Ne proponiamo alcuni testi.
Il gioco della guerra
“Attento, attento che arriva Capitan 2 Mani”, era l'avvertimento che davamo quando catturavamo qualcuno per amputarlo. Di solito riunivamo i nostri nemici in piccoli gruppetti e iniziavamo a intimorirli raccontando quello che sarebbe accaduto. La gente gridava, ci supplicavano di lasciarli in pace, ma il gioco era farli impazzire di paura. Poi arrivava Capitan 2 Mani avevamo fatto una maglietta apposta con le sue iniziali. Si presentava con un machete e la condanna era evidente. Un colpo secco e via. Abbiamo tagliato mani, gambe, piedi, nasi, orecchie, dita. C'era uno del gruppo che si aggirava con un sacco per il riso e raccoglieva gli arti tagliati. Avevano paura di noi. Molti sono morti dissanguati, a volte danzavamo intorno alle nostre vittime schernendole. Eravamo sempre sotto l'effetto della droga, eravamo imbattibili. Mi ricordo un attacco a un villaggio vicino a Kalabatown. Il giorno prima avevamo assalito un convoglio dell'ECOMOG e ci eravamo impossessati delle loro divise. Il piano sembrava molto divertente, il nostro capitano ci aveva ordinato di indossare le divise e fingere di essere soldati dell'ECOMOG che entravano per liberare il villaggio dai cattivi ribelli del Ruf. Alcuni fingevano anche di essere abitanti di altri villaggi liberati. Siamo arrivati nel villaggio, cantando, esultando, festeggiando la liberazione dai ribelli del Ruf. Invitavamo la gente a uscire dalle case e a unirsi ai festeggiamenti. Eravamo così bravi che ci hanno creduto. Quando gran parte del villaggio si era avvicinato abbiamo iniziato a sparare con una ferocia mai vista. Il nostro capitano gridava: “Eccoli qua i vostri cattivi ribelli, ora vi faremo vedere cosa vuol dire essere nemici del Ruf”. Quel giorno fu una strage. Li uccidevamo come fossero mosche, il mio capitano rideva. In quei momenti c'è la più totale confusione, pensi solo ad ammazzare e salvare la tua pelle. Il resto è un gioco. Più ammazzi, più sei degno di rispetto e sali di grado, questa è l'unica legge del bush. Una volta mi arrampicai su un mango e uccisi almeno 10 dell'Ecomog senza che capissero dove fossi. Da allora mi trattavano diversamente, facevo parte dei fidati. Uccidevo per essere accettato e per paura di essere la prossima vittima. Ho vissuto due anni nel bush, ormai il Ruf era diventato la mia famiglia. Per me era normale quello che facevo, ero in guerra, stavo difendendo i miei amici e il mio paese. Ero un ribelle ed ero fiero di esserlo, la gente ci rispettava, avevano paura di noi. Eravamo armati, eravamo imbattibili. Ora, dopo che ho consegnato le armi e che sembra che la guerra sia finita, mi chiamano ancora ribelle. Mi guardano con disprezzo e odio, per tutto quello che ho fatto. Io non li sopporto, divento pericoloso e non riesco più a controllarmi. Ho smesso di prendere droghe, sto cercando di ricostruirmi un futuro, ma non è facile. I miei familiari non mi vogliono, dicono che sono un ragazzo difficile, che il bush mi ha trasformato. Forse perché non riesco a controllarmi, forse si vergognano di me. Spesso ho paura di incontrare gente a cui ho ammazzato qualcuno, non mi sento mai tranquillo, è come se la guerra non fosse mai finita. Non voglio rimanere per sempre un ex ribelle. Non è facile convivere con questo passato, ancora meno facile è accettare che gli altri ogni giorno me lo sbattano in faccia. Vivo da alcuni mesi nel centro di St. Michael, dove ho trovato gente che cerca di aiutarmi. Sto imparando un lavoro come falegname, spero di riuscire a mantenermi.
