Ascoltate Josè Saramago intervistato da Serena Dandini

venerdì 31 ottobre 2008

"Gli omosessuali non possono diventare preti"

Niente sacerdozio per chi è omosessuale o vive il celibato con difficoltà. Lo ribadisce in modo netto il Vaticano in un nuovo documento in cui si sostiene che coloro che manifestano "tendenze omosessuali fortemente radicate" o un'identità sessuale "incerta" non posso entrare in seminario e diventare preti. La Santa Sede suggerisce anche l'uso di psicologi per valutare eventuali patologie e "ferite" psichiche dei candidati al sacerdozio. E la tonaca deve essere negata anche a chi - spiega il testo - trova difficoltà "a vivere la castità del sacerdozio".

A tre anni da un documento della Congregazione per l'educazione cattolica (2005), lo stesso dicastero della Santa Sede pubblica un testo di più ampio raggio, "orientamenti per l'utilizzo delle competenze psicologiche nell'ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio", che torna anche sul tema dell'omosessualità in seminario.

"Il cammino formativo - si legge nel documento - dovrà essere interrotto nel caso in cui il candidato, nonostante il suo impegno, il sostegno dello psicologo o la psicoterapia, continuasse a manifestare incapacità ad affrontare realisticamente, sia pure con la gradualità di ogni crescita umana, le proprie gravi immaturità (forti dipendenze affettive, notevole mancanza di libertà nelle relazioni, eccessiva rigidità di carattere, mancanza di lealtà, identità sessuale incerta, tendenze omosessuali fortemente radicate, etc). Lo stesso - aggiunge il documento - deve valere anche nel caso in cui risultasse evidente la difficoltà a vivere nel celibato, vissuto come un obbligo così pesante da compromettere l'equilibrio affettivo e relazionale".

Più specificamente, "nella valutazione della possibilità di vivere, in fedeltà e gioia, il carisma del celibato, quale dono totale della propria vita ad immagine di Cristo capo e pastore della Chiesa, si tenga presente che non basta accertarsi della capacità di astenersi dall'esercizio della genitalità, ma è necessario anche valutare l'orientamento sessuale, secondo le indicazioni emanate da questa congregazione".

Nel 2005 la Congregazione vaticana responsabile dell'educazione pubblicò una "Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al seminario e agli ordini sacri". L'iniziativa venne assunta sulla scia dello scandalo pedofilia negli Stati Uniti, anche se, all'interno della stessa Chiesa cattolica, diverse voci si levarono contro una connessione tra pedofilia e omosessualità. "La castità per il regno - scrive oggi il dicastero vaticano - è molto di più della semplice mancanza di relazioni sessuali
( Fonte : La Repubblica.it )




RIFLESSIONE:

"NON POSSONO DIVENTARE SACERDOTI...
PAPA SI'!"

Ma Dio che ne pensa?

Foto e riflessione di Franca Rame

giovedì 30 ottobre 2008

Squadrismo, regime e movimento

Siamo alle spranghe tricolori.
“Voi a colpi di decreti legge, noi a colpi di spranga”,
potrebbe essere lo slogan dei neofascisti ruota di scorta del governo.

Tutti i distinguo, i non siamo negli anni ‘20, i la nostra è una democrazia matura, i siamo un paese dell’Unione Europea, tutte le riflessioni che ci siamo sbrodolati addosso per 14 anni sull’irripetibilità del ventennio, sulla diversità di condizioni, si sciolgono di fronte ad un camion di neofascisti che scendono con le spranghe tricolori e menano a manca e… a manca mentre la polizia guarda altrove.



Hanno un bel dire che il fascismo regime usò poco la violenza, anche se bene ha fatto Walter Veltroni a ricordare domenica Piero Gobetti, Don Minzoni, Giacomo Matteotti. E’ che il fascismo movimento ne aveva usata a sufficienza prima. Basta ricordare gli oltre 2.000 morti (contro una sessantina) del solo 1921. Oggi i TG definirebbero lo stillicidio di 2.000 morti contro 60 come scontri tra opposte fazioni. No, non siamo agli anni ‘20, ma quando qualcuno organizza una squadra di picchiatori, probabilmente li paga, li carica su di un camion e li porta a commettere atti violenti contro una manifestazione pacifica ed autorizzata non stiamo parlando di un episodio normale né di conflittualità normale.

Non serve forse ricordare gli anni ‘70 (nella foto Giorgio Almirante con le spranghe tricolori dell’epoca), non serve ricordare Genova, non serve ricordare come ci siano sempre analfabeti pronti a cadere nelle provocazioni. Basta che nasca un timidissimo movimento di protesta, con ancora scarse possibilità di radicamento, che parla un linguaggio post-politico e che spesso della politica ha solo paura, in un contesto nel quale il governo ha il pieno controllo di tutto, dal parlamento ai sondaggi, perché tutte le strategie della tensione tornino attuali. Nulla è permesso. Nessuna dialettica. I media (anche i suoi) sono ansiogeni e diffondono pessimismo (basterà un decreto per imporre l’ottimismo per legge?). Chi protesta è solo facinoroso. Chi articola una critica mente. Chi lo scrive sui muri va in galera.

Francesco Cossiga non parlava a vanvera la scorsa settimana anche se è stato consolatorio pensarlo. Come nelle guerre a bassa intensità, l’episodio squadrista di ieri dimostra (e il ricordo di Genova sta lì) che il governo è disposto a delegare l’uso della violenza a formazioni terze che possano fare il lavoro sporco. Non siamo alla Colombia, ma siamo di fronte ad una cultura politica affine.

Silvio Berlusconi in questi 14 anni ha dimostrato di essere un alieno della democrazia, di non conoscerne né riconoscerne forma e sostanza. Ma definire la sua una democrazia del televoto non serve a definire la fase nella quale stiamo entrando. Tra una settimana Mariastella Gelmini calerà dall’alto la sua riforma dell’Università. Seguirà la solita sequenza di strappi. E’ una riforma ancora semisegreta, scritta con pochi amici senza consultare nessuno, non le parti sociali, ma neanche la CUN e chi l’Università la manda avanti. Verrà approvata in nove secondi per decreto legge dal consiglio dei ministri. Poi verrà portata in parlamento dove probabilmente verrà posta la fiducia. Su tutto questo caleranno una valanga di veline da Minculpop che orienteranno l’opinione pubblica contro i reprobi docenti fannulloni, nepotisti e spreconi.

Se tutto va bene, ovvero se si dilungheranno, questo processo si concluderà poco dopo Natale. Ci sarà l’abolizione del valore legale del titolo di studio e molto di peggio. Lo vedremo. Quello che è evidente è che la lotta comincia ora e che la violenza è la più incontrollabile delle varianti da usare contro questo movimento pacifico, di studenti, maestri, docenti, personale amministrativo e chiunque abbia a cuore il diritto costituzionale allo studio. Quando “Il Giornale” la settimana scorsa minacciava gli studenti non scherzava. Sangue freddo ragazzi e, più che mai, occhio ai provocatori e a chi tenta di dividere.

(di Gennaro Carotenuto)

mercoledì 29 ottobre 2008

Sabato 1 Novembre, al Caffè Letterario " Rino Giuffrida" - Pozzallo

Sabato 1 Novembre h 21,30

presso
il Ca
ffè Letterario " Rino Giuffrida"
p.zza Cesare Battisti - Pozzallo (RG)




Cena a buffet con prodotti
del commercio equo:


  • Fagioli neri
  • polpette di quinoa
  • antipasto rustico
  • vino


La serata sarà allietata da "Unduo"


martedì 28 ottobre 2008

Esistenze al livello dei topi

Vivevano in un cassonetto dei rifiuti, a Roma. Il vergognoso razzismo italiano costringe esseri umani a condurre esistenze al livello dei topi.


Ormai la gente non ci fa più caso, ma avviene così in tutte le grandi città di Italia, dove i pochi Rom romeni superstiti alla terribile purga etnica condotta da Istituzioni ormai preda di un delirio razziale, vivono nelle discariche, dietro bidoni di rifiuti, in luoghi così malsani dove hanno solo ratti e scarafaggi come compagni.

E' questa la nuova Europa?

