Esattamente trent'anni fa, il 9 maggio 1978, nelle campagne di Cinisi veniva ritrovato il corpo senza vita di Peppino Impastato.
Era l'1,40 della notte quando il macchinista del treno Trapani-Palermo, Gaetano Sdegno, transitando nel territorio di Cinisi, avvertì uno scossone e, sceso dalla locomotiva, trovò i binari squarciati da un'esplosione. Attorno al piccolo cratere, sparsi nel raggio di 300 metri, resti umani. Quelli di Peppino Impastato assassinato dalla mafia a 30 anni, per ordine di Gaetano Badalamenti o"Tano seduto" come lo chiamava Peppino dai microfoni di Radio Aut.
La notizia non fece all'epoca molto scalpore, lo stesso giorno infatti i giornali erano impegnati nel raccontare il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro.
Quando il suo corpo fu ritrovato, stampa e polizia parlarono di un atto terroristico finito male, oppure di suicidio.
Furono proprio la madre Felicia e il fratello Giovanni a raccogliere documenti e denunce per indirizzare le indagini verso la matrice mafiosa del delitto. Grazie a loro, nel 1994 l'inchiesta giudiziaria fu riaperta, e nel 2002 il boss mafioso Gaetano Badalamenti venne condannato all'ergastolo come mandante dell'omicidio.
La morte di un figlio è un momento drammatico. Cosa si prova a sapere che quella morte è stata causata dalla mafia, da chi abitava nello stesso paese?"Non è soltanto un momento drammatico è sicuramente qualcosa di lacerante, difficile da poter descrivere. Ancor peggio è accettare che è stata la mafia locale ad uccidere me figghiu, mio figlio. Provo un senso di sdegno ma non ho mai avuto sentimenti di vendetta".
Ha mai ripudiato Cinisi?"No. Mai. Tanti ricordi mi legano a questa realtà, ci vedo anche un po' di Peppino".
Ha mai avuto paura per l'altro suo figlio, Giovanni, e per gli amici di Peppino?"Ho avuto paura e vivo veramente nell'angoscia".
Lei è stata madre di un figlio "rivoluzionario" e moglie di un mafioso. Ha avuto in casa la mafia e l'antimafia. Come ha vissuto questo contrasto?"È stato terribile. Una situazione ai limiti della sopportazione umana. Non è facile trovarsi in un contesto del genere, non lo auguro a nessuno". Felicia, si ferma. Mi guarda in faccia con l'aria di chi vuole sottolineare quello che sta per dire: "Però ho scelto di stare dalla parte del figlio".
Ha amato Peppino con paura e trepidazione. L'ha difeso da suo marito ma pure allontanato da casa. Come ha svolto il ruolo di madre all'interno di una famiglia di stampo mafioso?"Un ruolo difficile, sicuramente molto doloroso: amare il proprio figlio non è bastato a proteggerlo dalle insidie di questi criminali; ho cercato di proteggerlo dall'ira e dall'arroganza di suo padre. Sono riuscita, solo in parte, a dargli un po' di sollievo... più di questo non potevo fare. Chi vive all'interno d'una famigghia mafiusa, una famiglia mafiosa, ha pochi spazi per crearsi un ruolo ideale per le proprie esigenze".
Qual'era nell'intimità il rapporto tra lei e Peppino? Ricorda qualche gesto d'affetto nei suoi confronti?Felicia sorride. Alza lo sguardo. Rivolge gli occhi di nuovo alla foto del figlio: "Ricordo quelle meravigliose poesie che mi recitava seguite dalle affettuose carezze; quei suoi sguardi profondi che esprimevano una voglia di serenità e di libertà".
In questi 25 anni, prima della condanna all'ergastolo di Badalamenti arrivata l'11 aprile del 2002, non ha mai pensato che lo Stato l'avesse tradita?"Lo Stato mi ha sempre tradita e mi ha sempre lasciata sola. Dopo 25 anni abbiamo ottenuto verità e giustizia, grazie al nostro impegno quotidiano".
Ha mai incontrato la madre di un mafioso?"Prima della morte di Peppino sì. Dopo l'uccisione mai più".
Lei tante volte ha incontrato altre madri che hanno avuto figli ammazzati. Cosa vi siete dette?"Abbiamo cercato di esprimerci a vicenda solidarietà. Certo non è facile accettare certe situazioni. Ma su una cosa siamo sempre state tutte d'accordo: trattenere le lacrime, rimboccarci le maniche e continuare a lottare per un mondo migliore senza lutti e senza miserie. Sono rimasta colpita in particolar modo nell'incontrare Haidi Giuliani, la madre di Carlo. Con lei ci siamo dette le cose che ti ho detto poco fa".
Qualche giorno dopo la morte di Peppino una madre con un sorriso sardonico disse: "Hai sentito? Dicono che su quello straccione devono scrivere un libro. E che c'è da scrivere?". Sono tante le madri che ieri come oggi hanno accettato passivamente il ruolo di veicolo della cultura mafiosa. Lei non l'ha fatto. E dopo la morte di Peppino ha difeso pubblicamente la verità, varcando la porta di casa, recandosi dai magistrati. Dove ha trovato il coraggio?"In certi momenti il coraggio vien da sé. Peppino non poteva passare per terrorista, non avremmo mai potuto accettare un'infamia del genere. In certe situazioni, se hai un minimo di sensibilità e di amore per tuo figlio, devi reagire. Accettare passivamente il ruolo di veicolo della cultura mafiosa, significa fare una scelta di schiavitù e di asservimento nei confronti di chi mantiene un preciso potere".
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