenso. Noi contro loro perchè altrimenti i nodi del fallimento del neoliberismo verrebbero al pettine. Noi contro loro perché altrimenti dovremmo interrogarci sui limiti della nostra modernità, sulla perdita di valori, cultura, coscienza civile. Noi contro loro nell’illusione che il problema possa essere espulso e noi si possa riprendere la nostra età dell’oro bucolica interrotta dall’irruzione dello straniero.
Noi contro loro perfino quando la logica si ribalta, politica contro antipolitica e viceversa. Noi lavoratori autonomi che, come vuole Renato Brunetta, mandiamo avanti la baracca, contro loro, gli statali, i lavoratori dipendenti, i mangiapane a tradimento, i fannulloni da colpire, come se poi ci fossero famiglie dove entrambe le tipologie, autonomi e dipendenti, non convivano come convivevano serbi e croati prima di essere indotti a scannarsi tra loro.
Adesso, che l’obbiettivo è imporre il federalismo, si ritorna all’antico: tra tutti quanti, gira gira, è sempre il meridionale l’invasore più odiato, anche a costo di perdere qualche voto al Sud. Non sono i tagli del governo all’educazione a far diminuire la qualità della scuola -ha sostenuto Mariastella Gelmini- ma è la carta d’identità dei docenti la tara ereditaria, il cromosoma impazzito che segna il destino della scuola pubblica da smantellare.
Gli insegnanti meridionali sono cattivi, quelli settentrionali sono buoni, ne sono convinti in tutti i bar di Gallarate. Come per le medaglie olimpiche, che i meridionali alla fine hanno vinto in proporzioni simili ai settentrionali, nonostante abbiano meno piscine, meno palestre, meno stadi e meno opportunità, fa capolino la razza. La razza padana è più sana, più atletica, più lavoratrice, ed è circondata da popoli inferiori da schiavizzare nei capannoni, e da dominare, slavi, napoletani, africani, arabi. Mancano solo gli ebrei, ma per ora. Questo si chiama razzismo; smentite e fraintendimenti non contano.
E’ così idiota la pretesa della Ministra Mariastella Gelmini di classificare i docenti in base alla carta d’identità e non in base ai titoli e al lavoro, che non varrebbe neanche la pena di essere commentata, se non con una richiesta in aula di dimissioni immediate da parte dell’opposizione. Richiesta di dimissioni che non arriverà. E’ così idiota ma è l’ennesima cortina di fumo che abbiamo già segnalato, per nascondere i tagli e lo smantellamento della scuola pubblica. Chi scrive ha più volte denunciato come emergenza nazionale il fatto che un numero importante di insegnanti (meridionali e settentrionali) non meritino la cattedra, precaria o di ruolo, sulla quale siedono ed ha anche indicato un rimedio così drastico che nessun ministro metterà mai in pratica: giudicare ed espellere dalla scuola gli inefficienti. Ciò perché il paese forse si può permettere degli impiegati fannulloni, ma non può permettersi degli insegnanti seduti e senza stimoli.
Ammettiamo pure, ma non concediamo, che gli insegnanti meridionali delle scuole settentrionali siano migliori degli insegnanti meridionali delle scuole meridionali ma, proprio i dati OCSE-Pisa che cita il Ministro (disponibili a p. 2 del quotidiano la Repubblica) la smentiscono. Offro pochi numeri cercando di non complicare il ragionamento. Nello studio della matematica la media nazionale ha un coefficiente di 462 punti. La provincia di Bolzano è in testa con 513 punti e la Sicilia in coda con 423 punti. A guardar bene questi dati ciò vuol dire che la provincia di Bolzano, la migliore, ha una media di appena l’11% migliore di quella nazionale mentre quella peggiore, la Regione Sicilia è dell’8% inferiore alla media nazionale. Ovvero sono dati notevolmente coesi, molto più coesi della maggior parte dei dati che dividono Nord e Sud. Se parlassimo di reddito, per esempio, la questione meridionale in queste proporzioni sarebbe un ricordo o quasi.