E' questa l'Unione europea dell'accoglienza e delle libera circolazione?

Noi diciamo di no.

Accade, in Italia, qualcosa di aberrante e terribile, sotto certi aspetti persino peggiore delle persecuzioni del passato, perché mentre i bambini, le donne, gli uomini Rom muoiono o sopravvivono senza dignità, nella disperazione, i media, le autorità e la gente comune continuano a definirsi "tolleranti" e "antirazzisti". Noi resistiamo, con le sole armi della ragione e del sentimento di fratellanza verso i Rom, i "clandestini", le minoranze etniche sgradite al potere. Resistiamo rischiando quotidianamente tutto, perché gli aguzzini sono sempre più arroganti e feroci, non solo contro le razze a loro invise, ma anche contro chi si impegna per riportare un barlume di civiltà in una società caduta nell'orrore.

Ed ecco una delle tante ordinarie storie di discriminazione e disumanità: non un caso raro, ma uno di centinaia, questa volta sfuggito alla censura.

Roberto Malini Gruppo EveryOne


Avevano per casa un cassonetto

Roma, nel bidone gli agenti scoprono anche due bambini

(ANSA) - ROMA, 27 OTT - Un neonato di un mese e quello che potrebbe essere il fratellino di 10 anni, sono stati trovati in un cassonetto, che era la loro abitazione. E' successo nella periferia est di Roma, dove i bimbi vivevano in un giaciglio fatto di cartoni.

Agenti di polizia hanno notato un 52enne romeno e una 16enne seminascosti vicino al cassonetto. L'uomo ha esibito una patente falsa e ha detto di essere il padre della ragazza. Ma durante il controllo gli agenti hanno udito movimenti e rumori nel cassonetto.

lunedì 27 ottobre 2008

domenica 26 ottobre 2008

Il mostro unico


Cari studenti facinorosi, sono la vostra amata ministra Gelmini.
Dopo il cinque in condotta e il maestro unic
o, ho una nuova idea che potrà risollevare la scuola italiana.
Da dove inizia l’istruzione? Da
ll’asilo. E proprio qui bisogna intervenire, perché i bambini diventino obbedienti e ligi al dovere. E le favole, con la loro sovrabbondante fantasia e il loro dissennato spreco di personaggi, li allontanano dal sano realismo e dal doveroso conformismo e alimentano il pericolo del fuori tema, della deboscia, della droga e del bullismo facinoroso. Perciò per decreto legge istituisco il Mostro Unico. Sarà proibito leggere favole che contengano più di un mostro o di un cattivo, con relativo aggravio per la spesa pubblica, e soprattutto si dovrà, in ogni fiaba, sottolineare la natura perversa, facinorosa e vetero-comunista di questo mostro.

Secondo il DMU (decreto mostro unic
o) sono proibiti ad esempio Biancaneve e i sette nani, perché Grimilde e la strega sono un costoso e inutile sdoppiamento di personalità nocivo all’immaginario dei giovani alunni, per non parlare dell’ambigua convivenza tra Biancaneve e i sette piccoli operai, di cui uno, Brontolo, sicuramente della Cgil.

Cappuccetto Rosso è ammesso, ma si sottolinei come il cacciatore è evidentemente della Lega e il lupo di origine transilva
na e rumena.

Proibito A
li Babà e i quaranta ladroni, ne basta uno. Abolito Peter Pan, troppi pirati che gravano sulle casse dello stato. Abolito Pinocchio, anche accorpando il gatto e la volpe in un unico animale, restano il vilipendio ai carabinieri e il chiaro riferimento a Mediaset del paese dei balocchi.

Ammesso Pollicino ma dovrà chi
amarsi Allucione ed essere alto uno e settanta, per non costituire un palese sberleffo al nostro amato presidente del consiglio.

Proibito Hansel e Gretel, perché i mostri sono due, la madre e la strega, e inol
tre si parla troppo di crisi economica.

Proibito il brutto anatroccolo. Se uno è brutto, lo è per motivi genetici e tale resterà. Inoltre Andersen era gay. Parimenti proibito il gatto con gli stivali per la connotazione sadomaso.

Proibita,
anzi proibitissima Cenerentola.
Le cattive sono tre e assomigliano tutte a me.

Cioè alla vost
ra ministra superficiale, impreparata e ciarliera.
Ma la vostra Ministra Unica.


(di Stefano Benni)


Il 4 novembre uscirà “Miss Galassia”, un libro illustrato per bambini.

Auto
ri: Stefano Benni,Gutiérrez Luci.

Editore:
Orecchio Acerbo.


Età di lettura:
da 8 anni.




venerdì 24 ottobre 2008

«Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand`ero ministro dell`Interno»


Il 12 maggio 1977, in occasione del terzo anniversario del referendum sul divorzio, i radicali indissero un concerto in Piazza Navona per la raccolta firme per gli “8 referendum contro il regime”, nonostante fosse in vigore il divieto di manifestazioni pubbliche decretato dopo la morte dell’agente Settimio Passamonti e il ferimento di altre 5 persone, raggiunti da proiettili sparati da manifestanti durante alcuni scontri di piazza il 21 aprile. All’iniziativa aderirono i simpatizzanti del movimento degli autonomi per protestare contro la diminuzione degli spazi di espressione politica ed il clima repressivo nei loro confronti. Nelle strade erano presenti centinaia di membri delle forze dell’ordine in assetto da ordine pubblico, coadiuvati da agenti in borghese. Nella giornata scoppiarono diversi incidenti, con lancio di bombe incendiarie, ed esplosione di colpi di arma da fuoco. Nei giorni successivi diverse persone, tra questi Marco Pannella, dichiararono la presenza di agenti in borghese nascosti tra i dimostranti. Nel tardo pomeriggio, tra le ore 19 e le ore 20, due ragazze e un carabiniere furono raggiunti da proiettili sparati da Ponte Garibaldi e da altre direzioni: Giorgiana Masi, 19 anni, fu colpita alla schiena da un proiettile calibro 22 e morì durante il trasporto in ospedale, Elena Ascione rimase ferita a una gamba, il carabiniere Francesco Ruggeri rimase ferito alla mano. L’inchiesta sull’uccisione di Giorgiana Masi e sul ferimento di Elena Ascione e del carabiniere Francesco Ruggeri fu chiusa il 9 maggio 1981 dal giudice istruttore Claudio D’Angelo su conforme richiesta del Pubblico Ministero con la dichiarazione di impossibilità di procedere poiché rimasti ignoti i responsabili del reato. Le indagini furono riaperte nel 1998, affidate al PM Giovanni Salvi, della sede giudiziaria di Roma. Il ministro dell’interno Francesco Cossiga fu coinvolto in aspre polemiche per l’inadeguata gestione dell’ordine pubblico (vi sono fotografie che mostrano agenti in borghese, mimetizzati tra i manifestanti, che sparano ad altezza uomo). La storia della morte di Giorgiana Masi è stata presa a simbolo di molte lotte giovanili contro le ingiustizie della polizia e della politica, ed è ancor oggi oggetto di forte polemica. Tratto da Wikipedia,

Il 2 giugno 1977, i Radicali diffondono il cosidetto Libro bianco, una scioccante raccolta di fotografie e testimonianze dirette sui fatti del 12 maggio, mai apparse sui quotidiani nazionali che pure erano in possesso di parte del materiale. I racconti di parlamentari, giornalisti e semplici cittadini, confermati da un impressionante numero di immagini, descrivono con dovizia di particolari un enorme quantità di soprusi effettuati dagli agenti di Polizia e dai Carabinieri in servizio, che si rivolgevano con violenza ingiustificata anche sui semplici passanti, picchiando, bastonando e sparando lacrimogeni ad altezza uomo. Nonostante le ripetute negazioni del Ministro degli Interni Francesco Cossiga, moltissimi documenti fotografici attestano la presenza di poliziotti in borghese (o meglio, travestiti da autonomi) in possesso di armi da fuoco che mirano, e in alcuni casi sparano, ad altezza uomo.



