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lunedì 1 dicembre 2008

Allarme colera tra i profughi in RdC

La fuga dei civili dalle regioni orientali del Nord e Sud Kivu continua, nonostante la parziale tregua nei combattimenti tra ribelli di Nkunda, esercito congolese e milizie filogovernative Mayi Mayi.
MSF lancia inoltre un allarme: 5000 profughi sono a rischio colera.



Diminuiscono le ostilità in Nord Kivu ma la situazione umanitaria si mantiene sempre ai limiti del disastro.
E’ salito a un milione e 35mila il numero di sfollati nelle aree di Nord e Sud Kivu e Ituri, in seguito agli scontri fra ribelli ed esercito regolare della Repubblica Democratica del Congo.
Fino a martedì si è invece registrato un flusso di oltre 1.300 profughi congolesi, i quali hanno raggiunto l’Uganda attraverso la città di Inshasa.
Sembra inoltre che una pericolosa epidemia di colera stia dilagando sulle sponde del Lago Edoardo.
Dopo i primi 47 casi sospetti, un’equipe di Medici Senza Frontiere sta cercando di stabilire l’entità dell’epidemia che potenzialmente potrebbe colpire 5.000 rifugiati che si trovano in zona, in seguito alla fuga dai propri villaggi.
L’attuale mancanza di personale sul luogo, dovuta alle difficoltà di trasporto sulle principali vie di comunicazione, rischiano però di far dilatare ulteriormente i tempi.

Intanto è iniziato il trasferimento provvisorio dei rifugiati dal campo di Kibati, posizionato a nord di Goma.
Posto sulla linea di fuoco, la settimana scorsa il campo è stato vittima delle scorribande delle forze militari presenti nell’area.
La precedenza è stata data ad anziani, bambini e persone con urgente bisogno di cure mediche: la loro destinazione sono i campi di Buhimba, Bulengo, Mugunga I e II, situati nei dintorni della città, le cui strutture e servizi sono garantiti e funzionanti.
E’ in oltre in fase di approvazione da parte della Monuc l’allestimento di un nuovo campo, Mugunga III, dove verrebbero trasferiti stabilmente gli oltre 67.000 rifugiati di Kibati.
Il problema rimane quello del trasporto: solo anziani bambini, una volta che il progetto sarà definitivo, verranno trasferiti mediante i camion delle Nazioni Unite mentre, per i restanti, il trasferimento spontaneo verrà supportato dalla Monuc attraverso le stazioni di distribuzione di acqua e viveri, poste sui 15 km del tragitto.
Allo stesso tempo, proprio la Monuc si trova al centro di uno scandalo: quello dei caschi blu indiani.
Una lettera inviata dal governo congolese al segretario generale delle Nazioni Unite, il sud-coreano Ban Ki Moon, chiede di non inviare ulteriori truppe di provenienza indiana.
Quelle già presenti nella zona del conflitto, sono infatti sospettate di essere coinvolte in alcuni degli episodi di abusi sessuali perpetuati sulla popolazione locale nelle ultime settimane.
Un'accusa che era già venuta a galla anche nel 2006, mentre più recentemente i soldati dell'Onu in RdC erano stati al centro di un'inchiesta perchè colpevoli di aver venduto armi ai gruppi ribelli in cambio di droga e diamanti.

A sua volta, il governo congolese si trova a dover rispondere al rapporto presentato ufficialmente mercoledì da Human Rights Foundation, che accusa il governo Kabila di essere responsabile della morte di oltre 500 oppositori negli ultimi due anni. I corpi sarebbero stati occultati nel letto del fiume Congo ed in fosse comuni.
Il governo ha rifiutato la veridicità del rapporto e, attraverso il portavoce del presidente Lambert Mende Omalanga, ha dichiarato il report come “fazioso e politicizzato” nonché “atto a screditare l’operato del governo”.

La momentanea cessazione delle ostilità, che ha visto il ritiro verso est delle truppe ribelli del CNDP e il ritorno a Goma di una parte di quelle del FARDC, ha dato finalmente tempo all’Onu di aprire un caso sui crimini di guerra e sulla lesione dei diritti umani che si sono verificati ad oggi per opera di entrambe le fazioni.
La chiusura delle indagini e l’identificazione dei colpevoli, o almeno di una loro parte, diventerà nuovamente difficile ad una prevedibile ripresa degli scontri in tempi non troppo lunghi.

( di Dino Garzoni da Goma, pubblicato su
Nigrizia.it)

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