Le conclusioni che se ne possono trarre sono varie, compresa quella che sono gli insegnanti meridionali a frenare le scuole settentrionali, ma emerge invece soprattutto il valore unificante che persiste nella scuola pubblica. Nonostante le differenze di reddito, di disponibilità di libri, di computer, di connessioni Internet, di occasioni di cultura, di strutture, laboratori, palestre siano tutte abissalmente a favore degli studenti del Nord, proprio la scuola meridionale, che fa le nozze con i fichi secchi, se non ancora con doppi turni e altre carenze croniche, tampona e rende minimo il ritardo, solo l’8% in meno nel caso peggiore (ma appena -4% la Lucania, -4.5% la Campania). Un vero miracolo questa scuola pubblica meridionale, che non abbassa la testa, sulla quale investire per ripartire e non tagliare, come invece vuol fare il governo coloniale padano installato a Roma con il beneplacito di quasi tutti gli italiani.
A parità di risorse e di contesto, la scuola meridionale è dunque paradossalmente più efficiente di quella settentrionale. Faceva notare il preside di un Liceo trentino che invitò un paio d’anni fa chi scrive per una conferenza, che la sua scuola aveva un bilancio triplo (1.5 milioni contro 0,5 milioni di Euro) rispetto a strutture equivalenti nel resto d’Italia. Se questo triplo di risorse si converte in appena un +11% allora è mal speso e chi invece fa nozze con i fichi secchi e riesce a restare indietro di appena una spanna, ha tutta la mia ammirazione.
La rozzezza della Gelmini serve una volta di più a nascondere il dramma: la scuola italiana va male perché ha sempre meno soldi, risorse, strutture, di quelle dei paesi dell’Europa Occidentale con i quali dovremmo competere, non perché gli insegnanti sono nati a Sud del Garigliano e del Tronto. Quella meridionale ha ancora meno soldi e viene tenuta in piedi da migliaia di eroici docenti (dai quali sottrarre una percentuale di sciagurati, che ci sono anche al Nord e verso i quali non si dovrebbero fare prigionieri). La scuola italiana e meridionale va male e andrà peggio perché la Ministra, che non conta nulla, è lì solo per coprire gli ulteriori tagli imposti all’educazione da chi veramente conta, Giulio Tremonti.
Questo deve disperatamente far cassa per quell’enorme piano Marshall in favore dei ricchi che sarà il federalismo fiscale con il quale Berlusconi pagherà la sua tangente a Umberto Bossi e al Nord contro il Centro e il Sud del paese. La cortina di fumo federalista è già pronta. Siamo tutti federalisti e sempre più spesso trovi conversi progressisti dialoganti sulla via di Garlasco: “sì, dateci solo la metà dei soldi, solo così impareremo a gestirli meglio”, come se davvero credessimo che i trasferimenti Stato-Regioni fossero una concessione del Nord al Sud, e come se facessimo finta di non capire che la conseguenza sarebbe in molte regioni la chiusura di scuole e ospedali e la scomparsa dello Stato dal territorio.
La Gelmini è costretta ad alzare un polverone alla settimana per far polemizzare sul nulla o quasi nulla destra e sinistra, come per il grembiule o il 7 (o 5) in condotta. E’ un gioco che abbiamo già scoperto. E invece bisognerebbe parlare di cose serie, per esempio di un partito unionista, apertamente antifederalista, che rivendichi le ragioni unitarie di un’Italia che dal federalismo ha solo da perdere. Siamo davvero così sicuri di essere tutti federalisti? Per contarci si potrebbe cominciare dal non dialogare con chi vuole distruggere la scuola pubblica, chiedendo le dimissioni della razzista Gelmini. ( di
di
1 commento:
Un realistico affresco... Non credo che ci sia altro da aggiungere.
Terrificante.
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