Marco Pannella e i suoi presentano il libro come prova schiacciante dei comportamenti illegali degli apparati statali, e delle menzogne di Cossiga. Purtroppo, nemmeno la presunta oggettività della fotografia serve a scalfire i meccanismi di potere e i delitti del 12 maggio 1977 restano, a tutt’oggi, impuniti.

giovedì 23 ottobre 2008

Studenti e docenti andrebbero picchiati a sangue. Parola di Francesco Cossiga

I virus pericolosi andrebbero stroncati sul nascere per non correre il rischio che si diffondano e diventino endemici.

Non sap
piamo se qualche insidioso parassita abbia colpito Francesco Cossiga inducendolo a rilasciare un'intervista delirante sul quotidiano QN.

Ciò che ci preoccupa è che i
l Cossiga pensiero possa fare proseliti.




Citiamo dal Quotidiano Nazionale:

''Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornera' ad insanguinare le strade di questo Paese. E non vorrei che ci si dimenticasse che le Brigate Rosse non sono nate nelle fabbriche ma nelle universita'. Quanto alla possibilita' di usare la forza pubblica espressa dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, Cossiga ha detto: ''Maroni dovrebbe fare quello che feci io quando ero ministro dell'Interno'', ha continuato. ''In primo luogo lasciare perdere gli studenti dei licei, perche' pensi a cosa succederebbe se un ragazzino di dodici anni rimanesse ucciso o gravemente ferito...''. ''Lasciar fare gli universitari - ha continuato - Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle universita', infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le citta'''. ''Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovra' sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri'', ha affermato Cossiga. ''Nel senso che le forze dell'ordine non dovrebbero avere pieta' e mandarli tutti in ospedale - ha continuato - Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in liberta', ma picchiarli e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano''. ''Soprattutto i docenti - ha sottolineato - Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine si'.

E se qualche esaltato dovesse prendere sul serio quelle che a qualcuno potrebbero suonare come solite e ininfluenti provocazioni?

Se qualcuno decidesse di picchiare a sangue uno studente forte di questo avallo preventivo dell'ex capo dello Stato?

Il picconatore non è nuovo a tali esternazioni. E non si tratta solo di "picconate" verbali. Quando era a capo del dicastero degli interni, l'11 marzo del 77 nella zona universitaria di Bologna nel corso di durissimi scontri tra studenti e forze dell'ordine morì il militante di Lotta continua Pierfrancesco Lorusso; pochi mesi dopo, a maggio, in una delle giornate di protesta più infuocate degli studenti, Cossiga rispose mandando veicoli trasporto truppa blindati (M113 ) nella zona universitaria. Morì Giorgiana Masi, studentessa di 19 anni del liceo Pasteur di Monte Mario. A quasi 30 anni di distanza, nel 2005 Cossiga scrisse che Giorgiana Masi probabilmente fu uccisa da "fuoco amico", "da un proiettile sparato dagli stessi manifestanti"... Allora ci furono reazioni indignate, in primis Marco Pannella.

Ci auguriamo che avvenga lo stesso anche oggi. A meno che Cossiga non smentisca tali dichiarazioni (con la tecnica del premier Berlusconi che esterna per ottenere un effetto per poi negare ciò che chiaramente ha detto) ma probabilmente non lo farà, ci auguriamo che qualcuno abbia la decenza di rispondergli.

Magari qualcuno con qualche competenza di legge che ci confermi se le sue affermazioni rasentano "l'istigazione a delinquere", o "l'eversione dell'ordine democratico", o "l'attentato alla Costituzione" (reato di cui, non a caso fu chiesto a suo tempo l'impeachment per lo stesso Cossiga).

di Stefano Corradino corradino@articolo21.info

La Vignetta è di Vukic

P.S.Visitate il blog di Vukic ( Marco Vuchich), non ve ne pentirete!

mercoledì 22 ottobre 2008

Reportage siciliano

Considerazioni di un campano in Sicilia


Rilevo dalla mia agenda che sono ben due gli anni di assenza dalla terra che fu di Peppino Impastato. Eccola Palermo che in tanti considerano “capoluogo dimenticato da una classe politica che sembra non voglia governarla”. Nell’agosto del 2006 erano gli ex detenuti che avevano goduto dell’indulto ad occupare la Cattedrale, giustamente chiedevano alle autorità un reinserimento nel mondo del lavoro perché non avrebbero voluto ritornare al collocamento della criminalità organizzata che senz’altro gli avrebbe trovato in poche ore una “nuova” sistemazione. Adesso, invece, a trovare asilo tra le mura sacre sono i senza tetto, un gruppo numeroso di famiglie sgomberato da abitazioni che occupavano senza titolo. Sostengono di cercare semplicemente “un riparo, un tetto e nulla più”.

“Palermo è piena di appartamenti confiscati alla mafia –sottolinea Umberto Santino del Centro Impastato- perché non procedere all’assegnazione di tali beni in favore di queste famiglie?” Di tutti gli interventi registrati in queste ore questo risulta essere senz’altro il più interessante una provocazione, però, che da queste parti difficilmente potrebbe trovare proseliti.

A Palermo, insomma, la Cattedrale, il maggior Tempio Cristiano rappresenta un simbolo che supera ogni aspettativa di chi non conosce le vicende del luogo.

Il mio alloggio è in via Cusmano, di fronte c’è un pensionato gestito da suore che apre le porte anche alla cittadinanza soprattutto in estate per concedere l’utilizzo di una piscina. Alle suore, però, non bastano cinque piani dove sono collocati gli alloggi, hanno deciso di farne costruire ancora un altro. Gli agenti dell’antiabusivismo della polizia giudiziaria, dopo svariate segnalazioni, sono intervenuti ponendo i sigilli che sono stati prontamente rimossi dalla ditta esecutrice dei lavori. “A qualcuno – riferiscono gli abitanti della zona- le suore hanno risposto di seguire solamente la legge di Dio”.

Qui a Palermo nessuno crede che a Napoli e in Campania il governo Berlusconi abbia risolto l’emergenza rifiuti, tutti mi chiedono di raccontare qualcosa in più. La gente non crede a ciò che gli racconta un certo tipo di informazione anche perché qui in Sicilia pare che ci si possa ritrovare da un momento all’altro nella medesima ecatombe campana. Le cronache locali scrivono di un incendio avvenuto in una discarica abusiva a Campobello, nella Valle del Belice, dove “da una decina d’anni vengono indiscriminatamente abbandonati rifiuti di ogni genere compresi quelli altamente inquinanti.” Non è Napoli, non è Campania, ma i presupposti non sono del tutto confortanti. Anzi questa terra, ed in particolar modo la città di Palermo, continua ad intrattenere saldi rapporti con il capoluogo partenopeo. Ad affermarlo sono le indagini portate a termini dalla sezione narcotici della squadra mobile palermitana che ha sgominato una banda, dedita al traffico di sostanze stupefacenti composta da 6 napoletani, cinque palermitani, un bulgaro ed un algerino.

Il quartiere Brancaccio mantiene con Palermo una linea di confine “naturale”: un passaggio a livello che segna una precisa demarcazione facendo de quartiere un’ “appendice che differenzia le identità”. Gli abitanti del quartiere, infatti, abitualmente dicono, quando si spostano, “di andare a Palermo”. Nel quartiere che fu di Don Pino Puglisi le fogne sono insufficienti, basta qualche pioggia per far comparire un fiumiciattolo di fango che minaccia le abitazioni ubicate a fronte strada. Ognuno pensa per se e ad allontanare il fango con delle scope. Tutte questa abitazioni, che a Napoli chiamano bassi, sono delle ex stalle o locali che un tempo venivano adibite a deposito. Sono tutte abusive e nessuna di esse può godere del certificato di abitabilità. Ma a soli pochi metri dalle porte di ingresso si alza la polvere dei cantieri della metropolitana. La modernità, sotto certi aspetti, sta per arrivare anche a Brancaccio.