Augustine, 16 anni
Nel bush ho perso la verginità
Era una mattina di fine gennaio. Mia madre mi aveva svegliata per andare a prendere l'acqua al fiume. Come al solito facevo finta di dormire, sperando che si stancasse di chiamarmi e mandasse qualcuna delle mie sorelle. Ma quella mattina toccava a me. “Fatmata, Fatmata, Fatmata”, sentivo la voce di mia madre alterarsi. Decisi, per evitare discussioni, di alzarmi. Presi un grosso secchio e mi recai al fiume. Faceva caldo, soffiava l'harmattan, era come se una leggera sabbia avesse ricoperto tutto. Camminavo per il sentiero, attraversando il mio piccolo villaggio, salutando come ogni mattina amiche, amici e parenti. Qui, da noi, le famiglie sono molto numerose. "Fatmata, Fatmata, dormito bene?". Sentii una voce alle spalle, era la mia migliore amica, Sowe, in un'impeccabile divisa bianca e blu, stava andando a scuola. La invidiavo, avrei voluto andare a scuola, ma in famiglia siamo in otto e i miei non guadagnano a sufficienza per mandarci tutti a scuola. Io sono la figlia maggiore, ho 14 anni, mi sono sempre occupata dei miei fratelli e ho sempre aiutato mia madre in casa e nell'orto, da sola sarebbe stato difficile per lei. Così Sowe, quando ritornava da scuola, mi veniva a trovare e mi raccontava quello che aveva fatto, a volte ripassavamo insieme la lezione. Quel giorno era particolarmente contenta, i suoi genitori le avevano appena regalato un libro di geografia, non avevo mai visto un libro così nuovo, era pieno di strane cartine, mi affascinava. Per andare a scuola dovevamo percorrere una grossa strada di terra rossa, c'era tanta gente che camminava. Ogni volta che passava qualche macchina o un grosso camion la gente si spostava ai lati della strada perché si alzava un grosso polverone e per un po' non si poteva vedere niente. Volevo prendere una strada alternativa, un sentiero per i villaggi, ma Sowe aveva fretta di andare a scuola. Non vedevo niente. Sentii delle grida e dei corpi venirmi incontro, era gente che scappava. Presi la mano di Sowe e iniziammo a correre, non capivo cosa stesse succedendo, non sapevo da cosa stessi scappando, ma scappavo. Ricordo la polvere, le auto che suonavano, la gente che gridava poi... gli spari, tanti. Stavamo correndo in direzione del nostro villaggio, volevo tornare a casa. Sowe piangeva, aveva perso i suoi bei libri, non potevamo tornare indietro. Lasciai la strada principale e presi un sentiero che portava al mio villaggio. Continuavo a sentire gli spari, ma almeno potevo vedere. Non sentivo più le mie gambe, correvo, correvo, senza lasciare un istante la mano di Sowe. In lontananza, in direzione del mio villaggio, vedevo alzarsi del fumo. Non capivo più niente, alle spalle gli spari e davanti il fuoco. Arrivai al villaggio e la mia casa stava bruciando, soldati bambini si divertivano a versare taniche di kerosene e a dargli fuoco, sparavano, rubavano, inseguivano la gente con il machete. Avrei voluto essere invisibile, non sapevo dove nascondermi. Sowe gridava. Non mi ricordo se sono svenuta o mi hanno colpita, so solo che, quando mi sono risvegliata, del mio villaggio era rimasto poco. Dovunque tanto fumo, fuoco, corpi senza arti, sangue... pozze di sangue. I ribelli ci hanno circondate. Erano tutti armati, non ci mettevano molto a sparare, sembrava che si divertissero. Si sentivano invincibili. Continuavano a gridare "Vi ammazzeremo tutti! Il Ruf sta combattendo per la sua gente, per il suo Paese, vi siete venduti agli stranieri, maledetti traditori". Io non capivo cosa volessero. Ci hanno catturate. Sowe non era più con me e non riuscivo a vederla.. Mi hanno costretta ad andare con loro. Abbiamo marciato per giorni, senza mangiare. Non so quante miglia abbiamo camminato, so solo che i miei piedi non ce la facevano più. Finalmente arrivammo in un villaggio in foresta. Qui, conobbi il comandante Rose, era una donna non oltre la ventina. Subito ordinò di separare i maschi dalle femmine, e scelse un gruppo di ragazze tra i 10 e 15 anni, tra cui c'ero anch'io. Ci mise in fila e ci ordinò di stare ferme mentre si piegava per infilare le sue dita dentro la nostra vagina per verificare se eravamo ancora vergini. Io cercavo di non piangere e di non muovermi, avevo tanta paura. Le mie compagne più piccole piangevano, i ribelli le schiaffeggiavano per farle smettere. Quando il comandante Rose finì di toccare ognuna di noi, separò le vergini da quelle non vergini. Nessuno mi aveva toccato prima di allora. Sapevo come si faceva, avevo visto mia madre e mio padre, le mie amiche mi avevano raccontato le loro prime esperienze. Ma non l'avevo mai fatto. Mi ricordo che il comandante Rose mi prese per un braccio e disse: "Questa è una dolce papaia. Proprio quello che il mio comandante cercava". Così ho perso la verginità. Avevo solo paura di morire.