Il Centro di Accoglienza Padre Nostro è stato fondato da Don Pino Puglisi nel gennaio del 1993 ed oramai rappresenta un punto di riferimento insostituibile nelle attività sociali di questo territorio tra le quali va evidenziata quella svolta nell’ambito delle “Case famiglia” dove trovano ospitalità le donne che denunciano maltrattamenti subiti nell’ambito familiare o ragazzi le cui famiglie non possono più badare alle proprie esigenze. Un’attività coraggiosa svolta in un territorio difficile e spesso ostile agli operatori del Centro: “Più di una volta –mi riferiscono- abbiamo trovato tantissimo sterco nel campetto di calcio e poi in pieno giorno, approfittando della nostra momentanea assenza, eressero dinanzi alla porta d’ingresso un muretto alto cinquanta centimetri circa lasciando sul posto gli attrezzi adoperati insieme ad alcuni chiodi che fuoriuscivano dal cemento”. In piazza Anita Garibaldi, dove don Pino abitava e dove venne barbaramente assassinato, il monumento che ne ricorda l’uccisione è abbandonato a se stesso, non curato e offeso dai graffitari mentre alcune fioriere sono state divelte. Anche la poesia di Mario Luzi risulta illeggibile. Il luogo esatto dove Don Pino cadde sul selciato non è indicato un’autovettura ne offende la sacralità.

Il direttivo del centro Padre Nostro chiese di fare della casa di Don Pino un luogo della memoria ma l’abitazione è stata venduta e anche la richiesta fatta alle autorità palermitane, “che qui a Brancaccio vengono solo per la commemorazione annuale del sacerdote”, di fare di questa piazzetta una piccola isola pedonale è stata dimenticata in fretta.

La casa del primo pentito di mafia Leonardo Vitale, che sua sorella Maria, entrata in monastero, ha donato ai frati minori conventuali di Palermo, diventerà un centro per la formazione spirituale e la prevenzione della devianza giovanile.

Alcuni occhi ci spiano dalle finestre e chissà che non si tratti degli stessi che videro Don Pino agonizzante sul selciato.

Pino Maniaci è un giornalista che sporca le sue scarpe non solo per rincorrere la notizia, per fare lo scoop come si suole dire, ma è uno di quelli che ancora crede nella corretta informazione. Un tipo tosto, uno che unisce i fatti alla morale, uno che non indietreggia mai. La sua piccola tv, Telejato, trasmette dagli studi, tre stanze, siti in Partinico un piccolo paese siciliano ad alta densità mafiosa. La Tv è a conduzione familiare insieme a lui vi è la moglie ed i suoi figli insieme a tre collaboratori.

Pino ha pagato sulla propria pelle lo scotto di questa sua professionalità. L’ultima aggressione l’ha subita qualche mese fa quando è stato picchiato mentre percorreva le strade del paese. Da allora è nata una campagna di solidarietà chiamata “Siamo tutti Maniaci”, chi vuole può andare negli studi di Telejato e leggere il tg in sostituzione di Pino. Ma la giornata è tutt’altro che statica. Pino è appena rientrato da Bologna, agli stati generali dell’informazione, dove gli hanno consegnato un premio per il suo impegno professionale. Lo hanno indicato come esempio da seguire nel settore della comunicazione e lui invece ha così licenziato la platea e gli organizzatori: “Se la mia attività quotidiana dev’essere un esempio da seguire allora lo stato della comunicazione in questo Paese è in una fase comatosa”. Parole profetiche visto il quasi totale silenzio che ha contraddistinto l’informazione, se si esclude un approfondimento di Salvo Palazzolo dalle colonne di Repubblica, a seguito di una lettera pubblicata dal quotidiano “La Sicilia” e firmata da Vincenzo Santapaola che al momento è sottoposto al regime carcerario regolato dall’art. 41 bis.

Con noi c’è anche un troupe francese, qui in Sicilia per realizzare un format per la tv del proprio Paese. Nonostante vi siano anche due tecnici italiani la loro meraviglia non trova sollievo, sembrano visitatori di un giardino zoologico.

A Partinico non si va solo per leggere il tg a Telejato perché senz’accorgersene ci si ritrova inviati sul territorio insieme a Pino. Questa volta è stato installato un ripetitore telefonico alimentato da un generatore a gasolio, in barba a tutti i regolamenti, a meno di trecento metri dalle abitazioni del centro abitato. L’artista Gaetano Porcasi vi appone uno striscione dove si legge:

“Si muore, Partinico, si muore”.

Nessuna protesta, anche dal circolo locale di Legambiente nessuna segnalazione.

Le voci che si levano contro la piovra mafia, che oramai anche qui in Sicilia ha levato la coppola e ha indossato l’abito blu e camicia con colletto bianco, anche dal mondo dell’associzionismo, sono tante ma un po tutte impegnate a seguire il proprio cammino.

Chi denuncia il racket si sente solo anche se l’impegno delle forze dell’ordine sembra costante. Proprio in questi giorni sono stati effettuati cinque arresti nel siracusano tutti, riferiscono gli inquirenti, appartenenti della cosca Nardo. Nonostante questo continuo impegno delle forze dell’ordine gli imprenditori chiedono, definitivamente una presenza sostanziale dello Stato. Non è caso che negli ultimi sei mesi si sono registrate solamente 22 denunce di estorsione. Va comunque ricordato che a tre anni dalla sua denuncia Vincenzo Conticello, titolare del’antica focacceria San Francesco di Palermo, non ha ricevuto ancora un euro di indennizzo.

Segnali inquietanti come quelle cisterne azzurre presenti in tutte le abitazioni: a Palermo l’acqua non è sempre corrente e per questo bisogna attrezzarsi per sopperire ad ogni esigenza. Ad Agrigento, invece, oltre questa ormai consolidata “emergenza”, si registra la bolletta più cara d’Italia per usufruire di questo servizio.

Palermo affoga nel caos di un traffico rumoroso e disordinato, è sera e a via Notarbartolo anche l’albero di Falcone, quello dove il giudice assassinato dalla mafia abitava, appare un corpo estraneo mentre la piccola guardiola utilizzata dalla vigilanza sembra uno scheletro di una fabbrica dismessa, un manufatto troppo ingombrante per i passanti. (di Pietro Nardiello)

martedì 21 ottobre 2008

"Io e il mio gelato, in Questura per favoreggiamento"

Fotografo assiste al pestaggio di un bengalese e la polizia...


"Una coppetta con nocciola, cioccolato e crema. Me la mette in sacchetto per favore che la porto via".

Sono a Via della Lungaretta nel cuore di Trastevere, giovedì 16 ottobre ore 22:30 circa. Improvvisamente, di fronte alla gelateria, sento schiamazzi, urla e parolacce. Prendo la mia coppetta di gelato, esco in strada e vedo un uomo malmenare un ragazzo del Bangladesh che vende borse contraffatte: un pugno si poggia sulla guancia mentre l'altra mano trattiene la maglia all'altezza della spalla. Il volto del ragazzo è spaventato. Un altro signore cerca di raggruppare la merce prendendola a calci. Ci sono in tutto 5 uomini e una donna che si agitano radio in mano su e giu per la via. I passanti si fermano commentando perplessi l'azione della Polizia municipale in borghese: "manco fosse 'na retata contro i Casalesi" dice uno. I turisti che passeggiano rilassati iniziano a camminare stupiti.

A questo punto io e la mia coppetta di gelato ci avviciniamo timidamente ad un agente e chiediamo:
"Scusate, ma che state facendo?". Non lo avessi mai detto.

"CHI E' LEI! COME SI PERMETTEEE! SI FACCIA GLI AFFARI SUOI!" ,

"Ho fatto solo una domanda mi sembra legittimo.
"

"LEI STA INTRALCIANDO UN'OPERAZIONE DI POLIZIA, LEI NON PUO' FARE DOMANDE, COME SI PERMETTEEE.."

"Ma veramente io…"

"NO NO LEI CI INTRALCIA NON PUO' FARE DOMANDE, CHI E' LEI!? ORA VIENE CON ME IN CENTRALE!",

"Ma veramente io ho solamente fatto una doman…."

"COSA DICE!…. MI FAVORISCA I DOCUMENTI!".Il poliziotto, una volta segnati i miei estremi su un pezzo di cartone, sentenzia:
"ED ORA SI ASPETTI LA NOTIFICA A CASA"

ed io, con molta calma, gli chiedo: "ma sulla notifica c'è anche il fascio littorio?".

BUM! Preso per un braccio e strattonato mi trasportano dentro la volante con tutto il gelato. La sirena è accesa ed il poliziotto, "lievemente" indispettito per la battuta sul fascio littorio, continua ad urlare:
"LEEEI! COME SI PERMETTE! LEI NON MI PUO DIRE COME DEVO FARE IL MIO LAVORO!",

"Si ma io…scusi… ma… ", niente non riesco a controbattere,

e lui ancora:"QUI NON E' POLITICA… LEI HA INTRALCIATO UN AZIONE DI POLIZIAAA!".

Mi arrendo, tanto non mi ascolta e non voglio alzare la voce.

Arrivati in centrale io ed il mio gelato ci sediamo; c'è anche il ragazzo del Bangladesh, il quale, incupito e preoccupato, osserva la sua merce andar via impacchettata dentro degli scatoloni.

Si avvicina un poliziotto: "lei è straniero?"

"no" rispondo io, "

"e allora che ci fa qui? Cosa ha fatto?"

Nel frattempo il poliziotto che urlava si riunisce con altre tre persone intorno ad un libro che dal numero delle pagine potrebbe essere il codice penale.
Dopo circa un'ora mi fanno firmare due carte.

Nel verbale di identificazione e Dichiarazione di persona c'è scritto:
"…i sottoscritti Ufficiali/Agenti di P.G. C.M e D.F. hanno proceduto alla compiuta identificazione di persona sottoposta ad indagine, per i reati di cui all'art. 379 e 337 C.P…

" Favoreggiamento e resistenza a pubblico ufficiale???!!!

Uscito dalla centrale il gelato ormai sciolto rompe il sacchetto di carta e cade a terra.

Scritto da
Luca Ferrari per peacereporter

domenica 19 ottobre 2008

Rosanna Camerligo a Roberto Saviano

Ricevo e pubblico con piacere quanto segue:



Caro Roberto

è appena stata resa pubblica la smentita di Schiavone in relazione alle minacce alla tua vita. Gli credi? Gli “uomini di niente” non hanno onore, né umanità. Io non ti conosco personalmente, ma ti conosco attraverso il tuo libro, i tuoi articoli, lo spettacolo teatrale e il film. Io non ti conosco personalmente, ma il tuo urlo è risuonato e risuona dentro di me. Sono nata e vivo in Campania, nella provincia martoriata di Napoli, in quella chiaiano-marano in cui si vuole fare una discarica in pieno centro abitato. Caro Roberto come fare a dirti resta? Infatti ti dico parti, vai lontano da Napoli, dall’Italia, vai e riprenditi la tua vita. Troppo dolore, troppa sofferenza, tutta la negatività che ci hai raccontato è stata aumentata in modo esponenziale dall’indifferenza, dalle difficoltà che hanno blindato la tua esistenza. Vai Roberto, parti, vai lontano da un paese che ha bisogno di eroi, magari morti, da incensare, da santificare, ma quando quegli uomini sono vivi danno fastidio. Danno fastidio alle piccole meschine umanità che sopravvivono a se stessi, agli squali che navigano a vista, agli “uomini di niente” che vogliono farti la pelle. Il sistema si compatta per liberarsi in un modo o nell’altro di un alieno che rischia di far inceppare qualche ingranaggio. Caro Roberto resisti nella forza della vita, parti e sorridi, incontra chi vuoi, come vuoi e quando vuoi, torna a scrivere stando dentro la vita e non guardandola scorrere davanti a te.

Caro Roberto so che sai che tante persone ti vogliono bene come ad un amico intimo, un fratello, un figlio, e chi ti vuole bene non può dirti resta, so anche che siamo con te, che porti dentro la tua terra, che scriverai ancora e scriverai inevitabilmente di te, di noi, della nostra martoriata terra. Forse potrai aiutarci ancora di più o forse no, ma è la tua vita che deve riprendere. Ricorda che sparsi per questa “povera Patria” ci sono tanti “io sono Saviano”e vogliamo urlare insieme a te basta. Solo questo,vogliamo urlare insieme a te perché questa coltre collosa di menzogne e di malaffare possa prima sbrindellarsi, poi dissolversi alla luce della verità.

A noi italiani e campani resta il senso di vergogna per non essere stati in grado di garantire a te e alla tua famiglia un’esistenza normale, mentre gli “uomini di niente” dormono e mangiano spesso nelle loro case, con le loro famiglie e festeggiano i propri compleanni con gli amici. Caro Roberto sogno il momento in cui la gente prenderà coscienza e una grande ondata di indignazione cancellerà “gli uomini di niente” ovunque essi siano, intanto resistiamo e sappiamo che ovunque tu sarai,noi saremo con te, e la nostra terra sarà dentro di te, perché “io sono saviano”.


(Rosanna Camerligo insegnante, sociologa e psicologa)


La Vignetta è di Totò Calì




Della stessa autrice:

C’era una volta in un tempo lontano lontano un pianeta popolato da triangoli, cerchi e quadrati. I triangoli erano molto ricchi e potenti, la maggior parte delle risorse del pianeta era nelle loro mani. I triangoli erano proprietari di tutto; avevano terra, acqua, cibo, ma erano sempre avidi di potere e di denaro. Avevano sia quello che serviva a produrre ricchezza che quello che serviva a distribuirla, ma anche tutto ciò che serviva a mantenere il controllo del loro pianeta era nelle loro mani. I triangoli erano molto avidi di potere e di denaro e pur avendo la proprietà di quasi tutte le risorse del pianeta non si accontentavano mai. Nel tempo le grandi famiglie dei triangoli, che ben si conoscevano tra loro, avevano convinto i quadrati ed i cerchi a vivere in un certo modo, a tale scopo avevano utilizzato delle scatole magiche, attraverso le scatole magiche erano riusciti ad entrare all’interno dei quadrati e dei cerchi. Le scatole magiche funzionavano attraverso semplici parole e immagini che incantavano chiunque entrasse con loro in contatto: compra-compra, più soldi-più soldi, non fidarti- non fidarti. Quel pianeta era molto bello, era azzurro, verde e bianco in alcuni punti, ma dopo qualche centinaia di anni il pianeta cominciò a soffrire di tanta avidità, superficialità ed egoismo causati dalla strana malattia che aveva contagiato tutti. La sofferenza del pianeta era così profonda che si ammalò, la sua temperatura aumentò a dismisura, poi improvvisamente era freddo e pioveva a dirotto, a momenti i suoi venti soffiavano velocissimi e potenti, sembrava a tratti addirittura arrabbiato anche perché altre forme di vita su quel pianeta stavano sparendo, i punti, i trattini..non c’erano più. Tutto veniva ingoiato dall’avidità di potere e di denaro dei triangoli. In certi momenti quando la sofferenza del pianeta era al massimo, si scatenavano montagne di acqua o tempeste di fuoco e puntualmente morivano i poveri cerchi e a volte anche i quadrati che pure erano abbastanza benestanti e vivevano solo in alcune zone del pianeta. Ma tutti sia i quadrati che i cerchi sottostavano al dominio dei triangoli. Ad un certo punto i cerchi e i quadrati cominciarono come a svegliarsi, cominciarono ad usare fili e reti che li connettevano e a parlare di nuovo tra loro unendosi stretti, stretti. I triangoli cercarono di opporsi a quel risveglio, volevano restare in cima, mantenere il controllo, continuare a fare del pianeta ciò che volevano anche buchi per infilarci dentro i veleni. I triangoli non vedevano altro che il potere e il denaro, per loro non contava altro e sapevano che dovevano continuare a persuadere i cerchi e i quadrati che tutto andava bene nel loro mondo. Per fare questo soddisfacevano strani bisogni e desideri dei cerchi e dei quadrati, desideri, sogni e bisogni che essi stessi avevano organizzato e a volte inventato utilizzando le scatole magiche con le parole e le immagini incantate che andavano di continuo. Compra-compra, più soldi-più soldi, non fidarti-non fidarti, le immagini e le parole avevano oscurato quel mondo e sembrava non esistere altro, erano entrate all’interno dei quadrati e dei cerchi e li avevano riempiti, tanto che le loro aree non avevano più spazi vuoti per respirare e sentirsi.
In realtà né i triangoli,
né i cerchi e neppure i quadrati erano più in grado di sentire se stessi, non percepivano più null’altro che non i comandi. Ma i triangoli sceglievano di dominare gli altri, mentre spesso i cerchi e i quadrati non ricordavano più chi fossero. L’altalena che avevano costruito li aveva totalmente istupiditi, i pochi ancora svegli potevano subire strani trattamenti in modo da convincerli a fare come gli altri. Ma i triangoli avevano dimenticato qualcosa, avevano dimenticato che la sofferenza inflitta al pianeta li stava portando alla distruzione, di questo non s’interessavano, ma i quadrati e i cerchi avrebbero potuto svegliarsi e………………..