Fatmata Bumbuya, 14 anni
Ripartire da Lakka non è facile
È difficile tornare. E poi dipende dove torni. Mio padre si è sposato tre volte, non so quanti fratelli ho, non tengo più il conto. Prima che mi prendessero i ribelli vivevo in un villaggio con mia nonna. La vita lì non era male, mio padre ci dava un po' di soldi, avevamo un orto e del pollame. Per noi era sufficiente. La mia casa è stata bruciata e mia nonna ora vive da una sua sorella in un quartiere di Freetown, dominato da baracche fatte di lamiera ricoperte di plastica e legno. Non so come potremo vivere, io mi devo occupare di lei. È difficile ricominciare da una casa di latta, non c'è spazio per respirare. La gente sopravvive di espedienti. Non voglio rispondere a nessuna domanda, non voglio che mi guardino con paura. So cosa pensa la gente di noi ex combattenti. Ci temono, pensano che siamo tutti drogati, ragazzi capaci di uccidere. Io non ho scelto questa vita, mi hanno costretto, mi hanno cambiato nome, identità, nel bush ogni giorno ho vissuto con la paura della morte in agguato. Sono stato fortunato: non mi hanno tagliato niente, altrimenti la mia povera nonna si sarebbe dovuta prendere cura di me! Nessuno si deve permettere di chiamarmi ribelle. Ho imparato a uccidere, è vero, ma mi drogavo per farlo. Ho rubato, bruciato case. Non voglio ricordare. Spero che mi lascino in pace. Voglio solo ricominciare.
Mohamed, 15 anni
Testimonianze tratte da:
Disegni di guerra
8 commenti:
Volevo solo farti complimenti.
Per il resto...indignarsi? No! Incazzarsi e far sentire,in tutti i modi, la nostra voce.
Un saluto
Rosa è raccapricciante ciò che ho letto...
Non ho parole per commentare,penso non ce ne possano essere...
Uccidere bambini in modo orrendo!
Non è giusto che succedano cose del genere e che chi non se ne preoccupa minimamente faccia la morale, facendoci credere di voler salvare il mondo. Salvate queste creature, piuttosto, invece di riempirvi la bocca!
Sono senza parole, questi racconti sono atroci.
:*-(
agghiacciante!
come possiamo essere così ciechi quando guardiamo l'Africa con gli occhi del turista...
l'occidente guarda come ha sempre fatto, e sfrutta tutto lo sfruttabile.... senza minimi sensi di colpa.
Purtroppo, è una verità attroce: ci ho pubblicato un libro e presentando quel libro in giro scopro spesso che la gente non a conoscenza di questo orribile fatto. E a pensare che spesso questi bimbi combattono, come qualcuno ha già detto, per i diamanti, oro e petrolio che alla fine non sfrutterano manco un pasto per loro.
testimoniare è un dovere mentre riuscire a smuovere le coscienze oggi come oggi è davvero arduo..forza rosa
@renato baldi: Benvenuto nel mio blog,grazie per il commento e per i complimenti.
@stella: Raccapricciante, è il termine giusto.
@silvia:Esatto!Facendoci credere di voler salvare il mondo.
@:Aggiacciante,
terrificante,
raccapricciante....
@Calendula/trattalia:tutto vero purtroppo
@blessing:un libro? E non me ne hai mai parlato?
@mau/c: grazie!;)
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