Cosa avrebbero potuto fare i cerchi e i quadrati?

Scegli tra le alternative possibili
  • - i quadrati e i cerchi si svegliano e si ricordano chi sono, collegandosi alla loro intima natura geometrica, quindi con grande indignazione ascoltano il proprio dolore e quello del pianeta. I quadrati e i cerchi si liberano da ciò che è stato messo nelle loro aree comprese le parole magiche compra-compra, piùsoldi-piùsoldi non fidarti-non fidarti e cominciano a liberarsi dell’avidità di potere e di denaro e si promettono l’uno all’altro di restare sempre uniti stretti, stretti nei loro fili, nelle loro reti sempre più concrete e attive.
  • - I triangoli non hanno alcuna opposizione, tutti o quasi continuano a dormire e alla fine il pianeta si distruggerà in qualche modo..e come i dinosauri anche i triangoli, i cerchi e i quadrati spariranno da quel pianeta che vivrà ancora felice.

Rosanna Camerligo insegnante, sociologa e psicologa da Chiaiano-Marano rosanna.camerlingo@alice.it www.focusing-unione.it

sabato 18 ottobre 2008

Classi separate per alunni stranieri: l’esclusione tra i banchi di scuola - I commenti di insegnanti e professori


Mentre il mondo dell’istruzione, dalle scuole primarie alle Università, è attraversato dalle iniziative di protesta contro il Decreto 137 - la cosiddetta riforma Gelmini - un nuovo provvedimento minaccia il diritto all’istruzione e la convivenza tra le differenze.

La proposta del partito della Lega Nord votata martedì a maggioranza dalla Camera di istituire classi separate per gli alunni stranieri che non parlano la lingua italiana prevede che i figli dei migranti debbano superare un test di ingresso di conoscenza della lingua italiana altrimenti saranno spostati in classi differenziate predisposte ad hoc per loro, cosiddette classi di inclusione sebbene separate dalle classi ordinarie.
Classi per soli immigrati dunque, per rafforzare quel falso pregiudizio secondo cui la presenza di alunni stranieri nelle scuole danneggia i bambini italiani.
E’ un nuovo tassello nel processo di stigmatizzazione del migrante da parte delle istituzioni, che completa l’immagine del migrante come soggetto insidioso da cui difendersi attraverso leggi sempre più vessatorie (pacchetto sicurezza, introduzione di tasse di soggiorno, invenzione di nuove categorie di reato come quello di clandestinità) : i migranti costituiscono una minaccia per la sicurezza, il benessere e l’identità delle città non solo perché sono criminali e credono in una religione diversa dalla nostra, ma anche perché scavalcano le famiglie italiane nelle graduatorie per le case pubbliche e perché i loro figli abbassano la qualità dell’insegnamento nelle scuole italiane.
Non sono i tagli alla scuola pubblica e le riforme che riducono a 24 ore settimanali il tempo della didattica a compromettere la qualità dell’insegnamento e il processo di apprendimento, ma i figli degli immigrati !
Se la natura del provvedimento è certamente politica, le conseguenze della mozione saranno tragicamene concrete.
Innanzitutto la misura compromette gravemente il ruolo strategico di agenzia di mediazione interculturale e sociale che la scuola ricopre spontaneamente in quanto universo in cui si incontrano bambini – e di conseguenza adulti – con background socialmente e geograficamente vari.
Per italiani e migranti la scuola è forse il primo vero luogo di contatto e scambio di relazioni tra persone portatrici di culture differenti. Nonostante i tagli e le riforme che si sono succedute, nella scuola si compie il primo contatto per il minore straniero con la società di arrivo; è nell’inserimento nella classe che si attua la prima fase di accoglienza da cui sviluppare il percorso dell’inclusione, un processo che necessita di tempo e di professionalità, già compromesso dai tagli e dalle passate riforme.
Per quanto riguarda poi l’apprendimento della lingua italiana, è risaputo che le lingue si apprendono meglio attraverso l’interazione con l’altro e che un contesto affettivo-relazionale positivo è strategico per impararle.
Ma tutto questo è volutamente ignorato dal nuovo provvedimento, perché è evidente che la mozione ha l’obiettivo di escludere, differenziare e marginalizzare le differenze fin dalla più tenera età.
La teoria della pericolosità sociale dell’immigrato su cui si basano le politiche di molti Governi e lo sfruttamento dell’immaginario della paura ha bisgno di nuovi contesti da colonizzare. La vita dei bambini migranti, il rapporto con i loro coetanei nativi, diventa quindi un nuovo terreno su cui sperimentare il processo di differenziazione della cittadinanza trasversale a tutti gli ambiti della vita, dal lavoro alla posizione del soggiorno, dalla la salute alla casa, dalla circolazione fino alla scuola, appunto.

“E’ un provvedimento vergognoso” dicono le/gli insegnanti della scuola primaria mobilitati contro la Riforma Tremonti-Gelmini.


L’insegnante Stefania Ghedini delle Scuole XXI Aprile di Bologna commenta indignata: “Vogliono partire dalla scuola per costruire una società fatta di barriere; la scuola in cui crediamo è invece aperta, accogliente e sa includere le differenze: solo così si costruisce un futuro di convivenza e rispetto reciproco perché non vogliamo i meccanismi della banlieue, che portano a spendere in più polizia".
- [ Ascolta ] l’audio completo

Secondo Francesco Bonfini di Rdb Cub Bologna il provvedimento delle classi separate, così come i tagli alla scuola pubblica sono attacchi diretti ai ceti economicamente più deboli, per cui la scuola è uno strumento di emancipazione ed inclusione. “E’ un’idea bizzarra, oltretutto, pensare che mettendo insieme venti bambini che non parlano l’italiano questi imparino la lingua più velocemente che stando in classe con altri bambini che già lo parlano.”

Secondo il Professore Luigi Guerra, Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna si tratta di “un provvedimento razzista, che come altri sconta anche la mancanza di memoria su quanto successo in passato ai figli dei nostri emigrati. E’ un provvedimento che viene venduto come un modo per integrare meglio il bambino straniero, ma iniziare il processo di integrazione con un periodo di reclusione di fatto - come facevano in America o in Germania con i figli degli italiani - ossia un periodo in cui si nega il confronto con la cultura ospitante e al contrario si trasmette l’idea che quella cultura non ti vuole finché non sei assolutamente uguale, significa costruire le premesse perché non vi sia mai nessun titpo di inclusione. E’ chiaro che ogni qualvolta non si investe in scuola si deve investire in carabinieri, ogni qualvolta non si investe in prevenzione del disagio si deve investire in ricomposizione del disagio, e questo costa drammaticamente di più che gli interventi di prevenzione.”
- [ Ascolta ] l’audio completo

Redazione Progetto Melting Pot Bologna

giovedì 16 ottobre 2008

Approvate le classi per bambini immigrati, come negli anni delle leggi razziali

Con 256 sì contro 246 no e un astenuto, la mozione leghista che proponeva alla Camera l'istituzione di classi per studenti immigrati, definite "classi di inserimento", è stata approvata.

Tali classi saranno riservate agli alunni stranieri che non supereranno i test previsti per le classi ordinarie. Si tratta di un evento da non sottovalutare: la realizzazione - da parte delle Istituzioni italiane - di ideologie deliranti, di stampo razzista e xenofobo, che fino a qualche anno fa appartenevano all'ambito neonazista o ai nostalgici dei tempi delle leggi razziali.

Durante la discussione, il capogruppo della Lega Roberto Cota - che recentemente ha affermato che i bambini stranieri "rallentano i processi di apprendimento di quelli italiani", negando strumentalmente l'importanza dell'intercultura e del valore educativo della fratellanza - ispirato da Umberto Bossi, ben presente al suo fianco, ha fornito una giustificazione alla proposta della Lega: evitare di iscrivere bambini stranieri dopo il 31 dicembre per non bloccare lo svolgimento del programma; creare le classi ponte o di inserimento, impedendo l'effetto "ritardante" dei bimbi stranieri su quelli ariani... ooops, italiani; infine, capovolgendo i termini del problema reale, prevedere che il numero degli stranieri in una classe sia proporzionale a quello degli italiani per evitare che si creino classi di stranieri in cui "per i nostri alunni italiani evidentemente non vi sarebbe più spazio".

"Classi ebraiche statali" e "classi per stranieri" furono istituite dal regime nazista (con la formula dei decreti, utilizzata con disinvolta frequenza oggi, in Italia, come allora), così come fu definita una percentuale massima di studenti "non ariani", fissata allora all'1,50% dal Decreto contro il sovraffollamento nelle scuole tedesche. Contemporaneamente, i programmi scolastici vennero infarciti di nuove teorie educative e di una rilettura della Storia. La propaganda, poi, spiegò al popolo tedesco che i cambiamenti avrebbero migliorato le condizioni di vita tanto dei cittadini del Reich quanto degli stranieri, perché la Germania di Hitler - secondo le rassicurazioni di Goebbels - era terra d'accoglienza e integrazione.

"La propaganda è un'arte," scrisse lo stesso Goebbels, "non ha alcuna importanza se esprima la verità".

Ed ecco, oggi, Bossi, mascherato da Cota: "Le classi di inserimento sono uno strumento per garantire l'inclusione, servono a prevenire il razzismo e a realizzare una vera integrazione".

E' evidente che l'Italia sprofonda ogni giorno che passa nel fango dell'odio razziale, in un modo sempre più spregevole.

La vita e la dignità umana hanno perso ormai qualsiasi valore, per i razzisti italiani.

Come durante i regimi di Mussolini e Hitler, è crollato anche il mito che la cultura umana ha sempre considerato inviolabile: l'integrità dell'infanzia. Basta visitare un insediamento Rom e assistere con i propri occhi all'agonia di centinaia di bambini - annientati da virus, batteri e funghi, divorati dai topi e dal fuoco, consumati dalla sporcizia, dalla fame e dagli agenti atmosferici - per comprendere come l'intolleranza abbia reso le autorità e gran parte del popolo italiano insensibile, anzi, crudele nei confronti delle etnie sgradite.

Le "classi per stranieri", se diventeranno effettive, distruggeranno la cultura della tolleranza, rendendo sempre più solide le basi dell'ideologia razzista: dai pogrom istituzionali si arriverebbe presto all'affermazione di una vera e propria "cultura della razza", principio della fine di una democrazia e di una società basata sui diritti umani e civili.

"Negli esseri umani forniti di un marcato istinto di razza, la parte rimasta pura tenderà sempre all'unione fra simili impedendo un'ulteriore mescolanza. E con questo, gli elementi imbastarditi passano in secondo piano, a meno che essi non si siano moltiplicati in misura così consistente da impedire la riaffermazione della razza pura". Adolf Hitler, "Mein Kampf".

( di Roberto Malini - Gruppo EveryOne )

mercoledì 15 ottobre 2008

Saviano: io, prigioniero di Gomorra lascio l'Italia per riavere una vita

ANDRO' via dall'Italia, almeno per un periodo e poi si vedrà...", dice Roberto Saviano.
"Penso di aver diritto a una pausa. Ho pensato, in questo tempo, che cedere alla tentazione di indietreggiare non fosse una gran buona idea, non fosse soprattutto intelligente.
Ho creduto che fosse assai stupido - oltre che indecente - rinunciare a se stessi, lasciarsi piegare da uomini di niente, gente che disprezzi per quel che pensa, per come agisce, per come vive, per quel che è nella più intima delle fibre ma, in questo momento, non vedo alcuna ragione per ostinarmi a vivere in questo modo, come prigioniero di me stesso, del mio libro, del mio successo. 'Fanculo il successo. Voglio una vita, ecco. Voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliermi un libro leggendo la quarta di copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la pioggia, incontrare senza paura e senza spaventarla mia madre. Voglio avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me, sempre di me come se fossi un malato terminale e loro fossero alle prese con una visita noiosa eppure inevitabile. Cazzo, ho soltanto ventotto anni! E voglio ancora scrivere, scrivere, scrivere perché è quella la mia passione e la mia resistenza e io, per scrivere, ho bisogno di affondare le mani nella realtà, strofinarmela addosso, sentirne l'odore e il sudore e non vivere, come sterilizzato in una camera iperbarica, dentro una caserma dei carabinieri - oggi qui, domani lontano duecento chilometri - spostato come un pacco senza sapere che cosa è successo o può succedere. In uno stato di smarrimento e precarietà perenni che mi impedisce di pensare, di riflettere, di concentrarmi, quale che sia la cosa da fare. A volte mi sorprendo a pensare queste parole: rivoglio indietro la mia vita. Me le ripeto una a una, silenziosamente, tra me".

La verità, la sola oscena verità che, in ore come queste, appare con tragica evidenza è che Roberto Saviano è un uomo solo. Non so se sia giusto dirlo già un uomo immaginando o pretendendo di rintracciare nella sua personalità, nella sua fermezza d'animo, nella sua stessa fisicità la potenza sorprendente e matura del suo romanzo, Gomorra. Roberto è ancora un ragazzo, a vederlo. Ha un corpo minuto, occhi sempre in movimento. Sa essere, nello stesso tempo, malizioso e insicuro, timidissimo e scaltro. La sua è ancora una rincorsa verso se stesso e lungo questo sentiero è stato catturato da uno straordinario successo, da un'imprevedibile popolarità, dall'odio assoluto e assassino di una mafia, dal rancore dei quietisti e dei pavidi, dall'invidia di molti. Saranno forse queste le ragioni che spiegano come nel suo volto oggi coabitino, alternandosi fraternamente, le rughe della diffidenza e le ombre della giovanile fiducia di chi sa che la gioia - e non il dolore - accresce la vita di un uomo. "Sai, questa bolla di solitudine inespugnabile che mi stringe fa di me un uomo peggiore. Nessuno ci pensa e nemmeno io fino all'anno scorso ci ho mai pensato. In privato sono diventato una persona non bella: sospettoso, guardingo. Sì, diffidente al di là di ogni ragionevolezza. Mi capita di pensare che ognuno voglia rubarmi qualcosa, in ogni caso raggirarmi, "usarmi". E' come se la mia umanità si fosse impoverita, si stesse immeschinendo. Come se prevalesse con costanza un lato oscuro di me stesso. Non è piacevole accorgersene e soprattutto io non sono così, non voglio essere così. Fino a un anno fa potevo ancora chiudere gli occhi, fingere di non sapere. Avevo la legittima ambizione, credo, di aver scritto qualcosa che mi sembrava stesse cambiando le cose. Quella mutazione lenta, quell'attenzione che mai era stata riservata alle tragedie di quella terra, quell'energia sociale che - come un'esplosione, come un sisma - ha imposto all'agenda dei media di occuparsi della mafia dei Casalesi, mi obbligava ad avere coraggio, a espormi, a stare in prima fila. E' la mia forma di resistenza, pensavo. Ogni cosa passava in secondo piano, diventava di serie B per me. Incontravo i grandi della letteratura e della politica, dicevo quello che dovevo e potevo dire. Non mi guardavo mai indietro. Non mi accorgevo di quel che ogni giorno andavo perdendo di me. Oggi, se mi guardo alle spalle, vedo macerie e un tempo irrimediabilmente perduto che non posso più afferrare ma ricostruire soltanto se non vivrò più, come faccio ora, come un latitante in fuga. In cattività, guardato a vista dai carabinieri, rinchiuso in una cella, deve vivere Sandokan, Francesco Schiavone, il boss dei Casalesi. Se lo è meritato per la violenza, i veleni e la morte con cui ha innaffiato la Campania, ma qual è il mio delitto? Perché io devo vivere come un recluso, un lebbroso, nascosto alla vita, al mondo, agli uomini? Qual è la mia malattia, la mia infezione? Qual è la mia colpa? Ho voluto soltanto raccontare una storia, la storia della mia gente, della mia terra, le storie della sua umiliazione. Ero soddisfatto per averlo fatto e pensavo di aver meritato quella piccola felicità che ti regala la virtù sociale di essere approvato dai tuoi simili, dalla tua gente. Sono stato un ingenuo. Nemmeno una casa, vogliono affittarmi a Napoli. Appena sanno chi sarà il nuovo inquilino si presentano con la faccia insincera e un sorriso di traverso che assomiglia al disprezzo più che alla paura: sono dispiaciuti assai, ma non possono.... I miei amici, i miei amici veri, quando li ho finalmente rivisti dopo tante fughe e troppe assenze, che non potevo spiegare, mi hanno detto: ora basta, non ne possiamo più di difendere te e il tuo maledetto libro, non possiamo essere in guerra con il mondo per colpa tua? Colpa, quale colpa? E' una colpa aver voluto raccontare la loro vita, la mia vita?".
Piacciono poco, da noi, i martiri. Morti e sepolti, li si può ancora, periodicamente, sopportare. Vivi, diventano antipatici. Molto antipatici. Roberto Saviano è molto antipatico a troppi. Può capitare di essere infastiditi dalla sua faccia in giro sulle prime pagine. Può capitare che ci si sorprenda a pensare a lui non come a una persona inseguita da una concreta minaccia di morte, a un ragazzo precipitato in un destino, ma come a una personalità che sa gestire con sapienza la sua immagine e fortuna. Capita anche in queste ore, qui e lì. E' poca, inutile cosa però chiedersi se la minaccia di oggi contro Roberto Saviano sia attendibile o quanto attendibile, più attendibile della penultima e quanto di più? O chiedersi se davvero quel Giuseppe Setola lo voglia disintegrare, prima di Natale, con il tritolo lungo l'autostrada Napoli-Roma o se gli assassini si siano già procurati, come dice uno di loro, l'esplosivo e i detonatori. O interrogarsi se la confidenza giunta alle orecchie delle polizie sia certa o soltanto probabile.
E' poca e inutile cosa, dico, perché, se i Casalesi ne avranno la possibilità, uccideranno Roberto Saviano. Dovesse essere l'ultimo sangue che versano. Sono ridotti a mal partito, stressati, accerchiati, incalzati, impoveriti e devono dimostrare l'inesorabilità del loro dominio. Devono poter provare alla comunità criminale e, nei loro territori, ai "sudditi" che nessuno li può sfidare impunemente senza mettere nel conto che alla sfida seguirà la morte, come il giorno segue la notte.

Lo sento addosso come un cattivo odore l'odio che mi circonda. Non è necessario che ascolti le loro intercettazioni e confessioni o legga sulle mura di Casale di Principe: "Saviano è un uomo di merda". Nessuno da quelle parti pensa che io abbia fatto soltanto il mio dovere, quello che pensavo fosse il mio dovere. Non mi riconoscono nemmeno l'onore delle armi che solitamente offrono ai poliziotti che li arrestano o ai giudici che li condannano. E questo mi fa incazzare. Il discredito che mi lanciano contro è di altra natura. Non dicono: "Saviano è un ricchione". No, dicono, si è arricchito. Quell'infame ci ha messo sulla bocca degli italiani, nel fuoco del governo e addirittura dell'esercito, ci ha messo davanti a queste fottute telecamere per soldi. Vuole soltanto diventare ricco: ecco perché quell'infame ha scritto il libro. E quest'argomento mette insieme la parte sana e quella malata di Casale. Mi mette contro anche i miei amici che mi dicono: bella vita la tua, hai fatto i soldi e noi invece tiriamo avanti con cinquecento euro al mese e poi dovremmo difenderti da chi ti odia e ti vuole morto? E perché, diccene la ragione? Prima ero ferito da questa follia, ora non più. Non mi sorprende più nulla. Mi sembra di aver capito che scaricando su di me tutti i veleni distruttivi, l'intera comunità può liberarsi della malattia che l'affligge, può continuare a pensare che quel male non ci sia o sia trascurabile; che tutto sommato sia sopportabile a confronto delle disgrazie provocate dal mio lavoro. Diventare il capro espiatorio dell'inciviltà e dell'impotenza dei Casalesi e di molti italiani del Mezzogiorno mi rende più obiettivo, più lucido da qualche tempo. Sono solo uno scrittore, mi dico, e ho usato soltanto le parole. Loro, di questo, hanno paura: delle parole. Non è meraviglioso? Le parole sono sufficienti a disarmarli, a sconfiggerli, a vederli in ginocchio. E allora ben vengano le parole e che siano tante. Sia benedetto il mercato, se chiede altre parole, altri racconti, altre rappresentazioni dei Casalesi e delle mafie. Ogni nuovo libro che si pubblica e si vende sarà per loro una sconfitta. E' il peso delle parole che ha messo in movimento le coscienze, la pubblica opinione, l'informazione. Negli anni novanta, la strage di immigrati a Pescopagano - ne ammazzarono cinque - finì in un titolo a una colonna nelle cronache nazionali dei giornali. Oggi, la strage dei ghanesi di Castelvolturno ha costretto il governo a un impegno paragonabile soltanto alla risposta a Cosa Nostra dopo le stragi di Capaci e di via D'Amelio. Non pensavo che potessimo giungere a questo. Non pensavo che un libro - soltanto un libro - potesse provocare questo terremoto. Subito dopo però penso che io devo rispettare, come rispetto me stesso, questa magia delle parole. Devo assecondarla, coltivarla, meritarmela questa forza. Perché è la mia vita. Perché credo che, soltanto scrivendo, la mia vita sia degna di essere vissuta. Ho sentito, per molto tempo, come un obbligo morale diventare un simbolo, accettare di essere al proscenio anche al di là della mia voglia. L'ho fatto e non ne sono pentito. Ho rifiutato due anni fa, come pure mi consigliavano, di andarmene a vivere a New York. Avrei potuto scrivere di altro, come ho intenzione di fare. Sono restato, ma per quanto tempo dovrò portare questa croce? Forse se avessi una famiglia, se avessi dei figli - come li hanno i miei "angeli custodi", ognuno di loro non ne ha meno di tre - avrei un altro equilibrio. Avrei un casa dove tornare, un affetto da difendere, una nostalgia. Non è così. Io ho soltanto le parole, oggi, a cui provvedere, di cui occuparmi. E voglio farlo, devo farlo. Come devo - lo so - ricostruire la mia vita lontano dalle ombre. Anche se non ho il coraggio di dirlo, ai carabinieri di Napoli che mi proteggono come un figlio, agli uomini che da anni si occupano della mia sicurezza. Non ho il cuore di dirglielo. Sai, nessuno di loro ha chiesto di andar via dopo quest'ultimo allarme, e questa loro ostinazione mi commuove. Mi hanno solo detto: "Robe', tranquillo, ché non ci faremo fottere da quelli là"".

A chi appartiene la vita di Roberto? Soltanto a lui che può perderla? Il destino di Saviano - quale saranno da oggi i suoi giorni, quale sarà il luogo dove sceglierà, "per il momento", di scrivere per noi le sue parole necessarie - sono sempre di più un affare della democrazia italiana.
La sua vita disarmata - o armata soltanto di parole - è caduta in un'area d'indistinzione dove sembra non esserci alcuna tradizionale differenza tra la guerra e la pace, se la mafia può dichiarare guerra allo Stato e lo Stato per troppo tempo non ha saputo né cancellare quella violenza sugli uomini e le cose né ripristinare diritti essenziali. A cominciare dal più originario dei diritti democratici: il diritto alla parola.

Se perde Saviano, perderemo irrimediabilmente tutti.

(di Giuseppe D'Avanzo, pubblicato su http://www.robertosaviano.it/)

Ma quanto se la tira questo, ha detto Emilio Fede.




Vaffanculo, Emilio Fede!

La Vignetta è di Vukic